Tra i segni di ripresa post pandemia e l’importanza di non smettere mai di sognare.
A cura della Dott.ssa Pamela Cantarella, Psicologa Clinica, Responsabile Settore Comunicazione PSP-Italia
“Il Circo è sempre il Circo! Il mio paese sembrava più leggero quando issato il tendone le bandiere si alzavano nel cielo”. (L. Erba)
C’era una volta il Circo… E c’è ancora. Sin dalla fine del XVIII secolo, quando in Europa, apparve nell’accezione moderna, grazie alla scuola di cavalleria inglese: ufficiali e cavalieri, rimasti senza occupazione, cercavano un modo per sopravvivere rappresentato dal creare esercizi acrobatici con i cavalli.
Fu il militare inglese P. Astley (ritenuto il fondatore del Circo) il primo a dare spettacoli di cavalli ammaestrati in pubblico, in anfiteatri trasportabili. Via via si s’appresero nuove arti come quella di camminare lungo un filo sospesi ad altezze elevate, comparvero clown e ventriloqui, e fecero l’ingresso negli spettacoli i primi animali, soprattutto i grandi felini, come leoni e tigri e poi, nel corso del tempo, anche elefanti, scimmie, giraffe, cammelli, lama, rettili, struzzi, canguri… Furono introdotti anche i cosiddetti “fenomeni da baraccone” (fu P. T. Barnum, che nel 1850 diede inizio in modo ufficiale a questo tipo di divertimenti circensi), individui caratterizzati da un aspetto insolito, strano, a volte profondamente inquietante: esseri umani con particolari deformità, come giganti, nani, donne barbute, gemelli siamesi, albini, ermafroditi, soggetti affetti da malattie rare quali focomelia, code lungo la colonna vertebrale, pelle ricoperta di peli, disfunzioni dermatologiche… provenienti da tutto il mondo, che divennero vere e proprie attrazioni a pagamento.
In Italia bisogna attendere il 1948 per la concretizzazione dell’Ente Nazionale Circhi, associazione di categoria finalizzata al riconoscimento del valore delle arti circensi, e la legittimazione della “funzione sociale” del Circo tramite la legge del 18 marzo 1968, “Disposizioni sui circhi equestri e sullo spettacolo viaggiante”.
Da allora, sebbene siano cambiati i tempi e nel corso della sua storia il Circo abbia affrontato cambiamenti sostanziali (ad esempio, oggi l’esibizione della deformità viene ritenuta moralmente e socialmente inaccettabile tant’è che da molti anni non viene più contemplata tra le attrazioni circensi, così come é in atto ormai da circa un decennio l’accesa questione animalista inerente l’eticità della presenza degli animali all’interno dei circhi, manifestata dalle battaglie di sensibilizzazione da parte di LAV ed ENPA) la sua “essenza” é ancora e rimane sempre la stessa: divertire e meravigliare, grandi e piccoli!
Gesti semplici visti con gli occhi di un bambino si trasformano in esibizioni spettacolari, e spettacolari acrobazie riportano gli adulti allo stupore dei bambini. “D’altronde il Circo é quella cosa che sei piccolo anche quando diventi grande. Si ritorna tutti alla casa della felicità!” (F. Caramagna).
…Ed in questo particolare periodo storico se ne ha bisogno più che mai.
Da mesi ormai l’attività del Circo è ripresa, e si è ricominciato e vedere i tendoni nei vari paesi, segno e simbolo di un graduale, anche se sofferto e faticoso, ritorno alla normalità pre-pandemia.
La risposta della gente é stata molto positiva: spettacoli affollati, tutto esaurito, generazioni riunite (figli, padri e nonni) per vedere gli spettacoli, a dimostrazione che la voglia di ripresa é forte. Così come il desiderio di leggerezza e spensieratezza, mostrato dal tentativo di voler mettere temporaneamente “in pausa”, anche se solo per la durata dello spettacolo, ansie e preoccupazioni quotidiane, soprattutto in questo difficile periodo post pandemia.
Si é infatti reduci da più di due anni di forte stress psicologico, frutto di un’estenuante guerra contro un nemico invisibile (non ancora del tutto risolta), che ha comportato uno stato di paura perenne dei contagi ed una “percezione minacciosa” dell’altro, ed imposto una reclusione forzata ed un blocco delle relazioni e delle frequentazioni fisiche, che hanno avuto un impatto deleterio sulla vita sociale.
Anche l’attività del Circo é stata ostacolata dalla pandemia, così come ogni altra attività che prevedeva la presenza di un pubblico. Una realtà fatta di uomini e animali, che è stata poco nominata durante tutto il periodo di crisi, sebbene quasi tutti i circhi abbiamo dovuto ridurre il proprio personale mandando a casa diversi artisti, e continuare a nutrire i propri animali pur non avendo guadagni per via della sospensione degli spettacoli. Tra l’altro già prima della pandemia il settore non godeva di ottima salute, per via della generale crisi economica e delle polemiche sullo sfruttamento degli animali in cattività.
Una volta ripresi gli spettacoli si è assistito ad una grande affluenza e partecipazione da parte del pubblico, che sembrava non aspettare altro che poter godere di qualche ora di magia e spensieratezza, che potesse far distogliere lo sguardo dai problemi della quotidianitá.
Assistere all’esibizione dell’arte circense permette infatti un viaggio in cui il confine tra sogno e realtà sembra sfumare alla visione delle attrazioni degli artisti, frutto di anni di duro lavoro e di allenamento; gesti magici e acrobazie esercitate attraverso il “linguaggio universale” del Circo, che non conosce barriere e per questo è comprensibile a tutti, grandi e piccoli, persone appartenenti a qualsiasi cultura e nazionalità.
Poeti del corpo e dello spazio pronti ad emozionare sotto un tendone i tanti nasi all’insú, gli occhi sgranati ed i fiati sospesi, nel tentativo di trasportare gli spettatori in una terra lontana, quella della fantasia e della libertà, dove non esiste il Covid nè nessun’altra fonte di preoccupazione ed ansia, rivendicando e praticando il diritto di sognare!
Insomma, il Circo con i suoi spettacoli offre il passaporto per “un altro mondo”, invitando lo spettatore ad entrare nel proprio universo magico, dove la realtà lascia il posto all’immaginazione, anche se solo per qualche ora.
Nel linguaggio psicologico, l’immaginazione indica una particolare forma di pensiero che non segue regole fisse né legami logici, e si caratterizza proprio per l’uso della fantasia. ll pensiero comune sembra quasi considerarla una sorta di attività di poco valore poiché distante dalla razionalità, dimenticando che l’essere umano non è solo ragione ma anche e soprattutto emotività.
La razionalità si occupa di cose che hanno una realtà oggettiva, una loro collocazione spazio-temporale; i contenuti di cui si occupa la fantasia si collocano invece “fuori dal tempo”, in uno “spazio indefinito”, che non obbedisce ad alcun principio di necessità.
Fantasticare permette alla mente di uscire dagli angusti schemi della razionalità e di “esplorare nuove prospettive”; per questo rappresenta un’importante funzione anche per quel che riguarda la cura dei problemi psicologici e la possibilità di guarigione dagli stessi: l’immaginazione apre alla possibilità di creare “nuove letture” di una situazione e trovare “strade risolutive alternative” dentro di sé. Diceva A. Einstein “L’immaginazione è più importante della conoscenza: mentre la conoscenza è limitata, l’immaginazione abbraccia il mondo intero”.
Coltivare quindi la propria immaginazione diviene, sin da piccoli, un esercizio molto importante in quanto la fantasia, oltre ad essere l’ingrediente più importante di tutti i giochi, è uno spazio vitale di spensieratezza; così scrive Vygotskij in “Immaginazione e creatività nell’età infantile”: l’immaginazione non è un “ozioso divertimento” della nostra mente o “un’attività campata in aria”; al contrario ha una sua “funzione vitale ed insostituibile”.
L’immaginazione è un “rifugio segreto” dove far vivere i propri sogni, mettendo a tacere le ansie e le preoccupazioni della quotidianitá: è una “potente arma nella guerra contro la realtà” (J. de Gaultier); accanto al fatto di poter essere, in età adulta ed in presenza di condizioni di disagio psicologico, anche un “atto fortemente terapeutico” che può aprire a nuovi modi di essere e a nuove consapevolezze.
L’attività immaginativa, favorita ed incentivata anche dagli specialisti del settore, non deve assolutamente essere intesa come fuga dalla realtà e dai problemi: il “rifugiarsi nella fantasia” è spesso visto con un certo sospetto come mezzo per non affrontare o risolvere problemi esterni, come “ritiro” dalle incombenze e dalle responsabilità quotidiane (V. Lingiardi); quanto piuttosto un’occasione per prendersi delle “pause rigeneranti”, nelle quali poter trovare “ristoro momentaneo”, senza perdere un adattamento funzionale al proprio ambiente.
Al ritorno con i piedi per terra, (così come alla fine dello spettacolo circense), si avvertiranno ancora in maniera viva le emozioni che avevano rapito l’attenzione e che faranno stentare ancora un po’ ad allontanarsi dall’affascinante dimensione in cui fino ad un attimo prima si era immersi, ma accanto ad esse sará forte la “consapevolezza di un ritorno dovuto e responsabile a tutto ciò che é reale”.
In un finale ideale dunque non ci si auspica la prevalenza della fantasia sulla realtà, nè una realtà dove non c’è spazio per la fantasia; ma il trionfo della “speranza”.
D’altronde la speranza è anche l’essenza del Circo: serve quando si arriva in una nuova città nuova e non si sa come andrà, oppure quando si sperimenta un nuovo spettacolo. O come quando, durante il lockdown si verniciavano i camion e si aggiustavano le tribune, e gli artisti continuavano ad allenarsi “come se si fosse dovuto ripartire l’indomani”.
Ma non è forse la vita di ogni uomo appesa alla speranza? Speranza che le cose possano ritornare ad una “nuova normalitá”, che possa permettere innanzitutto di ristabilire la fiducia totale nel prossimo recuperando la “dimensione sociale”, elemento essenziale della nostra vita, non sostituibile con nessun’altro mezzo e modalità.
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