Essere genitori oggi

A cura della Dott.ssa Daniela Cusimano, Psicologa Clinica, Coordinatrice Pronto Soccorso Psicologico-Italia

Abstract

The historical reality is characterized by intense socio-cultural changes, increasingly progressive and rapid technological development, and increasingly frantic and exhausting living conditions. These epochal changes have had a specific effect on the family, especially on the man-woman relationship, maternal and paternal responsibility, and the relationship between parents and children.

From an educational point of view, we are faced with a sudden cultural modification. This break is explained by the refusal to pass on to subsequent generations knowledge, values, historical memory, religious beliefs and even language, replaced by poorer forms of communication; in short, we are witnessing a total rejection of authority and tradition. Currently, there is a tendency to blame the family. Still, it is essential to keep in mind that young people live in a context in which the educational methods proposed by the family are permanently discredited or condemned and in which what matters is what is presented by the mass media, by social media, from the internet, from society, often does not correspond with the values ​​necessary for the family. So, being a parent today is very difficult. The topic of parenting and family models is increasingly flexible and complex. We often hear about the parent-child relationship, but we rarely stop to think about the changes faced in recent year.

Riassunto

La realtà storica in cui ci troviamo è caratterizzata da intensi cambiamenti socio-culturali, da un sempre più progressivo e rapido sviluppo tecnologico e da condizioni di vita sempre più frenetiche e logoranti. Questi mutamenti epocali hanno avuto un certo effetto sulla famiglia, soprattutto sul rapporto uomo-donna, sulla responsabilità materna e paterna e anche sul rapporto tra genitori e figli.

Dal punto di vista educativo siamo di fronte ad una vera e propria modificazione repentina culturale, una rottura che si spiega con il rifiuto di tramandare alle generazioni successive i saperi, i valori, la memoria storica, il credo religioso e perfino il linguaggio, rimpiazzato da forme di comunicazione più misere; in poche parole, si assiste ad un rifiuto totale dell’autorevolezza e della tradizione. Attualmente si protende a colpevolizzare la famiglia, ma è importante aver presente che i giovani vivono in un contesto in cui i metodi educativi proposti dalla famiglia vengono stabilmente screditati o condannati e nel quale ciò che importa realmente è quello che viene prospettato dai mass media, dai social, da internet, dalla società, spesso non corrisponde  con i valori importanti per la famiglia. Quindi essere i genitori oggi è molto difficile.  Il tema della genitorialità e dei modelli familiari è sempre più flessibile e articolato. Si sente spesso parlare del rapporto genitori-figli, ma raramente ci fermiamo a pensare sui cambiamenti affrontati negli ultimi anni.

Genitori oggi

Introduzione

La famiglia ha da sempre rappresentato un punto di riferimento indispensabile per l’educazione dei figli, e allo stesso tempo alla famiglia non può essere tolta la congenita e basilare missione educativa. Si potrebbe ribadire che oggi  siamo davanti ad una vera e propria emergenza educativa e il disastro educativo ha come risultato una decadenza morale e sociale. Possiamo dire di trovarci di fronte ad un crollo della famiglia come Istituzione. Il modello sociale della famiglia oggi è messo in discussione  e ci troviamo davanti ad una trasformazione del modello culturale di relazione tra le generazioni, dove ai genitori si implora di assomigliare ai figli, di vestire come i figli. Siamo assistendo al passaggio negli ultimi anni dalla famiglia con un “ruolo normativo” in cui si tramandavano principi morali e norme sociali, alla famiglia “affettiva” indirizzata a contrattare tutto e ad appagare i bisogni individuali dei figli, a evitargli frustrazioni e sofferenze. I giovani oggi possiedono tutto ancor prima di desiderarlo, ma se rimuoviamo il desiderio alla fine ciò che resta è solo il bisogno. Stiamo sicuramente favorendo un’educazione in cui lo stile affettivo mira a eccellere su quello normativo tanto da disporlo in secondo piano. Il rimprovero stesso appare essere divenuto inammissibile per i giovani d’oggi e risulta inefficace, e il ruolo di normatori dei genitori viene confutato come un intralcio alla loro autorealizzazione. La famiglia, alla luce di quanto detto fino adesso, sta perdendo  quell’ importanza e ad essere messa oggi in discussione non è solo l’autorità dei genitori,  ma anche quella di chi insegna, degli esperti o di chi è informato.

Da un lato sarebbe inopportuno forse recriminare la figura genitoriale autoritaria che distribuiva divieti ed obblighi, dall’altro lato ne conseguirebbe da parte della famiglia considerare eccessivo come primario l’aspetto affettivo e affidare alla scuola il compito di insegnare le regole. Perfino l’educazione ai valori e alle norme sociali è una manifestazione d’affetto che i genitori tramandano ai propri figli. Possedere un bagaglio di valori e principi morali è necessario per consentire ai bambini e ai ragazzi di vivere in mezzo agli altri, raffrontarsi e riservarsi un proprio posto nella società. Solo così essi potranno ricorrere alle norme e ai valori che già fanno parte alla propria educazione familiare e la scuola diventare uno strumento per facilitare lo sviluppo di un pensiero critico, necessario per la creazione e il confronto delle idee con chi ha pareri differenti dalle proprie, tramite la riconquista di una forma di comunicazione condivisa tra le generazioni e il trasformarsi gradualmente un’idea che è concepibile avere una dimensione sociale anche al di fuori dei social.

Alla luce di quanto detto fino adesso possiamo dire che l’educazione non è solo l’attuazione severa di principi o di un rigido sistema di regole che, se messi in pratica, dispongono al riparo da possibili deviazioni di comportamento. L’educazione può essere definita come un processo articolato che interessa sia la dimensione affettiva ed quella emotiva; è un ritrovo fra personalità e relazioni che il bambino testa prima di tutto con i genitori, i quali hanno un ruolo indispensabile nel suo sviluppo. Oltre a tramandare norme, l’azione educativa si fonda su affetti profondi che vengono impresse dalla più tenera età e che rappresentano la base sicura entro cui si costruiscono sane relazioni. Nella crescita dei propri figli fin dalla loro nascita è stato mostrato da numerosi studi psicologici come diventano necessari entrambi ruoli della madre e del padre. Il rapporto con la figura materna simboleggia l’area della cura intesa come accoglienza, protezione, legame, calore, soddisfazione del bisogno. Al padre, viceversa, è commissionato il compito di facilitare il processo di separazione dalla madre e di inserire il figlio nel mondo adulto autonomo. Il rapporto con la figura paterna sviluppa la capacità, l’esplorazione, l’efficienza, l’autonomia e l’indipendenza. La famiglia possiamo immaginarla come una base di appoggio emotivo e come uno scambio di affetti, la base sicura in cui l’individuo germoglia e si accomoda per l’esistenza nel sistema sociale. Alla stessa maniera la famiglia può essere il luogo di grandi conflitti, dove i genitori possono attribuirsi due modalità comportamentali opposte e disfunzionali: o si mostrano troppo rigidi fino a non sostenere i comportamenti aggressivi e provocatori dei figli, riducendo la parte delle emozioni; oppure si riconoscono con i figli dimenticando il ruolo gerarchico-parentale e divenendo “amici” dei propri figli, ostacolando così di riconoscere la propria aggressività, in particolar modo durante l’adolescenza. Quindi se noi adulti tramandiamo ai giovani affetto, obiettivi, valori e propositi che noi stessi inseguiamo e approviamo, i ragazzi otterranno senso critico, creatività, interesse e passione nello svolgere le attività che aumenteranno la loro personalità.

Per educare e responsabilizzare i figli, diventa adeguato dare nuovamente un senso più profondo alle cose, significato che è stato indubbiamente prosciugato dalla nostra cultura consumistica e effimera. Bisogna a questo punto come genitori, insegnare ai nostri figli la capacità di accogliere i propri limiti e allo stesso tempo essere presenti nell’educazione dei figli, senza lasciarsi sfuggire  il proprio ruolo genitoriale e, con amore ed entusiasmo, dare loro la possibilità di svilupparsi e di ottenere il senso profondo della propria esistenza.

 

Considerazioni

Divenire genitori è il mestiere più difficoltoso, ma allo stesso tempo  quello più in crescita. Per capirne le difficoltà, ma per di più le potenzialità, è necessario scontrarsi con i cambiamenti sociali e culturali, con l’ ambiente in cui viviamo. Attualmente affiorano nuovi stili relazionali, nuovi modi di vivere le relazioni intime, affettive e sociali, moderne forme di famiglie e nuovi modi per intendere la crescita e la formazione delle identità. Partendo dal presupposto che molto spesso  la genitorialità non combacia necessariamente con la maternità e la paternità biologiche, ma con la “capacità di prendersi cura”, è palese allo stato attuale che i genitori si riconoscono da una parte impoveriti della loro funzione educativa, potremmo dire  indeboliti verso i figli, dall’altra smisuratamente responsabilizzati dal compito di farli crescere bene e in fretta. Ma la condizione di genitore non è solo un ruolo da rivestire: essere madre e padre è una consapevolezza che va assimilata, deve divenire memoria corporea, e questo avviene cercando di congiungere consapevolezza e spontaneità. Attraverso la quotidianità che viviamo con i nostri figli comprendiamo il sentirci madri e padri,  possiamo  far stare nel nostro corpo ciò che siamo diventati.

L’educazione familiare e le pratiche genitoriali sono estensioni e processi umani in perenne mutamento. Come accade per tutte le aree della vita sociale, anch’esse derivano dai sistemi culturali, politici, economici presenti in definiti luoghi e periodi storici e, al pari di questi, mutano dando luogo a relazioni tra genitori e figli e a forme educative spesso sconosciute e più eterogenee. Intorno al concetto di famiglia è stata fornita nel tempo una grande quantità di studi che, attraverso il ricorso a discipline e metodi differenti, ne hanno esplorato le diverse sfaccettature tra cui la composizione e il funzionamento interno, la qualità dei legami affettivi fra genitori e figli, lo status socio-economico, la tipologia dei rapporti che i singoli membri possono legare con le realtà esterne e i processi che ne hanno mutato la struttura tradizionale «centrata sulla dimensione contrattuale» e dominata dalla figura autoritaria del padre (Attias-Donfut, Segalen, 2001; Barbagli, 2013; Contini, 2010; Hellinger, 2010, trad. it. 2013; Iori, 2006; Murgia, Poggio, 2011; Recalcati, 2013; Zanatta, 2011) Nel tentativo di ricostruire i retaggi culturali  trasmessi nell’immaginario collettivo, la sociologa Chiara Saraceno paragona la famiglia attuale a un caleidoscopio, rivelando tale metafora più confacente rispetto a quella dell’arazzo utilizzata anni fa dalla sociologa americana Barrie Thorne (1985). La sociologa Saraceno afferma: La metafora dell’arazzo è suggestiva e illuminante, perché segnala la molteplicità delle dimensioni (e delle relazioni) che danno vita alla famiglia e l’importanza […] del punto di vista di chi la sperimenta concretamente, o ne parla. Ma è una metafora che restituisce pur sempre un’immagine statica della famiglia, ove il cambiamento sta solo nell’occhio di chi guarda e non anche nel fenomeno guardato […]. Forse la metafora del caleidoscopio sarebbe più aderente a un fenomeno che non muta solo nella nostra percezione, ma anche nelle norme e nelle relazioni che lo costituiscono, nel tempo, e da una società all’altra. Apparentemente gli ingredienti/tessere sono sempre gli stessi […] ma si combinano in modi e con significati diversi a seconda del contesto (2012, p. 28)

Considerato che “è in famiglia l’individuo impara a relazionarsi con gli altri, è in famiglia che si apprende il potere della seduzione e del rifiuto, è in famiglia che si imparano, attraverso l’esempio degli adulti, i principali modelli formativi, connessi ai ruoli sessuali e sociali e ai riti della crescita e dell’autoaffermazione” (Ulivieri, 2001, p. 243), questo è un tema importante che concerne agli stili educativi genitoriali e alla tipologia delle relazioni affettive che si creano tra genitori e figli a partire dal loro primo incontro che, nella maggior parte dei casi, accade alla nascita. In merito a ciò John Bowlby asserisce che la caratteristica più importante dell’essere genitori è quella di  dare una base sicura da cui un bambino o un adolescente possa avviarsi per affacciarsi nel mondo esterno e a cui possa tornare sapendo per certo che sarà il benvenuto, nutrito sul piano fisico ed emotivo, consolato se triste, confortato se spaventato. In sostanza questo ruolo consta nell’essere disponibili, pronti a dare risposta quando chiamati in causa, per sostenere e dare appoggio, ma intervenendo attivamente solo quando è chiaramente necessario. […] Nessun genitore può dare una base sicura al figlio che sta crescendo a meno che non abbia comprensione e rispetto per il comportamento d’attaccamento del proprio bambino e tratti questo comportamento come una parte della natura umana intrinsecamente degna di valore (Bowlby, 1988, trad. it. 1989, pp. 10-11)

Certamente le attese che un genitore ha nel nostro tempo sono diverse dalle aspettative che teneva un genitore del passato: oggi abbiamo appreso che la relazione con il genitore è basilare per lo sviluppo della personalità dei bambini, e questo ci rende responsabili molto, mentre prima ciò non se lo ponevano. È cambiata la sensazione del genitore di sé stesso. Di conseguenza la condizione di isolamento che oggi contraddistingue molte famiglie, cioè vedere  crescere un figlio senza il tessuto famigliare, in una situazione di sradicamento, congiuntamente alla maggiore consapevolezza di ciò che implica il ruolo di genitore, porta ad avere più indistinte incertezze. Ne consegue che si protende a rintracciare nello specialista la risposta o la rassicurazione, a volte considerando subito di essere in situazione patologica. Al contrario sarebbe necessario far capire che quello che stanno vivendo come genitori con il loro bambino o adolescente, sono delle ordinarie problematicità di crescita. Delle  volte è un’ eccedenza di protezione che rischia di essere collusivo con questi comportamenti e li sostiene. In realtà si pensa che proteggendoli eviteremo loro le frustrazioni. Piuttosto bisogna allenare i bambini a vivere le delusioni e a controllare i propri limiti. Questo non significa assolutamente che dobbiamo assolverci come genitori, ma dobbiamo impegnarci ancora di più per insegnare ai nostri bambini l’educazione alle emozioni.

Rispetto a ciò c’è un pensiero  di Goleman, che riassume quello che è il problema più evidente nella nostra società oggi: “L’educazione all’emozione ci conduce all’empatia, che è la capacità di leggere l’emozione degli altri. E poiché senza percezione dell’esigenza della disperazione altrui non può esserci preoccupazione per gli altri, la radice dell’altruismo sta nell’empatia, che si raggiunge con quell’educazione emotiva che consente a ciascuno di conseguire quegli atteggiamenti morali dei quali i nostri tempi hanno grande bisogno: l’autocontrollo e la compassione”(2011). Quindi si potrebbe  dire che le istruzioni che saldano, nella relazione tra genitori e figli, sono sempre quelle: l’attenzione, la vicinanza, il tempo, non arrestare mai la comunicazione buona o cattiva che sia.

Se l’essere genitori come abbiamo detto prima coincide con la maternità o la paternità di un figlio «mi sento padre o madre di questo figlio», l’essere cogenitore fa invece riferimento con l’essere genitori di questo figlio con l’altro genitore. Queste due esperienze della funzione genitoriale, seppur definite, sono inestricabilmente collegate e si condizionano reciprocamente: il modo in cui si è “genitori-con” influenza il modo in cui si è “genitori di”. Una delle competizioni del contesto attuale, per i genitori e per i figli, è quella di essere “genitori con”.

Questa dimensione è in realtà quella molti clinici si troviamo ad affrontare quando i genitori riferiscono un disagio comportamentale dei figli o sintomi che esprimono profonde sofferenze. Diventa necessario a questo punto definire quali sono le dimensioni della co-genitorialità. Studiare la famiglia vuol dire prima di tutto considerare il Sé familiare e le tre funzioni del Sé. La prima che possiamo notare è la Funzione Es della famiglia, ovvero come stanno i corpi, e controlla la dimensione dell’intercorporeità, cioè dei vissuti corporeo-relazionali che sussistono tra i membri della famiglia. La seconda che compare al confine di contatto nella relazione tra i membri della famiglia è la Funzione Io: ogni sofferenza manifesta un’esperienza di contatto interrotta come per esempio «cosa io posso fare con te, quali cose posso dire o non dire». La terza è la Funzione Personalità che controlla i pensieri collegati con l’esperienza, per meglio dire i pensieri corporei, la consapevolezza incarnata; è fondamentale che i genitori si avvertano co-responsabili del benessere e del disagio dei figli, attribuendosi la co-responsabilità del prendersi cura. Alla luce di quanto detto fino adesso possiamo dire che il ruolo genitoriale e co-genitoriale non sono collegati a un comportamento, bensì a un sentire che trova il suo senso e la sua direzione educativa.

 Conclusioni

Oggi la stragrande maggioranza delle famiglie, ha entrambi i genitori impegnati in un’attività lavorativa, un fenomeno impensabile almeno mezzo secolo fa, quando le donne erano in maggior misura costrette a casa nello svolgimento delle attività domestiche e nella cura dei figli. Le famiglie erano di numero elevato rispetto ad oggi. Gli stili educativi inflessibili di quei tempi, dove diventava necessario per coordinare una prole molto numerosa sembra oggi scavalcata da uno stile più morbido più permissivo e tollerante. In questo periodo storico notiamo sempre più  di genitori che palesano evidenti difficoltà nel tramandare ai figli regole e valori.

Quello che salta agli occhi è che i genitori protendono, sempre più, ad avere nei confronti dei figli atteggiamenti di tipo ansioso, costruiti sul sommergere il figlio di attenzioni e di affetto. Probabilmente per paura di privare il figlio dell’amore essenziale e quindi di poter essere valutati i responsabili di eventuali suoi problemi psicologici futuri; ecco allora che i genitori decidono sempre più spesso la via dell’iperprotezione.

Questa  modalità allo stato attuale ,è la propensione predominante di molte famiglie, tendenza totalmente contrapposta a quella di alcuni decenni fa. Il vero problema non è tanto la deprivazione affettiva quanto l’eccessiva protezione; una protezione che, dissomiglianza da quello che potremmo considerare, non aiuta i figli a divenire autonomi e indipendenti, ma al contrario, li fa sviluppare insicuri e impauriti, con il risultato di disporre ad essere più sottoposti a disturbi psicologici di tipo ansioso, ossessivo, fobico, depressivo o legati ai comportamenti alimentari.

Scaturiscono così varie tipologie di genitori, come:  “genitori elicottero”, così circoscritti perché sono pronti ad precipitarsi in soccorso dei figli, sorvolando sulle loro teste qualsiasi cosa facciano; oppure “genitori spazzaneve” che sgombrano la strada dei figli da ogni intoppo, o “genitori curling” che appunto lustrano il fondo davanti ai piedi dei figli perché scorrano senza fatica lungo il cammino della vita.

È palese che sosteniamo una genitorialità che si trova a fare fronte diverse sfide, a misurarsi con una società che muta speditamente. Spesso lo psicologo all’interno dello studio gli capita di imbattersi in  mamme e papà confusi, smarriti, persi nella gestione delle regole, incapaci di posizionare la giusta distanza, sconvenientemente invasivi o superficialmente assenti. Genitori che fanno fatica a ritagliarsi uno spazio condiviso di accudimento, accompagnamento e buone abitudini.

Nondimeno oggi c’è un maggiore interesse alla relazione, al desiderio di creare un rapporto significativo con i propri figli, ma a volte scarseggiano gli strumenti o la cognizione per procedere in tale direzione. Suppongo che gli psicologi possano facilitare le famiglie moderne a rendere visibile le loro capacità genitoriali, a mettersi in discussione, a supportare gli sforzi dei figli e dei genitori stessi nell’educare e crescere i propri figli. Il parent coaching è uno strumento che viene spesso utilizzato nei percorsi di sostegno alla genitorialità consente alle famiglie di far fronte con cognizione le criticità che il genitore combatte nel quotidiano e dando spunti per incrementare strategie di problem solving utili nella relazione genitori con i figli. Infatti, come abbiamo detto prima educare indica realmente mettere in pratica giorno per giorno tante abilità tra cui appagare i bisogni dei propri figli, accogliere ed istruire sulle proprie emozioni e i propri stati d’animo, dare regole di comportamento, esporre sistemi valoriali e molto altro. Nel mettere in pratica  tutto questo molto spesso i genitori provano stati d’animo spiacevoli legati al fatto di non sentirsi abbastanza predisposti o adeguati, saggiando sensi di colpa non consoni che dal punto di vista psicologico descrivono un duro colpo alla propria autostima genitoriale e personale e di cui può avvertire il rapporto con il proprio o i propri figli.

Come affermava uno dei padri fondatori della psicologia evolutiva in Italia, il Prof. Guido Petter, “il mestiere di genitori è difficile e complesso, ma tuttavia coloro che lo esercitano non hanno di solito ricevuto alcuna specifica preparazione. Man mano che il proprio figlio cresce si provano gioie e soddisfazioni, ma anche sempre nuove sfide e difficoltà specie se si tratta del primo figlio”(2013). Pure quando si ha già un figlio comunque ci si incappa sempre in circostanze nuove anche nelle stesse fasi di crescita perché ogni bambino è differente dall’altro e di conseguenza ci sono delle disuguaglianze individuali”. Difatti è comune non poter essere pronti ad affrontare tutta l’infinita gamma di fasi educazionali, non abbiamo un manuale di genitore perfetto o una insegnamento specifico per divenire tale: il primo passo deve essere quello di  riconoscere la propria imperfezione come genitore e non avere il desiderio di essere sempre “al top”. Quello che invece possiamo puntare  è sostenere il genitore a tentare di trovare un punto di vista differente che mette l’accento sulle potenzialità e su ciò che si può ottimizzare invece di centrarsi su quello che non si è in grado di ottenere.

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Dott.ssa Daniela Cusimano, Coordinatrice PSP-Italia