Gli oggetti transizionali

A cura della Dott.ssa Pamela Cantarella, Psicologa Clinica, Responsabile Settore Comunicazione PSP-Italia

Gli oggetti transizionali

“Gli oggetti transizionali sono oggetti che “sanno di mamma”, di coccole, di affetto, scaldano il cuore e, stringendoli a sé, si sente riempirsi quel “vuoto” dato dall’assenza materna” (F.Maffei)

Il bambino nei primi mesi di vita vive l'”illusione dell’onnipotenza” sostenuto dalla madre che, rispondendo ai suoi bisogni nel momento in cui sorgono, contribuisce a generare nel bambino l’illusione di essere lui “capace di far apparire, di evocare” ciò che effettivamente é disponibile.

Si tratta di una primissima realtà vissuta in modo puramente soggettivo, dove tutto, compresa la madre, è per il bambino costruito da lui, e dove ogni cosa è sotto il suo controllo.
Durante questa età la madre è vista come frutto e realizzazione dei propri desideri. E bisogna che essa, per un periodo, continui a permettere al bambino questo tipo di esperienza, contribuendo a stabilire quell’illusione “necessaria” in questa particolare fase di sviluppo.

Crescendo il bambino si troverà a dover abbandonare questa visione della madre, lasciandola in uno spazio oggettivo condiviso, dove essa “esiste in modo indipendente dalla sua volontà”. Alla madre “devota” tocca infatti, ad un certo punto, il compito di “deludere” il bambino per consentirgli l’accesso al “reale” della sua assenza e alla conseguente separazione da lei, permettendogli l'”emancipazione” dallo stato di fusione iniziale.
La madre comincerà così a far provare al bambino misurate e tollerabili frustrazioni dettate dalla realtà, iniziando dal far mancare, di tanto in tanto, il seno …fino ad arrivare all’assenza della sua stessa persona.

In questo delicato e fondamentale passaggio il piccolo può essere aiutato dagli “oggetti transizionali” e, soprattutto, dalla particolare funzione che essi svolgono, poiché costituiscono una “zona intermedia di esperienza” nella quale coesistono onnipotenza soggettiva e realtà esterna. “C’è una battaglia continua nell’individuo per tutta la vita nel differenziare i fatti dalla fantasia, la realtà esterna della realtà interna, il mondo dal sogno. I fenomeni transizionali appartengono ad un’area intermedia che io chiamo “un luogo di pace”, poiché vivendo in questa dimensione l’individuo si riposa dal compito di distinguere i fatti di realtà dalla fantasia” (D. Winnicott).

Essi sono degli oggetti che non fanno più parte del corpo del bambino, ma non sono ancora pienamente riconosciuti come realtà esterna.
Rappresentano il suo primo possesso e nascono proprio dai primissimi tentativi del piccolo di differenziare tra il sé e il non-sé, durante il delicato passaggio dalla “dipendenza assoluta” dalla madre alla “dipendenza relativa” da lei. Gli oggetti transizionali aiutano a compiere questo non semplice viaggio di “transizione” da uno stato di simbiosi con la madre ad uno stato in cui essa verrà piano piano percepita sempre piú come qualcosa di esterno e separato.

Come sostiene M. Recalcati riprendendo un concetto cardine del pensiero di J. Lacan, per ogni bambino è fondamentale poter fare esperienza tanto della presenza della madre quanto della sua “assenza”; è necessario che si possa vivere “il lutto” della madre simbolizzando la sua assenza.

Per M. Klein é questa la condizione a fondamento della creatività e della sublimazione: solo se si apre il vuoto, solo se si sperimenta e si simbolizza la perdita dell’oggetto, diventa possibile il “gesto creativo”.

Nel racconto freudiano del “gioco del rocchetto” la madre lascia da solo il piccolo Ernst nella sua stanza. Lo sconforto della separazione mobilita nel bambino un’invenzione: egli prende un rocchetto, vi avvolge attorno un filo, lo lancia lontano da sé (sotto l’armadio o sotto il letto) in modo che sparisca dalla sua vista, per poi riavvolgere il filo e richiamarlo a sé con esclamazione di gioia. Grazie al “potere del simbolo” Ernst trasferisce sul rocchetto la propria madre, ribaltando la posizione passiva di chi subisce l’allontanamento, in quella “attiva” di chi decide i tempi della sua sparizione e riapparizione.

L’invenzione del piccolo Ernst mostra lo sforzo solitario di “padroneggiare l’angoscia dell’abbandono” e, allo stesso tempo, tutta la potenza del simbolo: ciò che il simbolo permette è la “presentificazione l’assenza”;
la “potenza del simbolo” aiuta a sopravvivere all’angoscia.

Se la madre di Ernest fosse rimasta tutto il giorno con il suo piccolo, se non avesse aperto la porta, l’invenzione del gioco del rocchetto non sarebbe stata possibile. La dedizione della madre deve avere quindi un limite: il mondo l’attende fuori dalla porta. É l’uscita dalla porta della madre a rendere possibile al bambino l’accesso all’assenza, e dunque al simbolo.

È solo sullo sfondo dell’assenza della madre che si possono mobilitare positivamente le “risorse sublimatorie” del bambino. È il gesto della madre che rende possibile l’alterità del figlio, la separazione ed il distacco da essa;
esso rende possibile l'”azione creativa” del bambino, il quale trasferisce con un’operazione simbolica l’esistenza della madre in quella del rocchetto che può tirare verso di sé e allontanare da sé.

“L’uscita di scena della madre offre la possibilità di sperimentare l’assenza e la sua simbolizzazione” (M. Recalcati)

Lo “spazio transizionale” é dunque quell’area che il bambino crea quando inizia a distaccarsi dalla madre; é quello spazio che permette lo sviluppo della “capacità di vivere nella realtà oggettiva riuscendo però a conservare il nucleo dell’onnipotenza soggettiva”.

É all’interno di questo spazio che acquistano notevole importanza gli “oggetti transizionali”: oggetti generalmente di qualità tattile-pressoria (ad esempio il lembo della coperta che il bambino userà per addormentarsi, oppure il peluche di pezza che si porterà sempre in giro) che vengono acquisiti dal bambino per aiutarlo a gestire l’assenza materna, fino ad arrivare a padroneggiarne il distacco e l’autonomia da essa; essi sono considerati dei “sostituti della madre” e vengono ad essere il primo oggetto acquisito dal bambino come “non-me”.

Quindi gli oggetti transizionali permettono l'”ammortizzazione” del passaggio dallo stadio dell'”onnipotenza soggettiva” a quello della “realtà oggettiva condivisa”, dove il bambino inizia a sperimentare la delusione derivante dal distacco della madre, che comincia a rendersi mancante, e la percezione di “perdita di controllo sulla realtà circostante”.

“L’oggetto transizionale non è quindi né percepito onnipotentemente, né visto come appartenente alla realtà oggettiva, venendosi a trovare in uno spazio di mezzo: lo spazio potenziale, situato tra il sé e il non-sè” (D. Winnicott).

Questi oggetti assumono un significato speciale per il bambino durante questo particolare passaggio di sviluppo; egli ne è particolarmente legato e si attacca ad essi in modo da non poterne fare a meno, anche e soprattutto in virtú del loro “potere calmante”, ad esempio nei momenti che precedono il sonno o anche nel caso in cui si debba affrontare un viaggio (l’esempio più famoso è quello della “copertina di Linus”, raffigurata nelle famose vignette di Peanuts).

Essi sono di primaria importanza poiché permettono dunque di “esorcizzare la paura dell’abbandono e del distacco dalla madre” e, rivedendo in essi la principale figura di accudimento, rappresentano un forte simbolo avente “funzione sublimatoria”.

Sono oggetti che “sanno di mamma”, di coccole, di affetto, scaldano il cuore e, stringendoli a sé, si sente riempirsi quel “vuoto” dato dall’assenza materna.

I bambini li utilizzano anche come mezzo per scaricare tensione, frustrazione o tristezza; sul lembo della copertina, sul peluche viene infatti riversata l’intera gamma di emozioni (insieme ai bisogni e ai desideri). Oltre ad essere coccolati in modo dolce e affettuoso, questi oggetti vengono anche stropicciati, stritolati, morsi, denotando la fisiologica coesistenza di stati di quiete ed eccitazione del piccolo in rapporto alla propria madre.

D’altronde i cambiamenti, le scoperte, la crescita in generale sono processi che inevitabilmente creano ansia, confusione, smarrimento, frustrazione, perché comportano la perdita di certezze: un viaggio verso l’ignoto che è sicuramente più facile se non si affronta da soli. Ed in aiuto a ciò accorrono anche gli “oggetti transizionali’, scelti dai bambini per trarne conforto, rassicurazione, protezione, e coraggio per superare l’angoscia del distacco.

Delle volte l’attaccamento a questi oggetti appare davvero troppo forte, tanto che il loro eventuale smarrimento o la loro distruzione comporta veri e propri momenti di panico, vista l’unicità e l’insostituibilitá degli stessi.

Ecco perchè non bisogna mai minimizzare, ma comprendere e condividere il dispiacere del piccolo, nè forzarne la separazione, anche e soprattutto perché quando la “fase transizionale” sarà superata, il bambino stesso in maniera del tutto autonoma li metterà da parte, in quanto gli oggetti avranno cessato il loro scopo: generalmente subito prima dell’ingresso alla scuola primaria, quando si sarà ormai sicuri del legame e dell’affetto da parte dei genitori indipendentemente dalla loro presenza fisica, e si riusciranno a delineare i confini di una propria identità.

I professionisti del Pronto Soccorso Psicologico-Italia sono presenti in questo caso per rassicurare sul fatto che quella dell’oggetto transizionale è una tappa fondamentale nello sviluppo psicologico e sociale del bambino; ed è una fase molto importante in quanto la capacità dell’adulto di sopportare la solitudine dipende dal mondo affettivo interno che ha costruito attraverso le esperienze vissute nell’infanzia. Un mondo affettivo fatto di presenze e relazioni significative su cui si basa la costruzione dell’individualità e che rende possibile la fiducia nell’esistenza dell’altro anche durante la sua assenza.

“É la speranza di ritrovare l’oggetto d’amore temporaneamente perduto che dà la forza di tollerare la separazione e sopportare la sua momentanea assenza”.

Dott.ssa Pamela Cantarella, Psicologa Clinica, Responsabile Settore Comunicazione PSP-Italia