A cura della Dott.ssa Vera Cantavenera, Psicologa Clinica, Coordinatrice PSP-Italia, Agrigento
“L’uscita dal nido familiare e il conseguente, graduale, inserimento sociale del bambino è paragonabile all’inizio di una travolgente avventura che dura una vita; è un’esperienza molto importante che non può essere sottovalutata”.
Sin dalla nascita l’individuo ha bisogno di instaurare delle relazioni affettive che lo facciano sentire legato in modo stabile a persone, luoghi e cose.
Il neonato piange perché avverte il desiderio dell’Altro e cerca una risposta; la risposta della madre che lo prende in braccio e cerca di calmarlo, media la mancanza e permette al neonato di aprirsi al mondo del linguaggio e della relazione. Questa primissima “socializzazione“, favorirà lo sviluppo di un atteggiamento positivo nei confronti degli altri e della vita.
Durante tutta la sua esistenza, di fatto, la persona tende a cercare i suoi simili e a creare con loro dei rapporti affettivi; perché si sa, secondo i sociologi l’uomo è “un’animale sociale” e per tal ragione ha bisogno d’interagire con l’Altro.
Dapprima, esprime la sua personalità nella primaria cellula sociale che è la famiglia, e poi, pian piano, crescendo, definisce la sua identità esprimendosi anche negli altri contesti sociali. Di fatto, all’interno della famiglia, il bambino comincia ad apprendere l’insieme delle norme e delle regole che governano la vita sociale, per cui si formano le competenze sociali di base. Mentre, invece, al di fuori della famiglia (scuola, chiesa, gruppo dei pari ecc.) avviene il processo di formazione delle competenze specifiche necessarie allo svolgimento dei ruoli adulti che prosegue per tutto il ciclo di vita.
Gli anni dello sviluppo e soprattutto i primi anni di vita rappresentano una fase di estrema importanza per la formazione dell’individuo: è nel corso di questi anni, che si gettano le basi della futura personalità e si creano le premesse per lo sviluppo affettivo, intellettuale e sociale.
Dopo la famiglia, i primi contesti sociali nei quali il bambino si inserisce sono l’asilo nido e la scuola. L’inserimento nella scuola dell’infanzia è uno dei momenti più delicati nella vita del bambino ma anche dei genitori. L’esperienza scolastica dei piccoli è un periodo che richiede impegno e attenzione, poiché sia il bambino che i genitori devono ambientarsi nella nuova situazione comunicativo-relazionale che si va creando. Da un rapporto privato ed intimo, limitato alla stretta relazione con i familiari, il bambino viene ad inserirsi in una nuova situazione ambientale, sociale e pubblica com’è la scuola, in cui diventa capace di stabilire relazioni con altri individui, coetanei ed adulti. Con tutto il corredo di significative differenze tra queste due agenzie educative in termini di approcci, di metodologie, di comportamenti e di regole sociali.
I bambini, così come i genitori, vivono quest’esperienza in maniera differente gli uni dagli altri. In particolare, le emozioni e gli stati d’animo saranno differentemente vissuti sulla base delle aspettative proiettate dai genitori e su chi, come figura educativa si troverà a rispondere ai bisogni individuali del bambino. L’inserimento serve al bambino per trovare nell’insegnante un punto sicuro di riferimento che lo accompagna all’interno della nuova vita alla scuola. Dai 3 ai 5 anni, i bambini avranno frequentato il nido e/o la scuola materna e in seguito, dai 6 ai 10 anni in poi, cominceranno la scuola “vera e propria”. Il primissimo passaggio dall’ambiente domestico ad un ambiente come la scuola avrà certamente comportato problemi di riorganizzazione dell’esperienze e di costruzione delle reti relazionali con i compagni e le maestre, è un momento nel quale il piccolo acquisisce nuove consapevolezze e comincia a costruire il suo “io sociale”. In questa fase i genitori e soprattutto la madre, possono vivere momenti di stress e forte ansia, legati, ad esempio, al momento della “separazione“, quindi del saluto, ma anche al come si troverà il loro piccolo con le maestre e nel gruppo dei pari, dunque in questo nuovo mondo.
Indubbiamente, nei primi giorni di frequenza, per fronteggiare al meglio il momento del distacco, ciò che potrà essere d’aiuto alla madre e al bambino, sarà il ritualizzare il momento del saluto con la solita frase o coccola e il limitare la sua permanenza all’asilo per sole poche ore, con il genitore che rimane nelle vicinanze della scuola in caso di emergenza. Via via, con il passare dei giorni, il tempo a scuola si potrebbe prolungare ed i genitori potrebbero cominciare a lasciare il bimbo per più ore o addirittura per tutto l’orario. È dunque necessario accettare le prime proposte di staccarsi dal proprio bimbo (all’inizio per un tempo molto ridotto) con fiducia.
La fiducia deve essere alla base, il genitore deve affidarsi alle educatrici e deve ascoltare i suggerimenti ove vengono proposti. Se le educatrici, infatti, hanno proposto di lasciare per più tempo il piccolo, con molta probabilità, è certamente perché hanno notato nel bambino segnali positivi, ovvero è “pronto” ad affrontare un primo distacco. Al momento di lasciare la scuola, anche di fronte all’eventuale pianto del bambino, il genitore deve farlo rapidamente, senza mostrare titubanze o incertezze o lasciarsi prendere apertamente dal dubbio di uscire. I segnali di disagio del bambino (pianto forte e prolungato, il non volersi staccare fisicamente dalla mamma ecc) non devono far pensare a un fallimento della nuova esperienza, ma costituiscono un “fatto passeggero”, destinato ad attenuarsi e a scomparire.
I tempi dell’”ambientamento” non sono uguali per tutti e ogni bambino ha le proprie originali sensazioni e comportamenti che occorre rispettare. La fase di inserimento si conclude quando il bambino dimostra, attraverso il suo comportamento, di aver raggiunto un buon livello di sicurezza.
Gli anni del nido e della materna sono differenti da quelli della scuola primaria, tutto cambia: tempi e regole, sono differenti. Il bambino più piccolo, al nido, deve imparare a camminare meglio, a correre, a maneggiare piccoli oggetti, a fare le cose con destrezza, a padroneggiare la lingua e la comunicazione, sinora la cerchia di persone con cui si è confrontato è stata relativamente piccola e le regole seppur nuove si potevano trasgredire. In questa fase, il bambino ha sperimentato le prime tensioni emotive come ad esempio, paura, confusione, curiosità, momenti che vengono stimolati e compresi soprattutto nella fase del gioco. Fra i 6 e i 10 anni, invece, il bambino lavora con un canovaccio più vasto, e con un controllo più fine. Deve farsi degli amici, risolvere i conflitti, trovare un proprio posto nel gruppo sociale. Di fatto, progressivamente, i coetanei assumono un ruolo importante ai fini del suo processo evolutivo. Il bambino, in sostanza, cercherà con tenacia di costruirsi modalità di controllo e di governo della propria vita quotidiana, attraverso la creazione di una rete di rapporti con compagni-amici che gli permetta di partecipare alla vita sociale.
Negli anni della scuola primaria i bambini oscillano dell’autonomia alla dipendenza, da un atteggiamento ragionevole alle crisi di collera, dalla fiducia in sé a un grande senso di insicurezza. Non è facile trovare l’equilibrio fra la necessità di appoggiarli nella loro ricerca di indipendenza e l’esigenza di non dimenticare quanto hanno bisogno dei genitori, senza però dar loro l’impressione di essere trattati da bambini piccoli. Di fatto, dai 7 anni in poi sviluppano ciò che i francesi chiamano “l’age de raison“, l’età della ragione e ne vanno fieri. Affinché il bambino possa esser ancor più orgoglioso della propria capacità logica, aprirsi a nuovi rapporti, sperimentare nuovi pensieri, nuove capacità e nuove cose da imparare è importante rafforzare la personalità indipendente che sta emergendo e a partire da una base sicura, farlo sentire un individuo distinto dai genitori. Il bambino ha bisogno di credere in sè stesso ed essere convinto che il mondo abbia molto da offrire. Crescendo, un bambino avrà bisogno di maggiore libertà, e il genitore dovrà necessariamente fidarsi di lui e dell’ambiente che lo circonda, dovrà scontrarsi con le diverse richieste che potrebbe fargli una volta immesso nella società.
Il bambino, potrebbe avanzare la richiesta di dedicarsi ad un’attività extrascolastica, come fare sport o danza o imparare uno strumento e, qui, potrebbero insorgere i primi reali conflitti; se necessario, il genitore dovrà porre loro gli adeguati limiti. In questa fase dello sviluppo le punizioni servono ma non devono sviluppare terrore o sottomissione, piuttosto servire a rafforzare la motivazione all’azione e favorire la distinzione dei ruoli: capire meglio chi è lui e chi sono i genitori e acquisire contestualmente la capacità di decidere come rapportarsi al mondo. Tuttavia capita che, per paura di frustrarli, i genitori rinunciano a educare i figli a riconoscere i confini tra l’io e il mondo, a controllare gli impulsi, a dominare l’ansia, a sopportare le avversità. Nella famiglia si possono creare situazioni di disagio per la semplice incapacità di dire un “no”. Non saper negare o vietare qualcosa al momento giusto può però avere conseguenze negative sulla relazione tra genitori e figli, come anche sullo sviluppo della personalità dei bambini.
In questi contesti i professionisti del Pronto Soccorso Psicologico-Italia possono aiutare il genitore in difficoltà a riflettere su di sé e sulla sua famiglia, offrendogli strumenti per la messa a fuoco dei problemi che possono insorgere in questa fase e il loro superamento.
Inoltre, l’equipe del PSPI, essendo la scuola la seconda importante istituzione, fonte di socializzazione, confronto e crescita per il bambino, in cui si possono manifestare i primi segni di disagio infantile, riconducibili alle più svariate cause, di origine psicologica, sociale, o patologica, può intervenire a prevenzione per favorire la costruzione di una rete sociale volta a favorire il dialogo insegnanti/educatori con la famiglia/ genitore. Non di rado infatti le assistenti del nido o le insegnanti rilevano nei bambini dei disturbi o segni comportamentali, che spesso indicano un loro malessere, se non una malattia organica vera e propria.
È importante, come accennato prima, che il genitore si fidi dell’insegnante e ci sia dialogo, per poter prestare attenzione a questi segni di malessere nel bambino, non sottovalutarli e cercare di capire insieme, in modo da intervenire adeguatamente per aiutarlo. In queste situazioni, l’equipe del PSPI può assistere e supportare la coppia genitoriale e il genitore, mettendoli a conoscenza, con la dovuta delicatezza, dei comportamenti del figlio e fornendo loro soluzioni per aiutarli a superarli.
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