Fear Of Missing Out nelle generazioni digitali

A cura della Dott.ssa Pamela Cantarella, Psicologa Clinica, in formazione presso Scuola di Psicoterapia ad orientamento Sistemico-Relazionale, Responsabile Settore Comunicazione Pronto Soccorso Psicologico-Italia.

Abstract

Conseguenza della “rivoluzione digitale” che ha riguardato gli ultimi anni, comportando una presenza pervasiva dei dispositivi tecnologici nella nostra vita di tutti i giorni, sono tutta una serie di problematiche piú o meno gravi, soprattutto di ordine psicologico, che riguardano chi non possiede le giuste “competenze mediali” affinché poter padroneggiare i meccanismi del Web ed i “nuovi ambienti e legami virtuali” nati con le moderne tecnologie.

Tra esse “la dipendenza dalle relazioni virtuali e la conseguente paura di un isolamento derivante dall’essere estromessi dalle interconnessioni del mondo digitale”: FOMO (Fear Of Missing Out) è il termine utilizzato in proposito, che letteralmente significa “paura di essere tagliati fuori”.

Il concetto chiave è l’”ansia legata alla paura di rimanere esclusi dalle connessioni e relazioni che si instaurano attraverso i Social Network e le chat dello smartphone”, che porta a mantenere sempre attive le connessioni sociali ed evitare di perdere esperienze che si ritiene possano essere gratificanti (Di Carlo, 2022).

Questo “bisogno di dover presenziare sempre, ovunque e comunque”, rischia di diventare predominante, pervasivo, ossessivo, oltre a comportare, paradossalmente, evitamento sociale e minor rendimento esperienziale, scolastico e lavorativo (J. Elhai et all, 2021).

Ecco che allora, se si riterrà necessario, non bisognerá esitare a chiedere aiuto a dei professionisti che potranno fornire un valido ausilio per mettere a fuoco il disagio ed individuare le giuste strategie per superarlo.

FOMO, Fear Of Missing Out

“Siamo sempre piú connessi, piú informati, piú stimolati, ma esistenzialmente sempre piú soli…”, (T. Cantalemi).

Introduzione:

La società odierna, sempre piú globale ed interconnessa, è frutto di una vera e propria “rivoluzione tecnologica” che ha riguardato questi ultimi anni: “nella vita di tutti i giorni i dispositivi digitali sono diventati di fondamentale importanza, se non addirittura essenziali” (M. Di Carlo, 2022).

Questo nuovo ed ormai imprescindibile “legame con la tecnologia”, da cui senza dubbio si traggono degli inestimabili vantaggi, ha un rovescio della medaglia non indifferente: se non saputo gestire nel giusto modo, può causare la perdita di controllo di certi meccanismi, con la conseguenza di rimanere in balia di essi, totalmente indifesi.

È quello che oggi purtroppo accade sempre piú spesso: la capacità di fruizione critica e responsabile dei nuovi media appare seriamente compromessa, tanto da non permettere agli individui di potersi muovere in questa realtà senza subirla passivamente o rimanere imbrigliati in certe sue trame insidiose.

Conseguenza di ciò sono tutta una serie di problematiche piú o meno gravi, soprattutto di ordine psicologico, che riguardano chi non possiede le giuste “competenze mediali” affinché poter padroneggiare i meccanismi del Web ed i “nuovi ambienti e legami virtuali” nati con le moderne tecnologie.

A tal proposito, tra i disagi del nuovo millennio, in modo particolare per adolescenti e giovani adulti, vi è proprio “la dipendenza dalle relazioni virtuali e la conseguente paura di un isolamento derivante dall’essere estromessi dalle interconnessioni del mondo digitale”.

Questi effetti psicologici, provenienti da una evidentemente non adeguata fruizione delle nuove tecnologie, vengono fatti rientrare nella cosiddetta FOMO (Fear Of Missing Out), che letteralmente significa “paura di essere tagliati fuori”, ed è una significativa sfaccettatura delle “nuove solitudini nell’era dei social network e dei social media”.

Senza le infinite interconnessioni virtuali oggi, ormai, è infatti impensabile vivere: “il successo è essere visti da quante più persone possibili, mentre il peggior incubo della nostra società è essere esclusi, abbandonati, trovarsi in una posizione in cui nessuno ha bisogno di noi” (Z. Bauman, 2014).

La definizione di FOMO viene attribuita al ricercatore A. Przybylski che, in un suo articolo (A. Przybylski et al, 2013) ne dá un’accezione piú generale rispetto a quella oggi maggiormente in voga collegata al mondo dei dispositivi tecnologici e alle esperienze in Rete: nel suo significato originario la FOMO è “un’eccessiva preoccupazione di non vivere esperienze gratificanti al pari degli altri, da cui ci si sente esclusi”.

Quindi una “generica” e pervasiva apprensione che altre persone possano vivere esperienze nelle quali non si viene coinvolti, ed il conseguente bisogno di rimanere continuamente in contatto con ciò che esse fanno.

Su questa stessa scia anche la definizione che viene data dal Merriam-Webster alla voce FOMO: “paura di perdersi qualcosa: paura di non essere inclusi in qualcosa (come per esempio un’attività interessante e piacevole) di cui gli altri stanno facendo esperienza”;

anche qui la “fear of not being included in something” (FOMO, Fear Of Missing Out) viene intesa come un disagio, un’ansia dovuta a una “generica estromissione sociale”.

È negli anni successivi al 2013 che il termine FOMO comincia ad essere impiegato nell’ambito scientifico della psicologia con un’”accezione maggiormente specifica” legata alle nuove tecnologie e al mondo dei Social Media, in riferimento ad una “nuova patologia dovuta alla dipendenza dalla Rete e dalla connessione sociale virtuale”:

FOMO: “stato di ansia sociale caratterizzata dal dover essere costantemente informati su ciò che gli altri stanno facendo; particolare paura da considerarsi una patologia dei nostri tempi che, da quando i Social Network hanno preso il sopravvento nella vita di ciascuna persona, sembra essersi radicata nei numerosi utenti che controllano in maniera eccessiva e quasi ossessiva le pagine dei Social a cui sono iscritti” (adolescenza.it, 2015);

FOMO: paura di perdere qualche segmento della conversazione in Rete, o qualche opportunità, derivante da un circolo chiuso di creazione di ansietà e suo alleviamento. Che cosa staranno facendo gli altri? Che cosa staranno pensando? Che cosa pensano di me. E così via… (P. Vineis, 2016);

FOMO: nuova nevrosi creata dai Siti Social, caratterizzata da due componenti specifiche:
– a) “apprensione che gli altri stiano vivendo esperienze gratificanti da cui uno è assente” ;
– b) “desiderio persistente di rimanere in contatto con le persone nella propria rete sociale” (Jon D. Elhai et all, 2021).

In definitiva, il concetto chiave della Fear Of Missing Out è l’ansia legata alla paura di rimanere tagliati fuori dalle connessioni e relazioni che si instaurano attraverso i Social Network e le chat dello smartphone” (adolescienza.it, 2015);
ció genera dei comportamenti compulsivi finalizzati alla riduzione dello stato d’ansia, che riguardano principalmente il controllo frequente dei dispositivi digitali e dei servizi di messaggistica (controllo della presenza di connessione internet, aggiornamento ripetuto delle pagine web…), per mantenere sempre attive le connessioni sociali ed evitare di perdere esperienze che si ritiene possano essere gratificanti (M. Di Carlo, 2022).

Considerazioni:

Questa “nuova sfumatura della paura” interessa dunque lo stretto legame che ormai unisce in maniera indissolubile l’uomo ai dispositivi tecnologici multimediali, in particolar modo a tablet e smartphone, considerati quasi un prolungamento del proprio corpo, data la loro “portabilità” e lo sviluppo di applicazioni dedicate, che hanno modificato totalmente la giornata e le abitudini: tutto ruota attorno ai dispositivi mobili che si hanno sempre a portata di mano!

Tra le azioni strettamente connesse e conseguenziali a ció vi è l’utilizzo delle piattaforme Social, dove è possibile trasmettere importanti eventi della propria vita ma anche e soprattutto attività quotidiane, e la condivisione è estremamente semplice: “i Social Media sono strumenti tecnologici per la ricerca di connessione sociale, e forniscono la promessa di maggiori livelli di coinvolgimento sociale” (Ellison, Steinfield e Lampe, 2007).

Ma, allo stesso tempo, non è difficile intuire come mai siano le realtà che provochino piú FOMO.
I Media Sociali sono al contempo fonte di rassicurazione e di frustrazione: la socialità digitale può, in qualche modo, veicolare “sentimenti di solitudine” nel momento in cui, attraverso i Social -data la possibilità che offrono di essere costantemente aggiornati sulle attività ed impegni di tutti- si scopre che gli altri si riuniscono senza di noi, e che si divertono mentre ne rimaniamo “tagliati fuori” (F. Rampini, 2011).

A causa di ciò si genera un “forte senso di esclusione sociale”, oltre ad una significativa minaccia su un’autostima già compromessa a monte; alti livelli di FOMO sono infatti direttamente correlati a bassi livelli di autostima: “Ie persone con bassi livelli di soddisfazione dei bisogni fondamentali di competenza, autonomia e capacità di relazionarsi tendono verso livelli più alti di Fear of missing out, tanto quanto quelli con livelli bassi di umore generale e soddisfazione complessiva della propria vita” (A. Przybylski, 2013).

L’ansia parte fondamentalmente da un’”estromissione sociale” che deriva da un “confronto costante” che si ha con le pubblicazioni fatte sui vari Social Network, o con le varie attività sociali virtuali che si intrattengono in Rete.

Un esempio è il senso di curiosità incontrollabile misto a forte irrequietezza che nasce dal voler sapere a quante persone piaccia o meno una propria foto, un proprio post; ciò per evidenziare anche l”aspetto narcisistico” legato all’origine della FOMO tipica, ancor di piú, di quei soggetti che sono soliti alimentarsi dei commenti e dei like pubblicati sui propri canali di comunicazione: “quando viene meno questo “nutrimento” si innesca una crisi di astinenza che spesso sfocia in comportamenti ossessivi e ansiogeni” (M. Di Carlo, 2022).
Ricevere un Like, un commento positivo, un’emoticon o una gif di apprezzamento gratifica; “è il consenso che fa sentire gratificati, accettati, e conferma che si fa parte di un gruppo”.

Volendo risalire all’origine di tali dinamiche bisogna assolutamente scavare piú in profondità e cominciare dall’affermare che “il sentimento di connessione con gli altri è un bisogno irrinunciabile che influenza la salute psicologica di ogni soggetto”.

“La propensione dell’essere umano all’interazione sociale è infatti “universalmente riconosciuta” come elemento innato fondamentale per la sopravvivenza, sia fisica che psicologica” (D. T. Campbell).

L’uomo è un animale sociale, e nella sua evoluzione come “specie che vive in branco”, ha sviluppato la necessità di essere incluso in un gruppo con cui condividere informazioni e protezione; in passato, restarne esclusi significava diminuire le probabilità di sopravvivere.

Oggi, sebbene l’essere umano si sia liberato dal quotidiano timore per la propria sopravvivenza (intesa qui in senso strettamente fisico), la sua biologia è rimasta la stessa, e l’”ansia da esclusione” si è riversata su altri aspetti, meno essenziali, della vita; (gli ambiti e le dinamiche implicati nel fenomeno della FOMO ne sono un esempio).

Con l’avvento della tecnologia le esperienze sociali e comunicative, anche se virtuali, sono state “amplificate”, in quanto i moderni dispositivi offrono l’opportunità di essere continuamente socialmente connessi (“always on”). Tuttavia l’esacerbante e smodato uso delle nuove tecnologiche ha portato a creare l’idea (fallace) di avere a disposizione potenzialità illimitate da cui attingere per il proprio successo sociale e per la propria felicità.

Secondo la Self Determination Theory, uno dei tre bisogni psicologici innati e naturali degli esseri umani (oltre a quelli di Competenza e di Autonomia) è quello della “Relazionalità”: “si ha necessità di fare parte di un contesto sociale dove poter intrecciare reti e creare condivisioni” (E. Decy, R. Ryan, 1985).

Il “bisogno di appartenenza” viene inoltre annoverato tra quelli “fondamentali” nella piramide di A. Maslow e, nella famosa gerarchia, si trova subito dopo i bisogni “fisiologi” legati alla sopravvivenza.

Secondo tali assunti i soggetti, durante tutto il corso della propria vita, cercano di gratificare questo loro bisogno di “essere continuamente connessi alla rete sociale”;
è in questo senso che i Social Network possono rappresentare uno strumento supplementare e di ausilio per raggiungere tale scopo, contribuendo ad amplificare anche il senso di appartenenza.

Il senso di appartenenza che si ricerca tramite i nuovi dispositivi digitali è un fattore importante per i nuovi costrutti di identità socio-digitale, nonché una componente chiave dell’autostima; questo è il motivo per cui le reti di Social Media svolgono un ruolo fondamentale nelle attuali relazioni tra individui.

Le piattaforme Social sono dunque degli importanti strumenti di aggregazione alla rete sociale e sono considerati -soprattutto dagli adolescenti- dei “canali preferenziali” con cui comunicare, intraprendere e mantenere relazioni.

I nativi digitali -adolescenti di oggi- hanno bisogno di sentirsi parte di un gruppo, anche quando questo è virtuale, poiché sperimentano e vivono la dimensione digitale come reale, sullo stesso piano di quella fisica, confondendone sempre piú spesso i confini” (M. Manca, 2016).
Quel che è certo è che in questa particolare fase di crescita e sviluppo che è l’adolescenza, è forte piú che mai il “bisogno di affiliazione ed appartenenza” ai propri coetanei, unito al “bisogno di sentirsi popolari” tra gli stessi.

Diverse ricerche sostengono che più sono forti questi bisogni, maggiore è l’uso che si fa delle piattaforme Social; inoltre, più si è connessi e sintonizzati con gli altri tramite l’utilizzo dei moderni dispositivi tecnologici, più vengono percepiti lo stress e la paura di essere esclusi e respinti dalla propria rete sociale (I. Beyens et all, 2016).

A questo proposito, accanto alla Teoria dell’Autodeterminazione, appare opportuno fare riferimento alle cosiddette “teorie del controllo sociale” che affermano che “gli individui sono in grado di rilevare la minaccia sociale e monitorare le condizioni per cui gli altri potrebbero escluderli o respingerli” (M. R. Leary et all, 1995).

D’altronde viene facile riconoscere come “un sistema di costante aggiornamento su una data situazione garantisca la sopravvivenza” (non necessariamente intesa in senso fisico, ma anche psicologico), poiché permette di fare tempestivamente fronte agli imprevisti. Se si pensa agli uomini primitivi, “essere sul pezzo” ha sempre avuto grandi vantaggi proprio in termini evolutivi; ecco perché siamo dotati dell’”impulso all’update”.

La FOMO attiva il sistema di controllo sociale e “fa sentire al soggetto l’”essere tagliato fuori” come una minaccia alle connessioni sociali con gli altri” (Z. G. Baker et all, 2016).
L’attività di monitoraggio, che deriva dall’attivazione dei sistemi di controllo sociale, è molto impegnativa e dá luogo frequentemente a “stati di disforia e lieve depressione, derivanti dall’ideazione ossessiva e dal timore di stare perdendo la competizione per avere un proprio ruolo nella società, per essere accettati e supportati dagli altri” (P. Gilbert et all, 2009).

In generale, il forte impegno sui Social Media, comporta una carenza di relazioni sociali reali, accanto ad un abbassamento del tono dell’umore e minor coscienza di sé: “i mezzi di comunicazione digitale possono ridurre l’autoriflessione e degradare il benessere dell’individuo”, (S. Turkle, 2012).
È, d’altronde, risaputo che “i soggetti che fanno un abuso dei dispositivi digitali godono di una peggiore salute psico-fisica”  (Z. G. Baker et all, op. cit).

Appare importante notare come, di conseguenza a quanto sinora detto, si inneschi un pericoloso “circolo vizioso”: per placare la paura di non perdersi niente si controllano compulsivamente i Social, ma così facendo aumenta la possibilità di imbattersi in eventi o situazioni da cui si viene inevitabilmente esclusi.

Per non sperimentare la FOMO si mette dunque in atto e si stabilizza l’abitudine di essere sempre reperibili in Rete e connessi per poter controllare le varie attività;
una maggiore connessione causa però un rischio piú elevato di poter incappare nella FOMO, nel “bisogno di dover presenziare sempre, ovunque e comunque”, che può diventare predominante, pervasivo, ossessivo e ai limiti di un’ideazione paranoica.
Inoltre tutto questo comporta, paradossalmente, ritiro ed evitamento sociale, oltre ad un minor rendimento scolastico, lavorativo ed esperienziale (J. Elhai et all, 2021).

Conclusioni:

La FOMO è sempre esistita, anche prima dell’avvento del digitale, proprio in virtú del bisogno innato di socialità dell’uomo e della sua necessità primordiale di appartenenza ad un gruppo.

Oggi però ci sono tante più occasioni per provare questo tipo di esperienza poiché si è ininterrottamente esposti all’esperienza altrui; “è come se la vita fosse costantemente in vetrina”.

A questo proposito un concetto che si vuole sottolineare riguarda il fatto che sui Social si tende a “sovrastimare la felicità e il successo degli altri”, in quanto non si vede la reale condizione delle altre persone, ma solo ciò queste ultime vogliono farci vedere.
Per cui è fisiologico sentirsi “in difetto” e “non all’altezza”, ma bisognerebbe riportare il tutto ad una “dimensione maggiormente realistica” che permetterebbe un’uscita dal confronto non necessariamente sempre e comunque fallimentare.

Se ci si dovesse infatti basare -come oggi purtroppo accade- esclusivamente sull’interpretazione dei post dei Social Network, ne deriverebbe la percezione che le esperienze che stanno vivendo gli altri siano migliori e più interessanti delle proprie, e si smarrirebbe definitivamente il senso della realtà.

È innegabile che ci vuole impegno per sottrarsi volontariamente al bombardamento di esperienze “positive” che il Web promette; ma probabilmente la chiave per contrastare questa dinamica è “accettare la realtà per quello che è, vivere il momento senza l’ansia di perdere qualcosa”;

al posto della “paura” di essere tagliati fuori, si potrebbe fare l’esperienza della “gioia di perdersi qualcosa”.

È questo il punto di vista di S. Brinkmann, autore di “The Joy of Missing Out”: “proprio dall’accettazione dei limiti della propria vita scaturirebbe una maggiore sensazione di felicità, consapevolezza, soddisfazione e appagamento […] in quanto sono proprio questi limiti che ci consentono di definirci umani”.

Ecco che allora forse bisognerebbe intervenire “a monte” aumentando la consapevolezza dei pensieri e delle aspettative che generano l’ansia da esclusione sociale, e la capacità di gestione dell’”esperienza emotiva” legata ad essi.

Sarebbe opportuno partire innanzitutto da delle buone dosi di realismo:
non è possibile essere sempre continuamente connessi e controllare le attività online di tutti;
cosí come bisognerá mettere in conto la possibilità di non partecipare a tutte le attività online di amici e conoscenti, senza per questo sentirsi “esclusi”.
Un parallelo incremento di attività offline contribuirà a bilanciare il “virtuale” con esperienze reali che favoriranno altresí il controllo di certi comportamenti ripetitivi disfunzionali e la riduzione del legame di dipendenza con la Rete.

Per Z. Bauman, i Social Media spesso sono “una via di fuga dai problemi del mondo offline, una dimensione in cui appositamente ci si rifugia per non affrontare le difficoltà della vita reale, con la conseguenza di una crescente fragilità dei rapporti umani”.

Come scriveva la Turkle: “Ogni tanto, separiamoci dal nostro smart-phone, per riprenderci il controllo su noi stessi…”.

È chiaro che se la sostituzione dei comportamenti disfunzionali non si riesce a mettere in pratica, né si rivela sufficiente, non bisognerá esitare a chiedere aiuto a dei professionisti che potranno fornire un valido ausilio per mettere a fuoco il disagio ed individuare le giuste strategie per superarlo.

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Bibliografia e Sitografia:

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Dott.ssa Pamela Cantarella, Psicologa Clinica, in formazione presso Scuola di Psicoterapia ad orientamento Sistemico-Relazionale, Responsabile Settore Comunicazione Pronto Soccorso Psicologico-Italia