A cura del Prof. Mariano Indelicato, Presidente Pronto Soccorso Psicologico
Abstract
Research on psychological well-being has ancient origins, and still today, the Aristotelian concept of eudaimonia, which means “being in the company of a good demon,” apparently indicates that those with good luck can achieve well-being. For Aristotle, well-being does not correspond to the pursuit of pleasure but is the ultimate good of man. To achieve it, you need to be Agathoi, that is, to become a valid person to reach the maximum degree of well-being or eudaimonia, understood as an activity “of the soul following excellence”. Starting from the consideration that well-being corresponds to a search, tension, and a desire towards lost happiness, this work analyzes the research conducted in this field with particular attention to prosociality. What has been missing from the study conducted in eudaimonia is what Aristotle indicated as the soul or something that precedes the individual existence itself, which should be sought within generativity and generational history.
Riassunto
La ricerca sul benessere psicologico ha origine antiche e ancora oggi il concetto aristotelico di eudaimonia che letteralmente, significa “essere in compagnia di un buon demone” che, in apparenza, indica che il benessere può essere raggiunto da chi possiede una buona sorte. Per Aristotele il benessere non corrisponde alla ricerca del piacere ma è il bene ultimo dell’uomo. Per raggiungerlo bisogna essere Agathoi cioè diventare persone valide al fine di raggiungere il massimo grado di benessere ovvero l’eudamonia intesa come un’attività “dell’anima in accordo con l’eccellenza”. Il presente lavoro partendo dalla considerazione che il benessere corrisponde ad una ricerca, a una tensione, un desiderio verso una felicità perduta analizza le ricerche condotte in questo campo con una particolare attenzione alla prosocialità. Ciò che è mancato alle ricerche condotte nel campo dell’eudaimonia, forse, è ciò che Aristotele indicava come anima ovvero come qualcosa che precede la stessa esistenza individuale che dovrebbe essere ricercata all’interno della generatività e della storia generazionale.
Introduzione
E’ naturale che ogni persona tende a stare bene, a vivere una condizione esistenziale positiva sia sul piano personale, sia in quello interpersonale. E’ altrettanto chiaro, però, che spesso il benessere, come descritto da Leopardi, è il breve intervallo tra due dolori. In effetti fin dagli albori della cultura sono state prodotte migliaia di definizioni del termine benessere che possono essere riassunti come: uno stato perfetto dell’anima; un’estasi quasi insopportabile; l’avere tutto; etc. Fromm (1976) ha posto l’accento sull’avere e sull’essere mettendo in risalto che viviamo in un sistema sociale che tenta a privilegiare il primo sul secondo. La modalità dell’Avere è più indicata, infatti, alle società consumistiche, individuale dove il possesso è una condizione essenziale, l’esistenza dell’uomo è mirata ad accumulare per mostrare uno status sociale elevato, per gratificarsi di ciò che ha e sperare nell’invidia e nell’adulazione del prossimo. Il benessere si situa metà tra la distonia dell’avere e la distonia dell’essere. La distonia dell’avere è frutto della mancata aspettativa del godimento del desiderio: se un bambino ha dovuto desiderare troppo spesso per ottenere da adulto sarà sempre alla ricerca di un nuovo possesso. Il bambino, al contrario, che ha tanto posseduto, al quale sono stati appagati desideri che non ha in quel momenti vivrà, da adulto, nell’esigenza del desiderio ovvero avrà i tratti di una persona che giungerà in tempi più lunghi ai suoi obiettivi, amerà desiderare, anelare, attendere la possibile soddisfazione per gustarne più intensamente il sapore dell’appagamento, desidera sentire il desiderio e l’emozione che lascia dentro piuttosto che ottenere immediatamente e si coinvolgerà con persone che non appagheranno le sue esigenze. Il benessere, pertanto, oscilla nell’equilibrio precario di queste due opposte esigenze che vengono sintetizzate emblematicamente da Fromm (op. cit.) con la seguente affermazione “Un Avere deve possedere un fiore, lo coglie, lo fa suo. Un Essere ne contempla la bellezza, godendo di questo, percependolo per immaginare altri orizzonti”. In fondo il dilemma esistenziale è sempre quello amletico tra l’essere o il non essere poiché il benessere riguarda la costruzione della persona dove la felicità deve essere colta, nello stesso tempo, come esperienza e come idea: chi è felice infatti è felice secondo un’idea. “Indipendentemente della sua condizione, l’uomo è situato in un mondo che decide della percezione e del significato della percezione e del significato della sua stessa felicità. E’ questa la ragione per cui quando si parla di felicità, ciò di cui si parla davvero sono i modi di sentirsi felici, e quando si ragiona di felicità si indaga sulle risorse dell’IO” (Natoli, 1994). Il benessere psicologico, quindi, non è tanto appagamento del desiderio ma, per paradosso, risiede nell’accettazione del non soddisfacimento dello stesso desiderio. Freud (1925), a tal proposito, parla di pulsione inibita alla meta poiché, come messo in luce successivamente da Lacan (1960), il desiderio deve sottostare alla legge al fine della necessaria convivenza civile. Il perseguire l’appagamento del desiderio senza la legge non porta al benessere ma, semplicemente, al soddisfacimento delle proprie esigenze egoiche.
Queste considerazioni riportano alla ricerca della felicità perduta. Infatti, Il benessere è perduto prima che trovato: è dalla angoscia, dal vuoto, dalla mancanza che emerge la ricerca, il desiderio di migliorare la propria condizione esistenziale. D’altronde, la cultura giudaico-cristiana, della quale ci cibiamo e che, sul piano antropologico plasma i miti, i simboli, i rituali di carattere culturale che determina il contesto di sviluppo dell’individuo, considera la vita terrena come un passaggio di espiazione al fine di raggiungere il paradiso che i nostri primi progenitori, Adamo ed Eva, hanno perso essendo stati cacciati per aver osato ribellarsi ai dettami di Dio. La storia umana, dal punto di vista biblico, sostenuta dalla speranza e dalla fiducia della riconquista del paradiso perduto, è intrisa di angoscia e dolore assumendo che quest’ultimo sia insito nel profondo degli stessi uomini. Solo la speranza e la fiducia di poter godere della visione di Dio ed essere accanto a lui nella vita ultraterrena, sono in grado di lenire le sofferenze determinate dal dover sottoporre, come sostenuto da Lacan (op. cit.), il desiderio alla Legge: “bisogna che il godimento sia rifiutato perché possa essere raggiunto sulla scala rovesciata della Legge del desiderio”. Sia per Freud sia per Lacan una delle angosce fondamentali ai fini dello sviluppo è quella legata alla paura di castrazione. Per Freud, essa rappresenta la matrice di tutte le angosce risignificando, nella situazione edipica, lo stato affettivo originario dell’impotenza e della paura della perdita. La frustrazione, l’angoscia legata alla perdita dell’oggetto costituisce la risposta automatica dell’individuo al conseguente trauma fin dalla nascita: “…Sia come fenomeno automatico, sia quale segnale di salvataggio, l’angoscia appare il prodotto dello stato di impotenza psichica del poppante…”. Per Lacan, come sostiene Di Ciaccia (2013), l’individuo nasce simbolicamente nel mito edipico “la mancanza di godimento, a causa dell’interdizione prodotta dalla figura paterna, [è] metafora del fatto che l’umano, entrando nel linguaggio, perde il suo essere Cosa per essere elevato alla dignità del simbolico, secondo lo schema hegeliano dell’Aufhebung: il Simbolo è l’uccisione della Cosa”. Di fatto l’individuo perde la sua naturalità ed affinchè possa accedere all’esperienza del godimento ha bisogno dell’Altro: “Il desiderio si sprigiona proprio in questo circuito dell’Aufhebung: l’umano è preso dalla necessità di rispondere al bisogno, bisogno di quell’oggetto da cui avrebbe soddisfacimento. Ma l’umano non ha accesso all’oggetto del bisogno direttamente, deve passare per un altro (madre, padre etc), deve quindi annullare il bisogno in quanto tale ed elevarlo alla dignità del simbolico tramutandolo in domanda, che è un significante, ed è rivolta quindi all’Altro supposto soddisfarlo. La domanda produce nell’umano come significato il desiderio. A sua volta il desiderio, poiché non trova l’oggetto adeguato che lo soddisfi, si articola con il desiderio dell’Altro (“il desiderio dell’uomo è il desiderio dell’Altro”)” (Di Ciaccia, ibidem). E’ attraverso il desiderio dell’altro, quindi, che l’individuo supera il trauma della perdita e della mancanza. Essendo l’altro, inoltre, un significante tra i significanti il desiderio per essere soddisfatto deve passare attraverso la Legge. I modelli teorici non sono avulsi dal contesto culturale e dalle credenze da cui provengono gli autori e in Freud, conseguentemente in Lacan, non sfugge che fosse ebreo e, quindi, le sue spiegazioni dello sviluppo dell’individuo risentono delle sue radici, anche se, sul piano antropologico, anche i greci erano convinti che la felicità appartenesse agli Dei. Essi, infatti, utilizzavano i termini eutuchìa ed eudaimonia che letteralmente significano, il primo, buona fortuna e buon accadimento e, il secondo, la condizione di possedere un “demone favorevole”. In effetti, eudaimonia deriva da eu “bene” e daimon “Demone” e, letteralmente, significa “essere in compagnia di un buon demone” che, in apparenza, indica che il benessere può essere raggiunto da chi possiede una buona sorte. In effetti, cosi come ammonisce Aristotele, il benessere non corrisponde al piacere ma è il bene ultimo dell’uomo. Il benessere non è la ricchezza cosi come gli onori poiché la prima è un mezzo per raggiungere altro, e i secondi, la modalità con cui superare le proprie insicurezze. Per Aristotele bisogna essere Agathoi cioè diventare persone valide al fine di raggiungere il massimo grado di benessere ovvero l’eudamonia intesa come un’attività “dell’anima in accordo con l’eccellenza”.
Considerazioni
Ryff e Singer (2006) dai concetti aristotelici traggono un modello di benessere eaudamonico che ha come scopo finale non tanto la felicità quanto la realizzazione di se stessi e delle proprie potenzialità. Ryff (1982, 1985, 1989) in precedenza aveva già sviluppato un modello di benessere a sei dimensioni in grado di integrare il funzionamento positivo dell’individuo (fig.1) facendo riferimento a tutte le teorie cliniche che nel tempo si sono occupate non tanto di disfunzioni ma di aspetti positivi dell’individuo .
Le dimensioni individuate da Ryff (ibidem) sono:
L’accettazione di sé intesa non tanto come la necessità di avere un’autostima positiva ma, piuttosto, come la presa di consapevolezza dei propri aspetti positivi e negativi. Infatti, se essa viene considerata come “una caratteristica centrale della salute mentale (Jahoda), dell’autorealizzazione (Maslow), del funzionamento ottimale (Rogers) e della maturità (Allport)” , bisogna anche tenere conto che le teorie dello sviluppo di Erikson e Neugarten hanno sottolineato l’importanza della propria vita passata nell’ accettazione di sé così come Jung mette in risalto la necessità di venire a patti con il lato oscuro di sé ovvero l’ombra.
Relazioni positive con gli altri; l’amore e i sentimenti positivi sia in ambito psicologico che filosofico sono messi in relazione con la realizzazione di grandi cose. E’ cosi nelle teorie di Allport il quale mette il rapporto affettivo con gli altri come raggiungimento della maturità. Anche nella teoria dello sviluppo di Erickson l’amore e l’empatia occupano un posto importante ai fini sia dello sviluppo del sé e, quindi, prendersi cura di se stessi sia del prendersi cura degli altri nella generatività.
Crescita personale indica l’autorealizzazione di se stessi come elemento importante e funzionale ai fini del benessere individuale. Maslow e Norton individuano la crescita personale come lo sviluppo del proprio potenziale, Jahoda (ibidem) afferama che essa è importante ai fini della salute mentale cosi come Erikson, Neurgaten, Jung rilevano che è fondamentale nelle varie tappe dello sviluppo;
Scopo della vita fa riferimento, da una lato, alla creazione di uno scopo e di una direzione alla vita, cosi come indicato da Sartre, e, dall’altro, alla capacità di affrontare le avversità alle l’esistenza espone l’individuo.
Padronanza ambientale cosi come definita da Jahoda ovvero la capacità dell’individuo di scegliere o creare ambienti adatti alle sue condizioni psichiche. Le ultime ricerche in questo campo, tenendo conto dell’allungamento della durata della vita, si sono concentrate sulle capacità degli individui di adattarsi ai complessi cambiamenti del contesto di vita;
Autonomia intesa come la capacità di auto-determinarsi. In quest’ambito Maslow ha parlato di resistenza all’inculturizzazione, Rogers di sé come luogo interno di valutazione non soggetto all’approvazione degli altri, Jung di liberazione delle convenzioni in cui non si appartiene più alle credenze e alle leggi collettive e altri autori, Erikson, Neugarten, di acquisire un senso di libertà dalle norme che regolano la vita quotidiana.
Accanto al modello di Ryff sul benessere eaudamonico, in questi ultimi anni moltissime ricerche hanno messo in relazione il benessere come frutto di una combinazione tra esigenze eudamoniche e ed edoniche (benessere individuale). In sostanza è stato rivalutato il concetto latino di felicitas che significa fertile, nutriente. L’idea è che la felicità nutre la vita, aiuta a vivere meglio cosi come sostiene Andreoli (2013) “la felicità, intesa come assenza di disagio, è capace a sua volta di promuovere altra felicità, poiché nell’ambiente sociale il benessere di un individuo influisce anche sul benessere di chi gli vive accanto”. In particolare sono state analizzate le modalità con cui i comportamenti prosociali siano determinati dal benessere individuale e/o al contrario.
Murphy e Ackermann (2014), criticando le teorie psicologiche, sociologiche ed economiche che hanno postulato che l’interesse individuale guidi il comportamento individuale, hanno messo in luce attraverso la misurazione del SVO (Orientamento al Valore Sociale) che “ciò che motiva le persone quando prendono decisioni e il modo in cui tali motivazioni sono potenzialmente intrecciate con le preoccupazioni per gli altri”. Falk e Graeber ( 2020) si chiedono se i comportamenti prosociali promuovono la felicità attraverso un paradigma sperimentale denominato Saving a Life. In fase sperimentale le persone potevano salvare una vita umana o donando 350 € o ricevendo 100 €. In ambedue i casi di scelta veniva misurata ripetutamente la felicità. I risultati che hanno ottenuto in un primo momento erano che il comportamento prosociale (donazione) dava una felicità maggiore rispetto all’ottenimento del denaro. In un esperimento successivo, invece, quelli che prima avevano un comportamento maggiormente prosociale hanno mostrato la preferenza a ricevere il denaro a dimostrazione che i comportamenti prosociale non sono universali. Kushlev et al.(2022) hanno esplorato la correlazione tra benessere individuale e comportamenti prosociali, attraverso una popolazione di 167 paesi, in tutto il mondo scoprendo che solo la soddisfazione di vita e gli affetti positivi erano correlati positivamente, mentre gli affetti negativi non correlavano per tutti i paesi del mondo. Rinner et alt. (2022) hanno messo, attraverso un’attività sperimentale, in risalto il ruolo dell’autonomia nei comportamenti prosociali ai fini del benessere. Infatti, essi consigliano “Gli interventi volti a promuovere comportamenti prosociali dovrebbero garantire che i comportamenti siano attuati in modo autonomo”. Addirittura Song et alt. (2020), in linea con il parametro di Saving a Life, hanno sperimentato che i bambini di due paesi diversi (Olanda e Cina) mostrano più felicità quando condividono piuttosto che quando ricevono dolcetti. Per i suddetti ricercatori questa è la prova che gli esseri umani per loro natura sono prosociali e, da quest’ultima caratteristica, dipende il loro benessere. I suddetti studi e dati di ricerca vengono confermati anche dai dati teorici come quelli di Aknin e Whillans (2021) e Hui (2022). I primi facendo riferimento alla Self – Determination Theory di Ryan e Deci (2000) sostengono che gli esseri umani hanno tre bisogni fondamentali per il loro benessere fisico e psicologico che individuano: nell’autonomia definita come il bisogno di vedere le proprie azioni come volitive o autodeterminate; nella competenza definita come il bisogno di vedere se stessi come attori capaci ed efficaci e nella relazionalità definita come il bisogno di sentirsi vicini o connessi con gli altri esseri umani. Il lavoro di Hui, invece, tende di risolvere la dicotomia presente negli studi sul benessere e la prosocialità ovvero se il primo è effetto della prosocialità e/o causa. Il modello di Hui si basa sulla reciprocità per cui il comportamento prosociale genera benessere e, nello stesso tempo, quest’ultimo genera il comportamento prosociale. In sostanza gli studi citati sembrano confermare il postulato di Agathoi di Aristotele ovvero che gli individui con preferenze prosociali tendono a comportarsi in modo più prosociale di quelli con preferenze proself perché il benessere degli altri ha un maggiore impatto positivo sul proprio benessere (Iwasaki, 2023). Questi studi, inoltre, dimostrano che l’essere umano è un uomo sociale e il suo benessere cosi come il benessere dell’intero sistema sociale dipendono dalle azioni reciproche. Infatti, come messo in luce in uno studio recente di Iwasaki (ibidem) i ricercatori hanno studiato varie determinanti del benessere soggettivo come: la genitorialità (Poll mann-Schult, 2014; Radó, 2020), le preferenze politiche (Napiere Jost, 2008; Onraet et al., 2017), il reddito (Boyce et al., 2010;FitzRoy e Nolan, 2022), l’istruzione (Cuñado e de Gracia,2012; Nikolaev, 2018) che giocano un ruolo significativo nella vita sociale e sono altamente correlati con la felicità. Quanto ci preoccupiamo per gli altri gioca un ruolo importante nella vita sociale, quindi è naturale supporre che anche le preferenze sociali abbiano una grande impatto sulla felicità. Sebbene tutte queste ricerche confermano, come accennato in precedenza, le intuizioni di Aristotele a mio modo di vedere il concetto di eudamonia è stato semplicemente analizzato e spiegato in parte. Infatti, non si è tenuto conto che essa per Aristotele è “un’attività dell’anima” che egli individua come il luogo di origine del pensiero, dei sentimenti e del corpo. Essendo il luogo di origine precede la vita e, quindi, anticipa la stessa esistenza dell’essere umano. E’ l’anima che da significato e vita all’individuo. In un mio precedente lavoro, rifacendomi al concetto di anima in Plotino, ho sostenuto che possiamo identificare per analogia la cultura con l’anima come contesto che da significazione alla stessa esistenza e/o, in senso batesonionano, alla struttura che connette (Indelicato, 2023). Bateson (1976) giustamente si chiede “Quale struttura connette il granchio con l’aragosta, l’orchidea con la primula e tutti e quattro con me? E me con voi? E tutti e sei con l’ameba da una parte e con lo schizofrenico dall’altra?”. Per Bateson la risposta è nella creatura ovvero, cosi come per l’anima di Aristotele, in qualcosa che precede e che si è costruita lungo l’arco della stessa esistenza umana. Per tale motivo può essere identificata con la cultura come contenitore dei miti, dei simboli e dei rituali che danno significazione ai comportamenti. E’, quindi, all’interno della cultura che va ricercata la tensione verso il benessere che provenendo dall’al di là, ovvero da quello che ci sta prima della nascita e dopo la morte, si trasmette lungo l’arco delle generazioni assumendo caratteristiche transgenerazionali. La motivazione alla prosocialità, descritta precedentemente, va ricercata nel bisogno tipicamente umano di fare legame con l’Altro in modo da potersi riconoscere e, nello spesso tempo, di sentirsi membro di un gruppo più grande (appartenenza).
Conclusioni
La ricerca prima citata di Song et alt. (op. cit) nella quale viene messo in risalto che i bambini si sentono maggiormente gratificati dalla condivisione più che dai dolcetti non fa altro che avvalorare la tendenza, tipicamente umana, di fare legame con l’Altro. E’ in quest’ambito che vanno ricercate le determinanti del benessere e non è un caso che tutte le teorie sullo sviluppo insistono sulle relazioni e su i legami familiari, restando però ancorati agli aspetti intergenerazionali. Nella tradizione psicoanalitica sono le relazioni madre-bambino a determinare lo sviluppo successivo dell’individuo sull’asse della sanità e della patologia. Affinchè vi sia uno sviluppo sano è necessaria per Winnicott (1971) una Good Enough Mother ovvero una madre che si sappia sintonizzare sulle esigenze del figlio sviluppandone l’autonomia senza per questo tralasciare il suo ruolo genitoriale di guida. Al contrario, in letteratura è stata descritta una madre castrante che tende a realizzarsi progettando e guidando la vita del figlio. Allo stesso modo, Bolwby sostiene che lo stile di attaccamento infantile influenzerà le future relazioni e i futuri legami individuali. Affinchè l’individuo possa sviluppare l’autonomia, possa essere capace di autodeterminarsi, possa condividere le sue esperienze con gli altri, cosi come messo in luce da Ryan e Deci (op. cit.), deve aver avuto sul piano intergenerazionale esperienze infantili positive. La ricerca sia clinica sia non clinica documentano una correlazione tra le relazioni infantili e l’adattamento in età adulta. In particolare, alcune ricerche (Luecken, 2000 – Parker, 1983 – Richman e Flaherty, 1986 – Kessler, Davis e Kendler, 1997) hanno messo in luce che la mancanza di attenzione e affetto durante l’infanzia porta a grave ostilità interpersonale, depressione e altri disturbi psicologici in età adulta (An e Cooney, 2006). Il benessere psicologico e la prosocialità sono frutto della strutturazione dei legami familiari e, all’interno di quest’ultimi, non possono essere tralasciati, così come messo in luce da Erickson (1968), le transizioni familiari e le spinte generative. Infatti essendo coinvolti i genitori non si possono trascurare le spinte e i legami transgenerazionali quelli che Scabini e Cigoli (2000) individuano nel famigliare come ciò che “lega tra di loro i vivi e i morti, le generazioni passate e quelle future”. In sostanza ai fini del benessere individuale non può essere tralasciata la transgenerazionalità ovvero ciò che viene trasmesso e tramandato dalle generazioni precedenti a quelle future e la capacità di quest’ultime di rielaborare attraverso la trasgressione la loro storia generazionale. I dati di ricerca attuali (Simons, Whitbeck, Conger e Wu, 1991; Whitbeck et al., 1992; Thornberry,Freeman-Gallant, Lizotte, Krohn, e Smith, 2003; Belsky, Jaffee, Sligo, Woodward, e Silva, 2005) indicano che i modelli genitoriali tendono ad essere replicati da una generazione all’altra. La ricerca si dovrebbe concentrare di più all’interno della storia generazionale poiché all’interno di essa è possibile trovare l’anima indicata da Aristotele come il parametro di base per il benessere individuale. E non solo, ma ai fini dell’eudamonia i passaggi generazionali nel modello proposto da Scabini e Cigoli (op. cit.) si basano su due assi la fiducia e la speranza, da un lato, e la giustizia, dall’altro. Ciò significa che le generazioni precedenti devono infondere fiducia e speranza di poter riconquistare il benessere perduto e, nel contempo, nel poter fare legame con l’altro (prosocialità) all’interno di un contesto contraddistinto dalla giustizia. Auspico che la futura ricerca possa andare in questa direzione.
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