Alle origini dell’aggressività

A cura della Dott.ssa Patrizia Santagati, Psicologa Clinica, Pronto Soccorso Psicologico Italia

Quando l’aggressività diventa un linguaggio. Il  contesto familiare, un microcosmo relazionale di fondamentale importanza per lo sviluppo psicosociale del bambino .

Abstract

     Interactive parent-child dynamics, particularly those related to attachment, significantly influence the child’s emotional and behavioral regulation. Attachment theory, developed by Bowlby, postulates that childhood aggression, particularly anger, can be considered an adaptive response to specific environmental stimuli. In particular, “functional anger” is expressed by the child to maintain or restore the bond of attachment with the reference figure. However, in relational contexts characterized by traumatic experiences or a lack of adequate parental care, one can witness the development of “non-functional anger”, characterized by more intense and persistent manifestations, often associated with antisocial behavior. The distinction between these two types of anger lies in their adaptive function: while the first aims to strengthen the bond of attachment, the second serves to protect the child from an environment perceived as threatening. It is important to emphasize that both types of aggressive response represent coping strategies developed by the child to cope with stressful and adverse situations.

Riassunto

     Le dinamiche interattive genitore-figlio, in particolare quelle legate all’attaccamento, influenzano significativamente la regolazione emotiva e comportamentale del bambino. La teoria dell’attaccamento, elaborata da Bowlby postula che,  l’aggressività infantile, in particolare la collera/ira, possa essere considerata una risposta adattiva a specifici stimoli ambientali. In particolare, la “collera funzionale” viene espressa dal bambino per mantenere o ripristinare il legame di attaccamento con la figura di riferimento. Tuttavia, in contesti relazionali caratterizzati da esperienze traumatiche o da una carenza di cure parentali adeguate, si può assistere allo sviluppo di una “collera non funzionale“, caratterizzata da manifestazioni più intense e persistenti, spesso associate a comportamenti antisociali. La distinzione tra di esse risiede nella loro funzione adattiva: mentre la prima mira a rafforzare il legame di attaccamento, la seconda serve a proteggere il bambino da un ambiente percepito come minaccioso. È importante sottolineare che entrambe le tipologie di risposta aggressiva rappresentano delle strategie di coping sviluppate da quest’ultimo per far fronte a situazioni stressanti e avverse.

Introduzione

“Dietro ogni atto violento si potrebbe nascondere una profonda sensazione di incapacità, un fallimento nel trovare altre vie per esprimere la propria frustrazione.”

     La “disintegrazione” del tessuto sociale, come sottolineato da Goleman, genera un vuoto esistenziale che si ripercuote negativamente sulla sfera emotiva degli individui, in particolare dei più giovani. Il senso di smarrimento e di solitudine che ne deriva può sfociare in comportamenti aggressivi, sia verso gli altri che verso se stessi.

R.Quaglia e C. Longobardi (psicologi italiani che hanno dedicato la loro carriera allo studio dello sviluppo psicologico del bambino. Le loro ricerche e le loro pubblicazioni sono state fondamentali per arricchire il dibattito scientifico in questo campo e per fornire strumenti utili a professionisti e educatori) ci offrono una prospettiva profonda sulla violenza, invitandoci a vedere oltre l’atto diretto e a riconoscerne le radici più profonde. La violenza, infatti, non è solo un’aggressione verso l’altro, ma spesso diventa un modo autodistruttivo di affrontare il dolore, celato dietro comportamenti come l’autolesionismo e/o i disturbi alimentari. Questa complessa realtà nasce da un intreccio di fattori individuali, familiari e sociali. Le esperienze traumatiche dell’infanzia, siano esse vissute in prima persona o osservate, lasciano un segno indelebile, modellando la personalità e favorendo l’interiorizzazione di comportamenti aggressivi. Un contesto familiare disfunzionale, caratterizzato da tensioni, conflitti e condizioni di svantaggio sociale, come la povertà o l’esclusione, amplificano ulteriormente questi effetti. I media e la cultura, con la loro pervasiva influenza, svolgono un ruolo cruciale nel perpetuare o normalizzare la violenza. La diffusione di diversi contenuti violenti, presenti in film, videogiochi e notiziari, contribuisce in modo subdolo a “mitigare” diversi comportamenti distruttivi, talvolta giustificandoli. In questo modo, la violenza si insinua lentamente fino a diventare un fenomeno complesso e dalle molteplici cause, che richiede un approccio integrato e interdisciplinare per essere compreso e contrastato.

Considerazioni personali

In che misura la rappresentazione mediatica allarmistica della violenza giovanile contribuisce a creare o esacerbare il problema? Quali sono le politiche e le iniziative che potrebbero essere messe in atto per prevenire e contrastare la violenza tra i giovani?

        Negli ultimi anni, i media hanno spesso dipinto un quadro allarmistico della violenza giovanile, focalizzandosi su episodi eclatanti che hanno scosso l’opinione pubblica. Questa rappresentazione stereotipata, che proietta sugli adolescenti le paure e le ansie della società adulta, contribuisce a creare un’immagine distorta e semplificata di un fenomeno complesso e multifattoriale. L’aggressività giovanile, infatti, non può essere ridotta a un semplice riflesso di “istinti primordiali” o di una presunta degenerazione dei costumi. Al contrario, si tratta, come già è stato ampliamente affrontato, di un fenomeno profondamente radicato nei contesti sociali, familiari e individuali in cui i giovani crescono. Numerosi studi hanno, anche dimostrato come la propensione all’aggressività, sebbene presente fin dalla prima infanzia, tenda naturalmente a diminuire con l’età. Tuttavia, fattori scatenanti come le difficoltà relazionali, disagio sociale, esposizione a modelli violenti o situazioni di stress possono innescare comportamenti più intensi e persistenti.  L’alfabetizzazione emotiva, rappresenta una chiave fondamentale per prevenire e gestire la violenza. Insegnare ai bambini, sin dalla scuola dell’infanzia, a riconoscere, esprimere e gestire le proprie emozioni in modo sano è fondamentale per lo sviluppo di relazioni positive e per la costruzione di una società più pacifica. L’abilità di esprimere i propri bisogni e opinioni in modo rispettoso e assertivo permette di evitare situazioni di conflitto e di risolvere i problemi in modo costruttivo. I bambini che imparano a gestire le emozioni negative in modo sano sviluppano una maggiore resilienza, ovvero la capacità di affrontare e superare le difficoltà. Al contrario, quando un individuo si sente sopraffatto dalle emozioni negative, incapace di trovare una soluzione ai propri problemi, può reagire in modo violento. La violenza, in questi casi, può essere interpretata come un tentativo maldestro di comunicare un bisogno profondo, un grido d’aiuto inascoltato, ossia quando le parole non bastano più, l’aggressività diventa l’unica via per farsi sentire.   Per prevenire e contrastare la violenza tra i giovani, è fondamentale agire su più fronti. Innanzitutto, è necessario promuovere fin dalla tenera età l’educazione alla cittadinanza attiva e al rispetto, valorizzando l’empatia, la tolleranza e la non violenza attraverso programmi educativi nelle scuole e nelle comunità. Parallelamente, è importante rafforzare le relazioni familiari, offrendo alle vittime di violenza, aiuto a superare il trauma e a ricostruire la propria vita, senza dimenticare i “perpetratori”, per i quali sono necessari interventi mirati ad aiutarli a comprendere le cause profonde della loro violenza e a intraprendere un percorso di cambiamento.

Per offrire ai giovani alternative positive, è indispensabile promuovere la partecipazione ad attività sportive, culturali, artistiche e di volontariato, favorendo così lo sviluppo di competenze sociali e relazionali positive. All’interno delle scuole, è necessario implementare programmi di prevenzione del bullismo e del cyberbullismo, formare il personale scolastico e creare ambienti sicuri e inclusivi.

Infine, è fondamentale sfruttare il potere dei media per promuovere campagne di sensibilizzazione sui temi della violenza, utilizzando linguaggi e canali comunicativi adatti ai giovani. Solo attraverso un approccio integrato, che coinvolga scuola, famiglia, comunità e media, possiamo costruire un futuro più sicuro e rispettoso per le nuove generazioni.

Conclusioni

      La violenza, fenomeno sociale radicato è il risultato di una complessa interazione tra fattori individuali e contesto socioculturale. Per contrastarla efficacemente, è necessario un impegno congiunto di individui, comunità e istituzioni. L’educazione, intesa come processo continuo e permeante tutti gli ambiti della vita, rappresenta lo strumento più potente per prevenire la violenza e promuovere una cultura della pace. L’intervento precoce, in sinergia con politiche sociali e sanitarie mirate, può contribuire a interrompere il ciclo della violenza e a costruire società più coese e solidali.

Bibliografia

Bandura, A. (1977). Social learning theory. Englewood Cliffs: Prentice- Hall.

Bowlby, J. (1988). Una base sicura. Tr. It. Raffaello Cortina Editore, Milano

Kernberg, O.F. (1996). Aggressività, disturbi della personalità e perversioni. Raffaello Cortina Editore, Milano.

Siegel, D.J. (2001). La mente relazionale. Neurobiologia della mente relazionale. Raffaello Cortina Editore, Milano.

Dott.ssa Patrizia Santagati

Dott.ssa Patrizia Santagati