A cura della Dott.ssa Pamela Cantarella, Psicologa Clinica, Responsabile Settore Comunicazione PSP-Italia
“OGNI ESSERE UMANO, IN QUANTO FIGLIO, É UN EREDE”.
Egli viene dall’altro, ed è con esso in una relazione di “debito simbolico”. In questo senso una filiazione capace di essere generativa implica che vi sia la “responsabilità” di assumersi il debito del passato, ma anche il “coraggio” di riscrivere un futuro che muova dalla realizzazione di desideri che siano “propri” (M. Recalcati)
Il riconoscimento della “dipendenza della propria vita dall’Altro” è la prima condizione affinchè vi sia ereditá. J. Lacan parla di “dipendenza costituente” per segnalare il debito simbolico della vita verso l’altro. Noi non siamo altro che l’insieme stratificato di tutte le tracce, le impressioni, le parole, i significanti che provenendo dall’altro ci hanno costituito.
Questo concetto si riscontra anche nella teoria dell’’inconscio collettivo” di C. Jung, secondo la quale “esistono degli elementi comuni condivisi da tutta l’umanità e che configurano una sorta di eredità psichica”; un “contenitore universale” di significati comuni a tutti gli esseri umani, che viene ereditato dai comuni antenati come gruppo sociale (contrapposto all’“inconscio personale” freudiano).
L’inconscio collettivo contiene i cosiddetti “archetipi”, che sono forme, simboli, sensazioni, pensieri, memorie, rituali, miti… che si manifestano in tutti i popoli di tutte le culture, che esistono sin da prima dell’esperienza e che, in questo senso, sono da considerarsi “innati ed istintivi”. Il pensiero di C. Jung riporta che “nessuno di noi si sviluppa in maniera isolata e separata dalla società”: siamo ingranaggi di una macchina culturale che ci trasmette degli schemi e ci inculca dei significati che ereditiamo gli uni dagli altri.
L’entrata in rapporto col proprio passato presuppone dunque il riconoscimento della propria provenienza da esso e da chi ci ha preceduto, e l’accettazione della “responsabilità di una memoria collettiva”. L'”ereditare” non può essere allora la cancellazione di questa parola, di questa memoria dell’altro, del debito simbolico che a esso ci vincola; ma nemmeno la sua ripetizione passiva.
É vero che i legami con le generazioni passate sono casa e radici, e rispondono all’“esigenza di appartenenza” che caratterizza l’essere umano; ma questa esigenza è sempre accompagnata da quella altrettanto forte dell’“erranza”, della spinta al non ancora visto, al non ancora saputo, al non ancora sperimentato.
Ecco che l’eredità non è dunque mai “solo” per natura, destino o necessità storica; non è un’obbligazione (sebbene implichi un vincolo simbolico), e non definisce unicamente un evento di discendenza. Essa è piuttosto un movimento soggettivo di “riconquista del proprio essere-stato”, la stoffa stessa di cui è fatta la realtà dell'”esistenza soggettiva”. Senza questo movimento di “ripresa del passato” che ci costituisce, senza questo dover “fare nostro ciò che è già stato nostro”, ripetendo proprio ciò che ci ha costituito -ma aggiungendo la nostra “particolaritá” di essere un soggetto altro, nuovo, diverso- non si ha alcuna “esperienza soggettiva” dell’ ereditare.
L’eredità non si compie mai come un mero travaso di beni o di geni da una generazione all’altra, non è un diritto sancito dalla natura, ma una ripresa in avanti di ciò che siamo sempre stati; è, come direbbe S. Kierkegaard, un “retrocedere avanzando”. O ancora, come sostiene W. Ferrarotti: “Qui sta l’equivoco più grande di pensare la vita: la memoria è il nostro modo di vivere il futuro: è tutta “davanti” a noi”; per proseguire con il pensiero di E. Morin secondo il quale: “Tutto ciò che non si rigenera, degenera”.
L’eredità autentica non è esclusivamente un fatto di sangue o di biologia: se si vuole davvero nascere non basta la prima nascita quella biologica, ma si deve nascere una seconda volta, non più dal ventre della propria madre. “La seconda nascita é quella che investe il problema dell’ereditare, ed è una conquista della soggettività” (M. Recalcati). Questo significa che la prima nascita, quella della carne e del sangue, non è mai sufficiente a permettere il vero processo di filiazione che si può compiere solo attraverso un’adeguata “soggettivazione”. Ciò non avviene ricevendo il corredo genetico o le rendite economiche a cui si ha diritto, ma facendo davvero proprio tutto quello che si riceve dall’altro, con in piú il coraggio di “personalizzare il proprio destino” sulla base dei propri desideri!
J. W. Goethe sosteneva a tal proposito: “Ciò che hai ereditato dai padri riconquistalo se vuoi possederlo davvero”. L’atto dell’ereditare viene qui definito come una “riconquista”: per ereditare qualcosa dall’altro, per essere davvero un erede non è sufficiente ricevere passivamente un’eredità già costituita, ma è necessario il “movimento soggettivo” di ripresa, di soggettivazione del debito, di “trasgressione” intesa come coraggio di riscrivere una storia mettendoci il proprio, discostandosi, se necessario, da quanto “già stato”.
Anche S. Freud, riprendendo J. W. Goethe, sosteneva che l’ereditare è l’effetto di una “riconquista di ciò che è stato”, è il prodotto di una scelta, di un’assunzione soggettiva di tutta la propria storia, che è innanzitutto la storia dell’altro, ma che bisogna sentire propria nel momento in cui si riesce ad avere il coraggio di fare scelte di vita personali, che potrebbero anche far discostare dal proprio passato.
Questo processo è sempre molto complesso in quanto comprende delle dinamiche che si svolgono costantemente in bilico tra due poli opposti: l’appartenenza e l’erranza, la fedeltà al passato ed il coraggio di cambiare il proprio destino, l’assorbimento passivo e la ripetizione o la personalizzazione e l’innovazione.
A ció sono strettamente connessi anche i concetti di “lealtà” e “tradimento” di cui parlano I. Boszormenyi-Nagy, e G. M. Spark, secondo i quali “la lealtà nasce da un atteggiamento del singolo verso il proprio sistema di appartenenza, di cui interiorizza le ingiunzioni esplicite ed inespresse e verso il quale manifesta totale obbedienza”; a sua volta il sistema, per la sua esistenza, dipende dai suoi membri e da essi pertanto si attende “lealtà di pensiero, emozioni e motivazioni”. L’individuo per essere leale deve rispondere dunque alle attese del sistema generazionale; mentre il sistema lavora continuamente nella direzione dell’adeguamento degli individui che ne fanno parte alle sue esigenze.
Ma il processo in realtà è molto più complesso e dinamico; a tutto ciò è infatti inevitabilmente legato il concetto di “tradimento“, secondo il quale il traditore è colui che tende a discostarsi dalle attese ed aspettative del proprio sistema di appartenenza e, per questo, percepito come una minaccia allo status quo tradizionale, é a rischio di venire distrutto dallo stesso onde evitare che si renda autonomo (I. Boszormenyi-Nagy, G. M. Spark).
Ma proprio in questo “coraggio del tradimento” vi è l’importanza di alcuni passaggi generazionali che sono volti all'”autonomia del soggetto” e al cambiamento inteso come processo di soggettivazione che rende possibile la ri-scrittura di nuove storie, seppur partendo da un passato comune che bisogna assolutamente riconoscere. Un corretto processo di generatività presuppone infatti un’ “antropologia dialogica”, dove il rapporto con il mondo esterno al proprio ambito familiare è ritenuto “vitale“, in termini di spendersi per qualcosa a cui si attribuisce valore soggettivo e per i propri desideri personali: questa è la vera linfa dello sviluppo umano e antidoto di ogni forma di nichilismo e sterile appiattimento su un passato già stato.
Sono le cosiddette “transizioni” familiari che costituiscono le fasi di passaggio sul piano relazionale generativo, comportando una “crisi” che costringe il sistema famiglia a rinnovarsi, prendendo anche possibili “direzioni nuove” rispetto al proprio passato.
E. Scabini e V. Cigoli utilizzano il concetto di “transizione” come elemento cardine dell’approccio relazionale simbolico secondo il quale la famiglia è un “corpo vivo”, il cui tessuto relazionale simbolico del quale è costituita, e che i familiari sperimentano nella quotidianità delle interazioni, non è immediatamente visibile ma esce allo scoperto nelle transizioni che la famiglia incontra: sono queste dei “passaggi” che mettono in luce e alla prova la qualità delle relazioni, evidenziando la struttura relazionale della famiglia. Tra le fasi di passaggio salienti ci sono ad esempio i matrimoni, le separazioni, la nascita di un figlio, l’uscita del figlio del nucleo familiare, i lutti... tutte esperienze che fanno scontrare i modelli comportamentali di appartenenza (che si tendono generalmente a riproporre), con la ri-scrittura di storie a volte del tutto nuove ed originali.
Perchè se uno dei modi in cui l’atto dell’ereditare fallisce è il rifiuto della memoria, la recisione del legame con il passato ed il rinnegamento dello stesso, un’altra modalità di fallimento è l'”eccesso di fedeltà nei confronti del passato” che riduce tutto ad un movimento passivo di assorbimento di ciò che è già stato, che è già avvenuto, attraverso un eccesso di identificazione che non lascia alcuno spazio personale e soggettivo di invenzione e libertà.
Affinché si verifichi un adeguato processo di filiazione simbolica, é necessario che venga sempre mantenuto il “giusto equilibrio” tra l’atto dell’ereditare e l’atto del trasgredire, tra la memoria e l’oblio, tra la fedeltà e il tradimento, tra l’appartenenza e l’erranza, tra la filiazione la separazione.
La vita umana deve riconoscere il debito simbolico ma non deve restare imprigionata nel familiare; questo riconoscimento deve piuttosto favorire e non ostacolare la separazione dall’altro: nell’ereditare si sprofonda nel proprio passato non solo per ritrovare le proprie origini, ma anche per “risalire ed emergere da esse”, se necessario. Questo sprofondamento non è solo, come pensava G. W. F. Hegel, un ritrovamento dell’identità nella tradizione, ma comporta anche e soprattutto “un essere figli senza padre”, nel senso che non si tratta tanto di ricevere dall’altro, ma di “perdere l’altro”:l’erede autentico è sempre orfano dell’altro/del proprio padre. […]Perché un padre che si pone come un ideale incarnato, onnipresente come modello esemplare, rende impossibile ereditare se non nella forma della “riproduzione dello stesso”.
La clonazione del passato e la totale identificazione alla legge non permettono l’avanzamento verso la separazione. Bisognerebbe invece sapersi assumere il rischio dell’ereditare quale movimento singolare del tutto privo di garanzia, che comporta inevitabilmente il pericolo dello “smarrimento”, mettendo in conto di dover imparare anche fare a meno dei propri padri; tutto ció da intendere in maniera positiva come ritrovamento di sé stessi, scoperta della propria essenza soggettiva e coraggio di rispettarla e fare scelte consequenziali ad essa.
Il legame familiare dovrebbe essere quel legame che rende possibile l’allontanamento, poichè dovrebbe saper “accogliere il rivelarsi della differenza singolare senza esigere a tutti i costi l’omogeneità”, senza volere necessariamente la ripetizione dell’uguale, senza appiattire il destino dei propri membri nella cultura di gruppo già esistente.Il legame familiare deve anche saper sopportare la separazione, la perdita, la differenziazione, l’allontanamento.
“Se la dimensione dell’appartenenza e ciò che offre alla vita la sua identità associando la vita al senso, la spinta alla differenziazione, la necessità di desiderare un desiderio che sia davvero il proprio desiderio, è una forza che allontana dal nucleo familiare, è antifamilismo, è erranza, è sradicamento”… è sana trasgressione (M. Recalcati).
D’altronde la giusta testimonianza genitoriale è quella che riesce a tenere insieme interdizione e legge della castrazione ma anche “dono del desiderio” che porta alla scoperta del volere proprio, personale. Compito sempre piú difficile in un tempo, il nostro, di una libertà che si vuole assoluta e priva di limiti.
Il culto ipermoderno della libertà separa quest’ultima dalla responsabilità della memoria, e sostiene l’illusione che il soggetto sia una sorta di “genitore di sè stesso”. É il culto dell'”autosufficienza” e del rifiuto di ogni forma di dipendenza; il rifiuto di essere figli, il rifiuto dell’eredità.
“Eccesso di identificazione all’altro” o “eccesso di rivolta nei confronti dell’altro” sono dunque i due modi di fallire dell’ereditare. La malattia di ogni legame, compreso quello familiare, scaturisce proprio dalla frattura della dialettica tra “socialismo” -appartenenza alla cultura del proprio gruppo-, e “narcisismo” – differenziazione del gruppo di appartenenza, per dirla in termini bioniani.
Si avrá allora o il “conformismo” come effetto della dominanza del socialismo sul narcisismo, o la “derelizione” come effetto della dominanza unilaterale del narcisismo sul socialismo. Il “conformismo” segnala la difficoltà a far emergere un desiderio singolare a causa di una predominanza del regime alienante dell’identificazione agli ideali dell’altro, mentre il “narcisismo” esibisce la volatilizzazione dell’esperienza della libertà che sembra voler negare ogni vincolo con l’altro, ogni discendenza, ogni debito simbolico (W. Bion).
Diversamente, un legame che si fonda sulla tensione positiva tra narcisismo e socialismo, è un legame capace di “integrare l’erranza sul comune fondamento dell’appartenenza”, dove erranza non è rifiuto della frustrazione imposta necessariamente dal vincolo, ma esigenza legittima della differenziazione altrettanto significativa della spinta all’appartenenza.
Il Pronto Soccorso Psicologico-Italia a sostegno e supporto di un sano percorso di filiazione che passi per il movimento dell'”ereditare” inteso come giusto compromesso tra il rispetto del passato e della propria memoria e il coraggio di “trasgredire” un copione che non rispecchia i propri desideri.
Gli operatori del PSP-Italia sono pronti a prestare il proprio intervento in tutti quei casi di “condizioni familiari di stallo”, in cui i soggetti si ritrovano intrappolati nei dettami, spesso piú impliciti che espliciti, dei propri sistemi di appartenenza, sacrificando in questa rigida adesione, i propri desideri ed il proprio reale volere.
“Ricordati sempre chi sei e da dove vieni, ma abbi il coraggio, se necessario, di cambiare il tuo destino!”
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