A cura della Dott.ssa Vera Cantavenera, Psicologa Clinica, Coordinatrice sede Agrigento PSP-Italia
Abstract
According to Recalcati, parenting is an “impossible” job. But is it really like that? A parent is made, not born, and today, compared to yesterday, parental “tasks” have changed and have become more complex and articulated.
In this article, we will analyze, starting from the awareness that we can fail, the elements that can favour or not favour the creation of a good parent/child relationship and how we can, despite being aware of our imperfections, tend to become “good parents”.
Riassunto
A detta di Recalcati il mestiere del genitore è un mestiere «impossibile». Ma è veramente così? Genitore ci si diviene non si nasce ed oggi rispetto a ieri “i compiti” genitoriali sono cambiati e sono divenuti più complessi e articolati.
In quest’articolo si analizzeranno partendo dalla consapevolezza che si può fallire, gli elementi che possono favorire o meno il generarsi di un buon rapporto genitori/ figli e come si può pur consapevoli della nostra imperfezione tendere a divenire ” buoni genitori” .
.
Introduzione
Il termine genitore etimologicamente deriva dal latino genĭtor, derivazione di genĭtus participio passato di gignĕre ossia “generare”, con tale sostantivo in senso biologico ci si riferisce a uno dei due individui da cui una terza persona immediatamente discende, per ciò che concerne invece l’antropologia, la sociologia e il diritto, ci si riferisce ad una persona che ha dei figli, biologici o meno, e che pertanto è responsabile della loro cura, benessere, crescita, educazione etc., rispondendone di fronte alla legge o alla società. Diverso è quando con tale termine ci si rivolge e si intende parlare di due persone/ famiglia che diventano genitori attraverso l’adozione di un figlio biologicamente generato da altri. Genitore ci si diviene non si nasce ed oggi rispetto a ieri “i compiti” genitoriali sono cambiati e sono divenuti più complessi e articolati.
Dal momento in cui una persona o la coppia decide di diventare genitore non smetterà più d’esserlo sino a che “alito gli darà fiato”… da quel dì, sarà chiamata a educare i suoi figli con la consapevolezza che non è perfetta e dovrà fare i conti con le sue imperfezioni esponendosi al rischio dell’errore e del fallimento.
A detta di Recalcati il mestiere del genitore è un mestiere «impossibile». Per lo psicanalista e saggista Recalcati, i migliori genitori, sono quelli consapevoli di questa impossibilità.
Di fatto, spesso i “cattivi genitori” sono coloro i quali pensano proprio di essere genitori esemplari e modelli, piuttosto che quelli che mostrano le loro fragilità. I figli non hanno bisogno infatti di sentirsi schiacciati e oppressi da figure esemplari ma hanno bisogno di vedere l’imperfezione, l’umanizzazione, la vulnerabilità dei loro genitori per poter insieme camminare e accrescersi.
Divenire genitori non è semplice molti affermano infatti, che la genitorialità è un processo arduo e difficile. Non esiste un decalogo o un manuale del buon genitore, è necessario tuttavia che ciascun genitore impari ad osservare i propri figli, ad ascoltarli e dare loro tempo e attenzione.
Tale capacità si impara progressivamente con la pratica e tenendo bene a mente che ogni figlio è a se e che al contempo ogni genitore è figlio di un ” attaccamento” e che tutto questo inevitabilmente influenzerà sulla relazione genitore/ figlio.
Per tali ragioni, ogni genitore deve sforzarsi di fare del proprio meglio ogni giorno con empatia e sensibilità, cercando di insistere con fermezza sui punti cardini dell’educazione. E qualora il dialogo fosse difficile e dovesse presentarsi un malessere, il genitore dovrebbe opportunamente chiedere aiuto e trovare nuovi strumenti per fronteggiare il disagio.
Indubbiamente il rapporto tra genitori e figli è un tassello fondamentale per la crescita psicologica di un individuo. Da tale rapporto infatti si determineranno gli elementi fondamentali della vita dell’individuo, che diventeranno poi un punto di riferimento per il futuro. In quest’articolo si analizzeranno questi elementi: attaccamento e comunicazione per comprendere cosa può favorire o meno il generarsi di un buon rapporto genitori/ figli e come si può pur consapevoli della nostra imperfezione tendere a divenire ” buoni genitori” .
Considerazioni
Nel tempo, in ambito psicologico, molte sono state le teorie che hanno descritto l’importanza dei genitori in ambito relazionale, cognitivo ed emotivo. Fra tutte, quella che in quest’articolo andremo a citare poiché più semplice ed esustiva per descrivere la relazione genitori/figli è la teoria dell’attaccamento di John Bowlby. Quest’ultima descrive la relazione tra genitori/figli come la capacità di trasferire sicurezza nel bambino. Di fatto, garantire ai propri figli la costruzione di un attaccamento sicuro, permetterà loro, divenendo grandi, di fidarsi del mondo e di costruire altre nuove e sane relazioni.
Secondo la teorizzazione di Bowlby, le più importanti caratteristiche funzioni di attaccamento sono legame e protezione. Di fatto, così come ogni mammifero, per predisposizione biologica non può non stabilire, sin dai primissimi mesi, dei legami rassicuranti con chi si prende cura di lui e ricercare protezione in questa figura; per natura e in modo istintivo un genitore è spinto a rispondere alle richieste del figlio vulnerabile (Meini 2012).
Per un bambino, i genitori rappresentano una guida e una base sicura e il loro rapporto si sviluppa tra attaccamento e progressiva conquista dell’indipendenza. I genitori hanno fattivamente la capacità di ridurre l’impatto che delle sensazioni spiacevoli (paura, ansia) hanno sul bambino; in questo modo, le esperienze ripetitive vengono registrate nella memoria implicita, generando dei “modelli mentali di attaccamento” che sviluppano la base sicura per affrontare il mondo (Siegel, 2001). Sulla base delle relazioni istaurate, sin dall’inizio, l’individuo genera specifici comportamenti che hanno una loro corrispondenza sullo sviluppo delle funzioni celebrali del bambino. Lo sviluppo di un rapporto di attaccamento aiuta il bambino a organizzare le proprie esperienze e garantisce al contempo la maturazione delle attività celebrali che mediano processi mentali fondamentali, quali: memoria, narrativa autobiografica, emozioni, rappresentazioni e stati della mente (Siegel, 2001).
L’interiorizzazione di alcuni comportamenti assimilati nella fase di attaccamento permettono all’adulto di reagire, specie, quando ci si trova a vivere periodi difficili, e delineano lo sviluppo della personalità. Il bambino si crea dei modelli mentali in base a come la figura di attaccamento lo accudisce. In questo modo il cervello del bambino acquisirà quel comportamento, imparando la capacità di acquisire dal passato, agendo nel presente e generando nuovi e ” trasgressivi” comportamenti futuri.
I genitori sono i garanti dei diritti del minore, un genitore deve necessariamente occuparsi dell’educazione affettiva e di tipo sociale della sua progenie. Di fatto, la figura genitoriale gioca un ruolo attivo e fondamentale nella vita di un individuo, poiché favorisce un sano sviluppo della personalità di quest’ultimo specie se questo è vulnerabile e debole dal punto di vista emotivo. Per tali ragioni, non è per nulla semplice essere famiglia e riconoscersi genitori e al contempo costruire un buon rapporto con i figli.
In famiglia, infatti, avviene la primissima socializzazione del bambino. È proprio all’interno del nucleo familiare che il bambino sperimenta per primo il contatto con una rete sociale. Da qui, si costruiscono le strutture relazionali, la personalità, i ruoli, le risorse cognitive ed emotive dell’individuo. La famiglia costituisce di fatto l’unità centrale di ogni individuo, dall’infanzia all’adolescenza fino all’età adulta.
Nella costituzione della famiglia e nel rapporto tra genitori e figli, un ruolo fondamentale viene rivestito dalla comunicazione. Generalmente, una comunicazione positiva tra genitori e figli caratterizzata da un ascolto attivo, da comprensione e dialogo è base sicura, per creare un rapporto di fiducia duraturo nel tempo. Certamente a garanzia di una comunicazione funzionale e non a senso unico è necessario dedicare del tempo di qualità ai figli. Infatti , trovare del tempo per stare con i propri figli: parlare, giocare con loro, fare delle attività insieme, è un modo per esserci e generare momenti di dialogo preziosi ed importanti per sapersi ascoltare a vicenda.
Prima si instaura questa buona abitudine, più sarà facile portarla avanti nella crescita dell’individuo fino all’età adulta. Buoni momenti di dialogo potrebbero essere il momento del pranzo o della cena, oppure prima di andare a dormire. Interessarsi ai momenti di vita dei propri figli facendo domande specifiche e non generiche come ad esempio “qual è stata la cosa più bella che hai fatto oggi?” piuttosto che “com’è andata a scuola?”, può senza dubbio accelerare il processo di conoscenza dei propri figli e aiutare il consolidamento di un buon rapporto basato sul rispetto dei ruoli e sulla fiducia. Infatti, attenzionare le emozioni che hanno accompagnato un dato avvenimento della vita dei propri figli è, di solito, il modo più coinvolgente per dialogare insieme e permette di stimolare nei ragazzi la capacità di riflessione aiutandoli a crescere e maturare secondo proprie scelte.
Costruire dunque un rapporto armonico e senza alcun conflitto è davvero difficile. Alcuni conflitti sono fisiologici, siamo tutte persone diverse fra di noi, per via della differenza di età fra genitori e figli e perché le emozioni umane, a volte, sono davvero complicate.
La responsabilità che un genitore si sente addosso nella crescita, nello sviluppo, nel benessere e nell’educazione dei propri figli è tanta e spesso si vive in tensione, si ha paura di sbagliare, di viziare, e così bilanciare i “no” ai “sì” diviene complesso. Quando i “no” diventano più frequenti dei “si” si rischia di divenire agli occhi dei propri figli uno scoglio, viceversa rischiamo di farli sconfinare e risultare troppo accondiscendenti.
I ragazzi, dapprima bambini, hanno bisogno di una guida, un genitore non può alzare muri ne divenire “zerbino”. Immagginiamoci nell’uno e nell’altro caso cosa accadrebbe nel periodo dell’adolescenza, certamente si scatenerebbero processi che potrebbero diventare distruttivi per lo sviluppo del sé dei ragazzi. La sfida degli ultimi anni per un genitore è divenuta per l’appunto essere guida autorevole e non autoritaria.
Dall’infanzia alla pubertà, lo sforzo dovrebbe essere la capacità di riuscire a intuire, di volta in volta, le nuove e diverse esigenze dei propri figli e riuscire a soddisfarle insieme. Un comportamento adeguato da parte del genitore alle esigenze specifiche dell’età del figlio, produrrà unicamente effetti a catena positivi.
Ad esempio, un valido strumento in mano ai genitori potrebbe essere e invero è, il rimprovero. Quest’ultimo è necessario per ammonire i figli in caso di comportamento sconveniente e indirizzarli verso la strada giusta. Ovviamente, va fatto con tono fermo e deciso e le frasi che intendiamo usare devono essere brevi e semplici, al fine di far comprendere subito l’intento e a conclusione del discorso per mezzo di un lungo silenzio, permettere al bambino, o al ragazzo, di interrogarsi sul suo comportamento.
Sempre più spesso, invece, il rimprovero si trasforma in uno sfogo di rabbia, in un momento nel quale il genitore alza la voce, perde il controllo, getta contro il figlio tutto il suo stress quotidiano. In questi casi, ovviamente, il rimprovero, non è più così costruttivo ma diventa gravemente nocivo per la costruzione della personalità e dell’autostima del bambino/ragazzo. Bisogna dunque, per quanto difficile, in alcune circostanze, cercare prima di partire con il rimprovero rilassarsi e rimanere concentrati sul fine, ovvero quello che il bambino non commetta più lo stesso errore. Anzitutto è necessario farsi ascoltare, attirare la loro attenzione con tono deciso e con fermezza dettare il rimprovero senza urla o rigidità particolari.
Tuttavia, “l’arte del rimprovero” non è affatto l’unica strada percorribile. Il cambiamento è possibile anche attraverso una maggiore empatia e l’eliminazione del rimprovero stesso. A volte basta prevenire e comprendere, usare come già precedentemente accennato, il dialogo. Un dialogo aperto e sincero con i propri figli, aumenta il loro rispetto nei nostri riguardi, li rende felici e migliora il clima familiare. È bene utilizzare sin da bambini “la parola”, piuttosto che le “percosse” , essere chiari e stabilire poche e semplici regole, per far loro eseguire con gentilezza ed educazione i compiti e per fargli acquisire i diritti e i doveri del vivere serenamente in famiglia e correttamente in società. Pian piano, con la crescita, non bisogna essere troppo rigidi e l’ascolto dev’essere non imperante e non giudicante, piuttosto volto a comprendere il bisogno e a dare fiducia pur nel rispetto dei ruoli e delle regole.
L’ adolescenza dopo l’infanzia è un momento cruciale nel quale avvengono il maggior numero di cambiamenti fisici, psicologici e dal punto di vista sociale.
È questo il periodo in cui il ragazzo sente maggiormente il bisogno di libertà e indipendenza, vuole avere una personale identità, conoscere più cose sul sesso e su tutti gli argomenti tabù, vive le prime relazioni amorose, si confronta più duramente con il gruppo di coetanei e deve affrontare un carico di studio più pesante. In questo contesto, i genitori dovranno avere una nuova attenzione verso i loro figli e un nuovo modo di comunicare con loro. Se da bambini bisogna dettare regole e bilanciare il dialogo per mediare ai capricci che spesso compiono; nella fase adolescenziale bisogna far sentire ai ragazzi d’esser presenti e nel rispetto del loro cambiamento, senza farsi assalire dalle ansie, chiedere e domandare “in punta di piedi”.
Altro elemento che fa da buon volano affinché si instauri un buon rapporto genitori/figli sono le risorse esterne. Spieghiamo meglio, i genitori dovrebbero sin dall’inizio non caricarsi di aspettative e conseguentemente non caricare i figli di aspettative. Quest’ultime creano ansie, paure e frustrazioni, se vengono deluse. È opportuno, di fatto, che i genitori assecondino le attitudini dei propri figli, lasciandoli, sin da bambini, liberi di sperimentare e scegliere secondo proprie capacità, senza alimentare la riuscita, a tutti i costi, in attività cui non sono portati o non riversano reali interessi piuttosto solo proiezioni di un passato glorioso proprio.
Per tali ragioni, sin dai primissimi anni, quando il bambino inizia a rapportarsi con gli altri perché viene iscritto all’asilo è controproducente investirlo di nuovi incarichi facendogli frequentare la danza, la musica o altre attività, pur di tenerli occupati. Piuttosto sarebbe più utile cercare di creare momenti ricreativi in famiglia e non all’esterno e pian piano nella crescita, saggiare le competenze reali e le attitudini dei ragazzi e via via indirizzarli verso “discipline” a loro gradevoli. Indubbiamente fare sport, suonare uno strumento, fare danza, o altro, sono attività utili e creative che arricchiscono le competenze dei bambini e dei ragazzi ma i genitori non possono utilizzare queste risorse esterne senza valutare le conseguenze che comportano se gestite impropriamente.
È bene sottolineare che i figli non sono né una proprietà né una estensione dei genitori ed hanno il diritto di vivere la vita nel modo che ritengono giusto per loro.
Conclusione
Per come si evince dalla disamina esposta, non è per nulla facile essere genitori, accettare di crescere il proprio figlio e guardarlo diventare una persona, riconoscerlo come tale e lasciarlo andare. Quest’ultimo aspetto, “il lasciare andare”, poi, comporta spesso maggiore sofferenza e a volte fa paura.
Ogni buon genitore dovrebbe concedere il giusto spazio senza far percepire la distanza, creare confini senza trasmettere una sensazione di esclusione. Tuttavia tutto questo è veramente un compito arduo da fare e per giunta a tempo indeterminato, perché genitori ci si diventa e ci si muore. È fondamentale che si crei tra genitori/figli un rapporto di crescita reciproca. Per favorire questa crescita D.J. Siegel e M. Hartzell (2003) affermano che è necessario generare: consapevolezza, continua disponibilità ad apprendere, flessibilità di risposta, capacità di percepire le menti e gioia di vivere.
Ogni genitore deve di fatto acquisire “consapevolezza” del suo ruolo, cioè vivere nel presente e accettare di assumersi la responsabilità di un altro essere che, inizialmente, viene percepito come un proprio prolungamento. Essi, devono maturare l’idea del prendersi cura di un individuo che in futuro li abbandonerà e via via fare i conti con i propri sentimenti contrastanti, dando loro significato.
D’ altronde i bambini imparano a conoscersi attraverso il modo in cui i genitori comunicano con loro e, le interazioni emotive che si instaurano, aiutano i bambini a sviluppare un più profondo senso di sé e la capacità di mettersi in relazione con gli altri. È importante che i genitori acquisiscano un approccio alla vita che prevede una “costante disponibilità” a imparare, per affrontare il ruolo di genitore con mente aperta, come un viaggio continuo alla scoperta di nuovi mondi”. “La disponibilità” ad apprendere del genitore, genera nei bambini la curiosità e, sentendosi sostenuti, possono esplorare serenamente l’ambiente.
La “flessibilità di risposta” invece, implica la capacità riflessiva, componente essenziale della maturità emotiva e delle relazioni con l’altro efficaci e si riferisce alla capacità di reagire a una situazione non in maniera automatica e impulsiva bensì riflettendo e producendo intenzionalmente un comportamento adeguato. Inoltre, al genitore viene richiesta la capacità di “percepire le menti”, cioè di dare significato ai pensieri, alle emozioni, alle percezioni, alle sensazioni, ai ricordi, alle convinzioni, agli atteggiamenti e alle intenzioni di sé e del proprio bambino. Il “dare significato” a questi elementi, contenendoli e confinandoli, consente al genitore di stabilire col proprio figlio un’interazione basata sull’empatia e sulla comprensione emotiva, a garanzia di un sano sviluppo del sé del bambino e di sane relazioni con gli altri.
Infine, è importante che il genitore si “innamori” del proprio figlio, condividendo con lui lo stupore della scoperta graduale del mondo e delle sue meraviglie. Volendo utilizzare le parole dell’Analisi Transazionale, il genitore deve saper accostarsi al suo bambino servendosi del proprio Bambino Libero interiore, per poter trasmettergli la curiosità e la gioia di scoprire il mondo rispettando sé e l’altro. Tutto questo non significa che i genitori che non riescono a sviluppare queste capacità o hanno avuto un passato difficile, non possono creare un sano rapporto con i propri figli.
Nessuno è perfetto e nessuno ha mai avuto un’infanzia “perfetta”. Rendendosi consapevoli di quest’affermazione è importante che il genitore si dia la possibilità di elaborare quanto ha vissuto e lo comprenda, consentendosi di crescere e cambiare.
Oggi, purtroppo, nessuno, vuole prendersi questa responsabilità, ovvero sia accettare d’esser imperfetti e di sbagliare. A volte, così, accade che molti, per sopperire al senso di colpa che s’innesca, al pensiero di dichiarare un eventuale fallimento, si preoccupano maggiormente di farsi amare dai propri figli piuttosto che farsi rispettare e finiscono di fatto, per fingere a sé stessi, nascondendosi dietro l’ansia di perdere il loro figlio o che lo stesso si “possa perdere”, per perderlo realmente. Continuando infatti, a proteggerlo dagli insuccessi, piuttosto che dialogare con lui e ricercare il confronto, sopportandone il naturale conflitto, che può generarsi, anche solo, per l’inevitabile gap generazionale, molti genitori rinunciano al benessere dei propri figli. Rimanendo arenati nelle proprie convinzioni rigide e chiuse, decidono di non cambiare posizione e di non mettersi in gioco , così facendo non creano basi sicure per lo sviluppo del figlio, che di contro dovrà in futuro avere il coraggio di adoperarsi a divenire un genitore migliore dei propri.
Purtroppo, genitori, e lo abbiamo spesso ripetuto in quest’articolo (proprio per rendere il lettore consapevole), non si nasce si diviene ed è bene, sin da subito, comprendere e rendersi consapevoli che esiste il fallimento, prima si prende coscienza con i propri limiti lavorando su se stessi, prima con molta probabilità si acquisirà la capacità che essere genitori è un mestiere difficile ma non impossibile e di contro è possibile essere buoni genitori se e solo se, si gettano le basi per accettare che il rapporto genitori/ figli è in continua evoluzione e può con l’avanzare del tempo capovolgersi.
Baron-Cohen S. La Scienza del Male. L’empatia e le origini della crudeltà, Raffaello Cortina Editore, 2012, pp. 49, 60.
Main M. (1995), Attachment: Overview, with implications for clinical work. In: Goldberg S., Muir R., Kerr J., (a cura di) Attachment Theory: Social, Developmental, and Clinical Perspectives. Analytic Press, Hillsdale.
Siegel J. D., La mente relazionale. Neurobiologia dell’esperienza interpersonale, Raffaello Cortina Editore, 2001, p. IX-X, 3, 13, 20-21, 69-74, 79, 83, 86, 92-95, 102-103, 108-112.
Daniel J. Siegel e Mary Hartzell, Errori da non ripetere. Come la conoscenza della propria storia aiuta a essere genitori, 2003.
This website uses cookies so that we can provide you with the best user experience possible. Cookie information is stored in your browser and performs functions such as recognising you when you return to our website and helping our team to understand which sections of the website you find most interesting and useful.
Cookie strettamente necessari
I cookie strettamente necessari dovrebbero essere sempre attivati per poter salvare le tue preferenze per le impostazioni dei cookie.
Se disabiliti questo cookie, non saremo in grado di salvare le tue preferenze. Ciò significa che ogni volta che visiti questo sito web dovrai abilitare o disabilitare nuovamente i cookie.