Felicità e Tristezza: il duplice volto delle festività natalizie

A cura della Dott.ssa Pamela Cantarella, Psicologa Clinica, Responsabile Settore Comunicazione Pronto Soccorso Psicologico-Italia.

Il duplice volto delle festività natalizie

“Natale è qualcosa che mi rende tristemente felice ed, allo stesso tempo, felicemente triste” (J. P. Malfatti)

Le festività natalizie sono uno dei periodi piú importanti di tutto l’anno, che porta con sé un concentrato di emozioni e sentimenti spesso contrastanti: c’è chi infatti le attende con trepidazione e chi vorrebbe invece non arrivassero mai o chi, una volta arrivate, vorrebbe passassero via il piú velocemente possibile.

Questo poiché essendo fondamentalmente delle “feste comunitarie”, per via di alcune loro caratteristiche risultano particolarmente in grado di suscitare sia sentimenti positivi di gioia, condivisione e connessione, che sentimenti più indesiderati di malinconia, tristezza e malessere.

Se da una parte appaiono infatti innegabilmente intrise di gioia, amore e condivisione, sinonimo di comunità, famiglia, festeggiamenti e regali, in quanto “rito” per eccellenza che anima e scalda il cuore dei rapporti sociali, cementifica le relazioni e celebra la vicinanza affettiva e lo stare insieme,

dall’altra, per alcuni soggetti che si ritrovano in “condizioni particolari”, risultano essere un periodo tutt’altro che magico: il clima di festa che caratterizza questi giorni appare in questi casi troppo “gravoso” da tollerare, in quanto comporta l’intensificarsi di tutta una serie di sentimenti e stati d’animo negativi, legati a particolari momenti o condizioni di vita.

A questo proposito, la condizione piú emblematica e, allo stesso tempo, piú difficile da sostenere è rappresentata dalla “perdita/lontananza degli affetti”, in senso assoluto e definitivo a causa di eventuali lutti (più o meno recenti), o anche a causa della fine di relazioni importanti che comportano la lontananza del partner ed, in alcuni casi, anche quella dei figli, quando ci si trova di fronte a separazioni e divorzi particolarmente conflittuali.

Accade cosí che queste “assenze”, che rappresentano dei profondi e dolorosi “strappi” nelle trame relazionali familiari, emergano prepotentemente in questo periodo di festa, piú che mai. Persone che ricoprivano degli importanti ruoli affettivi non sono più sedute attorno alla tavola in cui ci si accomoda in questi giorni di festa; per un motivo o per un altro hanno lasciato il loro “posto vuoto”, ed hanno soprattutto lasciato i propri cari a dover fare i conti con delle assenze molto dolorose e penetranti.

A ciò contribuisce innegabilmente il “focus” dei media che, in questo periodo, appare piú che mai indirizzato verso “relazioni familiari idealizzate” caratterizzate da un clima di felicità, bontà ed allegria, secondo uno “stereotipo consumistico” delle festività natalizie dove difficoltà personali e conflitti relazionali sono banditi, che diventa quasi un canovaccio obbligato da seguire a tutti i costi, nel tentativo di aderire a dettami e canoni sociali.

Ciò evidenzia come, in alcuni casi, il problema delle feste sia dato fondamentalmente da vere e proprie “trappole mentali” che nascono dalla convinzione di doversi necessariamente attenere alle aspettative legate al particolare periodo: il dover provare e mostrare gioia, allegria, felicità.. il dover creare e vivere un clima spensierato ed armonioso a tutti i costi.

Chi non ha una famiglia, o chi sta attraversando un momento difficile nella propria storia familiare tale per cui la famiglia non è esattamente quel nido caldo e accogliente tanto decantato in questi giorni, sentirá dunque questa pressione ancora di più, accompagnata da un forte senso di insoddisfazione e frustrazione.

Basti pensare ad esempio agli anziani, agli infermi ospedalizzati e non, ai disabili che si trovano in strutture e case di cura, ai senzatetto: ogni appartenente a queste categorie vivrá, a modo proprio, in questo periodo dell’anno più che mai, una condizione di tristezza e solitudine che creeranno degli stati di disagio non indifferente.

Trascorrere dei giorni così importanti “da soli” è molto triste e spesso insopportabile, soprattutto perché non si tratta di una propria scelta, ma dipende da circostanze “obbligate”.

Il sentirsi impossibilitati a soddisfare uno dei propri bisogni primari, che è quello di “appartenenza”, amplifica sensazioni di forte sconforto per la mancanza di poter vivere i propri legami significativi in un assetto di intimità e vicinanza fisica; sentimenti probabilmente avvertiti anche durante il resto dell’anno, ma più facilmente messi a tacere.

Ecco che in tutti questi casi la magia del Natale si trasforma in una vera e propria fonte di angoscia e malessere, al punto da percepire la felicità degli altri come fastidiosa, e di sentirsi fortemente inadeguati a “fuori dal coro festoso”.

Il sentimento della solitudine richiama il non sentirsi parte di un legame, il non saper come soddisfare uno dei propri bisogni primari, quello di appartenenza; e le festività natalizie sono proprio le “festività dell’appartenenza” per eccellenza.

“Nessun uomo è un isola”, recita il primo verso dell’omonima poesia di J. Donne;

“l’appartenenza e’ una necessità fondamentale dell’essere umano, un bisogno universale, dotato di aspetti affettivi e capace di procurare sofferenza quando non soddisfatto”, (R. F. Baumeister);

se si prende in considerazione la piramide dei bisogni di A. Maslow, esso viene solo subito dopo il bisogno di cibo e sonno.

E di sicuro, il primo luogo dove se ne fa esperienza è la famiglia: è all’interno del nucleo familiare che si sperimenta e si costruisce il senso di unità e di inclusione; è sempre qui che si creano quei legami emotivi che producono nell’individuo atteggiamenti positivi nei confronti dei propri familiari e del luogo in cui si sviluppa la propria esistenza.

“Sono proprio i legami familiari a narrare la storia degli affetti che viene trasmessa nel corso delle generazioni, consentendo di dare un senso alla natura delle relazioni che si sperimentano nel presente, e a quelle che si formeranno in futuro con gli altri, nel sociale, influenzando inevitabilmente la vita di ognuno”, (Roy F. Baumeister)

L’appartenenza, definita in questi termini, “implica la creazione di determinati codici per la comprensione della realtà, dei sistemi di valore, dei modelli comportamentali, dei modi di vivere, di pensare e di sentire […] favorisce uno spazio identitario che dà senso e rifugio alle pratiche abituali, in una sorta di connivenza determinata da linguaggi comuni” (M. Castells).

Nel momento in cui la realizzazione di questo bisogno incontra degli ostacoli, ne conseguono inevitabilmente sentimenti di angoscia e di straniamento, insicurezza, senso di vuoto, deprivazione, profonda tristezza.
Si possono cercare in sé stessi i motivi del proprio isolamento e arrivare a definirsi inadeguati, indesiderabili, incapaci o addirittura inutili; oppure si può individuare negli altri la responsabilità del proprio stato e giudicarli falsi, cattivi, inaffidabili o superficiali, chiudendosi così ancora di piú in sé stessi.

Ed è proprio in questi casi che non basta un clima gioioso per non sentire il rumore di fondo di ciò che manca, dei legami significativi perduti o assenti, del senso di intimità smarrito: essi diventano cosí rumorosi da sovrastare il chiasso intorno.

Accanto a quanto appena descritto, un’ulteriore dinamica legata alle festività natalizie che può interferire con un vissuto sereno delle stesse è rappresentata dalla “fine dell’anno” che porta con sé l’abitudine di fare un “bilancio” del tempo trascorso, in un “tirare le somme” talvolta tutt’altro che positivo. Il pensare ed il riflettere spesso fa riaffiorare pensieri dolorosi, malinconia, sofferenze non affrontate o ricordi che smuovono sentimenti forti e dolorosi. Inoltre quando il resoconto della riflessione soprattutto sulla qualità delle proprie relazioni è negativo, si può originare un senso di inquietudine misto a sensazioni di isolamento; questo provoca inevitabilmente un ulteriore disagio, che va ad incrementare la già presente quota di malessere.

Strettamente connesse a quanto appena detto vi sono, allo stesso tempo, le aspettative per il “nuovo anno” che, nella maggior parte dei casi, appaiono caratterizzate da sensazioni di timore ed incertezza nei confronti di un futuro non molto roseo né tanto promettente, viste anche alcune condizioni e dinamiche sociali che contribuiscono inevitabilmente a minare sicurezza ed autostima:
– l’aumento vertiginoso, in una società come la nostra ormai “liquida”, di situazioni esistenziali caratterizzate dalla disgregazione dei legami familiari che segnala la difficoltà di molti, singoli e coppie, a salvaguardare le relazioni affettive;
– il dilagare di una cultura edonistica, consumistica, “caratterizzata dall’abbondanza, in contrasto con il sacrificio della vita quotidiana” e malgrado la crisi socioeconomica perdurante da più di un decennio (G. Gatto);
– o ancora, volendo volgere lo sguardo a realtà un po’ piú distanti dalla nostra concreta quotidianità, guerre che si combattono in tante parti del pianeta e lacerando popoli e nazioni, fondamentalismi che si scatenano per il potere del denaro che tutto corrompe e guida.

Di fronte a ciò appare inevitabile sentirsi smarriti ed impotenti, oltre che impauriti. Il sentimento che appare maggiormente minato da tutti questi fatti è senza dubbio la speranza: “Abbiamo essiccato soprattutto la speranza che qualcosa di veramente bello e nuovo possa fare irruzione nella nostra vita, sottraendola al suo torpore. […]È un’aridità che a nessuno è risparmiata, e quando la vita urge, quando iniziano a bombardare la tua terra o quando perdi ciò che hai di più caro, diventa impossibile restare indifferenti”, (S. Belardinelli).

Ecco dunque come questo periodo di festività si mostra in tutta la sua “complessità”, tale per cui non rappresenta solo ed esclusivamente un momento di gioia e speranza, cosí come voluto dalla visione tradizionale, alimentata peraltro dai media, che mostrano continuamente (e quasi pretendono) una realtà caratterizzata da un clima di condivisione, felicità, bontà ed allegria “a tutti i costi”;

né tantomeno riesce a proteggere e salvaguardare la propria “funzione di consolidamento dell’identità collettiva” attraverso la celebrazione di una festa che accomuna ai propri pari così come un tempo univa i propri antenati: “In questo senso, la ripetitività e la ritualità delle feste si dimostra come la proprietà più importante di ogni festa, perché collega le generazioni sia in senso orizzontale (oggi, collettivamente) che verticale (ovvero in un dialogo col passato)”, (A. Assmann).

…Ma, le festività natalizie, diventano anche un periodo di forte tristezza e malinconia, dove proprio nei giorni più luminosi dell’anno può calare invece il buio più tetro, in cui il passato entra prepotentemente nella vita delle persone, per accendere mancanze e ricordi, vuoti e assenze, ma anche per mettere di fronte a fallimenti relazionali e bilanci esperienziali negativi.

Ma è solo cominciando dall’accettare che non esistono “realtà sociali” di completa accettazione e solidarietá, in quanto la presenza di differenze di vedute e di interessi non sempre porta a compiere degli sforzi di comprensione empatica e di negoziazione nei confronti dei bisogni dell’altro, secondo una logica alimentata da “un modello culturale dominante che vede l’individuo come una “monade isolata”, i cui desideri e obiettivi si estrinsecano sempre piú in uno spazio totalmente autoreferenziale, nel vuoto dell’assenza della relazione”, (G. Gatto);

nè tantomeno esistono “realtà familiari” perfette ed impeccabili, poiché in ogni famiglia sono presenti conflitti e dissapori, ferite profonde, assenze penetranti, veri e propri strappi genealogici dolorosi e intrisi di sofferenza. Ed “è solo riuscendo ad accogliere l’invisibile nella propria vita, a scorgere “il simbolo” nascosto in ogni evento, che ci si potrá sedere intorno alla tavola natalizia e celebrare autenticamente questa festività nonostante le situazioni problematiche e, soprattutto, insieme agli assenti, che in realtà sono comunque presenti poiché dentro i cuori dei propri cari, e che continuano a guidarli amorevolmente”, (E. Bernabè).

È solo accettando anche le proprie emozioni negative, senza temerle o combatterle, dandosi il permesso di poter essere autenticamente sé stessi (senza ostentare in maniera forzata sentimenti necessariamente positivi), che si impara a fare i conti con sé e con la realtà, tanto da poter persino trasformare un momento di disagio in un’occasione per guardarsi dentro e raggiungere dei buoni livelli di consapevolezza e maturità.

I disagi ed il malessere provati in questi giorni particolari, se saputi accogliere nel giusto modo, hanno la funzione di destare, richiamare a sé, aprire gli occhi dell’anima affinché poter vivere le varie esperienze di vita “per quello che sono”, senza obblighi né vincoli di alcun tipo: “niente e nessuno può obbligare un’altra persona ad essere felice, gioire ed essere entusiasta; nemmeno durante le festività natalizie”.

Il “sentirsi fuori luogo” appare sostanzialmente una trappola della mente che si nutre proprio della convinzione di doversi attenere alle aspettative date dal particolare periodo: dover mostrare gioia, allegria, felicità indipendentemente dal proprio “vero sentire”.

Ecco che allora risulta fondamentale mostrarsi sempre coerenti con ciò che realmente si prova, imparando anche a non essere sempre accomodanti, né adattarsi alle varie situazione, specie quando percepite “oltre” le proprie corde.

Tutto ció senza il timore di poter anche avvertire la necessità di esprimere il proprio eventuale disagio e malessere a qualcuno, e chiedere aiuto in caso di bisogno.

Sappi che non sei solo!
Il Pronto Soccorso Psicologico-Italia è sempre con te, per accogliere la tua richiesta di presenza e vicinanza anche in questi giorni particolari.

Dott.ssa Pamela Cantarella, Psicologa Clinica, Responsabile Settore Comunicazione Pronto Soccorso Psicologico-Italia