RITIRO SOCIALE O SOLITUDINE INTERIORE

A cura della Dott.ssa Daniela Cusimano, Psicologa Clinica, Coordinatrice Pronto Soccorso Psicologico-Italia

Abstract

With the current work, we want to delve deeper into a phenomenon that is still little understood today but is widely expanding: the chosen self-reclusion of young adolescents, what we can define as Hikikomori and the inner solitude that these young people come to feel. This phenomenon has its roots in Japan, spreading more until it reaches Western countries, including Italy. The reason for analyzing this topic arises following the period of pandemic health emergency that we had in 2020, which involved the whole world, where the numerous restrictions of the past months have led to situations of mandatory imprisonment, isolation and loneliness in light of all this some questions must be answered such as: what drives young adolescents to make such an extreme and painful choice? Why do they voluntarily opt to seclude themselves inside their own room, abdicating their future at a certain point in their lives?

Riassunto

Con l’ attuale lavoro si vuole approfondire un fenomeno che tutt’oggi ancora poco compreso, ma in larga espansione: l’autoreclusione scelta di giovani adolescenti,  quelli che possiamo definire, Hikikomori e la solitudine interiore che questi giovani arrivano a provare.  Tale fenomeno trova le sue radici in Giappone, spandendosi sempre più, fino ad approdare anche nei paesi occidentali, Italia compresa. Il motivo che preme all’analisi di questa tematica nasce  a seguito del periodo di emergenza sanitaria pandemica che abbiamo avuto nel 2020 che ha coinvolto tutto il mondo, dove i numerosi restringimenti dei mesi passati hanno trascinato a situazioni di reclusione obbligatoria, isolamento e solitudine, alla luce di tutto questo vi sono delle domande che devono trovare risposta come: cosa spinge dei giovani adolescenti ad una scelta così estrema e dolorosa ? Perché ad un certo punto della loro vita optano volontariamente di recludersi all’interno della propria stanza, abdicando al proprio futuro?

solitudine interiore

Introduzione

Il fenomeno dell’Hikikomori sta descrivendo una grave forma di ritiro sociale, diffusa tra i giovani ed è in questo periodo oggetto di allarme e preoccupazione nelle società urbanizzate e tecnologicamente avanzate.  Il termine Hikikomori parola giapponese che indica “stare in disparte” e viene utilizzato per riferirsi a chi decide di ritirarsi dalla vita sociale per lunghi periodi da alcuni mesi fino a diversi anni, rinchiudendosi nella propria abitazione, senza aver alcun tipo di contatto diretto con il mondo esterno, talvolta nemmeno con i propri genitori.

I ricercatori suddividono il fenomeno in due possibili tipologie: hikikomori primario e secondario. L’hikikomori primario non è associato ad alcun disturbo psichiatrico, mentre l’hikikomori secondario può essere correlato ai disturbi psichiatrici. I benefici nel categorizzare casi come hikikomori secondario riguardano la possibilità di utilizzare le diagnosi psichiatriche riconosciute e individuare un trattamento appropriato. Con hikikomori primario indica, da un lato l’assenza di relazione con i disturbi psichiatrici, dall’altro lato come esso possa considerarsi il risultato di un fenomeno psicologico e sociale che implica l’interazione di una serie di fattori, tra cui alcuni caratteristici dell’età adolescenziale inclusi i rapidi cambiamenti familiari e sociali.

Tale fenomeno riguarda prevalentemente i giovani dai 14 ai 30 anni, principalmente maschi la percentuale aggira tra il 70% e il 90%,  hanno un’ estrazione sociale medio-alta ;sono molto spesso figli unici ed hanno in genere i genitori laureati di cui uno dei due genitori, prevalentemente il padre, risulta assente in famiglia e spesso ricopre incarichi dirigenziali. I motivi  di insorgenza dell’Hikikomori  possono essere diversi tra cui : caratteriali sono ragazzi spesso intelligenti, ma anche molto  sensibili e inibiti socialmente.  Questo atteggiamento contribuisce alla loro difficoltà nell’instaurare relazioni soddisfacenti e durature, così come nell’affrontare con efficacia le inevitabili difficoltà e delusioni che la vita riserva; familiari: dal loro vissuto emergono storie dove c’è  l’assenza emotiva del padre e l’eccessivo attaccamento con la madre e queste sono indicate come possibili concause, soprattutto nella concezione giapponese. I genitori di questi ragazzi faticano a relazionarsi con loro, spesso rifiutano qualsiasi tipo di aiuto; scolastiche: emerge  il rifiuto della scuola ed è proprio questo  uno dei primi campanelli d’allarme dell’ hikikomori. L’ambiente scolastico viene percepito come  particolarmente negativo. Molte spesso dietro questo isolamento si nasconde una storia di bullismo; sociali: gli hikikomori hanno una visione molto negativa della società e soffrono per le pressioni di realizzazione sociale, dalle quali cercano in tutti i modi di fuggire. A tutto ciò si associa anche la dipendenza da internet che viene spesso indicata come una delle principali cause dietro all’esplosione del fenomeno, ma rappresenta una possibile conseguenza dell’isolamento, non una causa. Un’altra caratteristica che emerge sono le alterazione dei ritmi circadiani, il disagio psichico può essere espresso anche attraverso forme di aggressività e scoppi di rabbia. Inoltre, uno studio recente ha dimostrato come l’hikikomori sia associato ad un elevato rischio di suicidio . dalle ricerche emerge che le persone hikikomori sono prevalentemente maschi, hanno una storia di abbandono scolastico e hanno precedenti trattamenti psichiatrici.  Dalle storie emerse di queste ragazzi si evince  che  la loro  giornata si svolge all’interno della loro casa o camera da letto. Le uniche interazioni con l’esterno avvengono attraverso internet, attraverso l’utilizzo di chat, social network e videogame. Gli hikikomori evitano qualsiasi tipo di relazione e comunicazione diretta con altri individui. Essi presentano in genere un completo rifiuto di una qualunque tipologia di rapporti interpersonali non solo esterni, ma anche all’interno del proprio nucleo familiare. Spesso le loro interazioni sociali sono nulle anche con i genitori conviventi, le uniche interazioni si concretizzano nei momenti in cui viene passato il piatto con il pasto all’interno della stanza da letto.

Considerazioni

Molto spesso sentiamo dire : “è una persona solitaria, gli piace stare solo“. Allora mi sorge una domanda come la solitudine può essere un piacere?  È veritiero che ci esistono individui molto legati alla propria intimità, riservati e solitari, ma la solitudine non è una qualità necessaria che porta piacere a lungo andare. La solitudine interiore può essere spiegata come l’espressione psicologica dell’isolamento sociale, un riflesso del malcontento e della discordanza tra le relazioni che si testano e quelle che si desidererebbe avere. Un’altra definizione che possiamo dare della solitudine interiore è una condizione mentale che può svelarsi costruttiva, se ben coordinata, o condurre a stati depressivi. In questo ultimo caso, stare soli diventa insostenibile, crea malessere e anche disistima in se stessi, tanto che si accede in un circolo vizioso in cui si ha paura di non avere più le relazioni, ma anche di crearne nuove. In inglese sussistono due diverse significati del termine solitudine: da un lato si parla di solitude, come un momento di contemplazione e intimità, dall’altro di loneliness, intesa come isolamento, nel senso negativo del termine. Alla luce di quanto detto la solitudine potrebbe essere percepita come l’esito di questo dualismo, dove  molto spesso il versante più vicino alla depressione sovrasta l’altro. Per di più in psicologia il termine solitudine viene affiancato spesso al concetto di isolamento: una persona può essere isolata per assenza di empatia, sociopatia o disturbi come la sindrome di hikikomori, il disturbo schizoide o altri problemi legati alla realizzazione di relazioni, a causa di eventi fortuiti o preferenze di altri. Cominciamo col differenziare tra solitudine esteriore e interiore. La solitudine può essere una condizione della nostra vita sociale o anche solamente  un pensiero, senza reali confronti con la realtà esterna. La solitudine esteriore, ovvero lo stato di isolamento, solitamente dura poco. Nasce dall’ attimo della vita che si sta vivendo, dall’umore, dal grado di empatia nei confronti di chi ci attornia o da altri eventi esterni. La solitudine interiore, contrariamente, ha tempi mutabili che, spesso, non vedono risoluzione fino all’incontro con lo psicologo. Si tratta di una condizione mentale per cui, anche quando si è accerchiati da persone e affetto, non si riesce a gradire questa vicinanza. Ci si sente in ogni caso soli. I sintomi della solitudine non sono da minimizzare: potrebbero essere espressioni di uno stato di dolore più profondo e inconscio su cui è bene intercedere subito. Di solito si mostrano in qualsiasi momento della giornata, senza distinzioni, come un disturbo che c’è e difficilissimo da distruggere. In realtà, è proprio così: la solitudine interiore è uno stato di dolore a cui non si può porre fine con uno scrocchio di dita. Quando si captano alcuni sintomi, è bene valutare il consulto con uno psicologo. I segnali che ci permettono di capire che è il momento di reclamare l’aiuto di un professionista sono molti. Alcuni di questi sintomi  possono derivare dalle relazioni con gli altri, come: insicurezza e senso di inadeguatezza; la paura di rimanre soli senza un partner ; la paura di essere tagliati fuori dal gruppo (FOMO); il timore nei confronti del giudizio altrui; una sensazione di vuoto interiore. Altri segnali possono nascere dal nostro corpo, come: risposte infiammatorie, frequenti ricadute in lievi malanni ,aritmie, difficoltà a dormire, ipertensione.

La solitudine può divenire  una condizione stabile, uno spazio comodo dove ci si abitua a stare e, giorno dopo giorno, divien sempre più complicato uscirne. È un circolo vizioso che produce solo successiva sofferenza, anche se talvolta si conclude per rendersi conto di star bene così. Con l’aiuto di un professionista diventerà più semplice ricavare fiducia in se stessi e negli altri per poter uscire da uno stato di solitudine interiore e ristrutturare il proprio senso di appartenenza al mondo.

Prima di tutto bisogna mettere in risalto come l’essere soli fisicamente sia uno stato transitorio, mentre la solitudine diviene  un vero e proprio stato della mente, svincolato dall’essere o meno con altre persone. Se da un lato abbiamo persone che desiderano divertirsi e socializzare, dall’altro lato vi sono persone che si sentono pienamente serene stando solamente con loro stesse e ricercando attivamente questo spazio. Stare soli fisicamente succede a tutti in alcuni momenti, ma ciò è totalmente  diverso dal sentirsi soli e provare un senso di solitudine interiore ed isolamento. In questo caso sussiste spesso una profonda sofferenza, un senso di vuoto e le cause possono essere molto profonde.

Lo studioso Weiss, nel 1973, differenziava tra solitudine emotiva e solitudine sociale. La prima fa riferimento alla mancanza di una figura di attaccamento e sentimenti di isolamento, mentre la solitudine sociale è legata all’assenza di una rete di riferimento, l’assenza di un circolo di persone che consenta all’individuo di espandere un senso di appartenenza e di comunità. Molti studi asseriscono di questo tipo di solitudine come di un isolamento doloroso. Cioè quella  sensazione di profondo isolamento, di non sentirsi capiti o accettati. Una sensazione oscura e continua che ti accompagna per tutto il giorno. Sentirsi così profondamente soli può rivelare il non sentirsi parte del mondo, sentirsi di non far parte di nulla, malgrado si possa possedere una gran quantità di contatti sociali o stare in una relazione. Non conta quello che stai eseguendo o con chi sei, sembra difficilissimo riuscire a liberarsene. Spesso si uniscono sensazioni di ansia, ansia sociale, pensieri negativi e tristezza e non sempre appaiono esserci effettive motivazioni per sentirsi così. La solitudine può divenire anche una condizione psicologica profonda che, se non combattuta, può condurre a disturbi ansiosi, dipendenze, depressione, difficoltà relazionali.

Conclusioni

L’articolo è voluto partire dal fenomeno dell’ Hikikomori, trattando  gli aspetti che hanno permesso di annoverare le caratteristiche, le cause e gli interventi possibili, con un’attenzione particolare alle nuove tecnologie digitali sullo sviluppo dello stesso. Tramite un’analisi della letteratura contemporanea è stato possibile dare risposta ad alcuni quesiti inziali sulla forza generatrice del fenomeno e sulle probabili cause scatenanti. Salta all’occhio un quadro contraddistinto da comportamenti di evitamento e chiusura interiore che terminano, nei casi più gravi, in un’autoreclusione all’interno della propria stanza, sfuggendo da qualsiasi relazione con l’esterno, famigliari inclusi. Un blocco della propria vita sociale e relazionale appare essere l’unico sistema possibile di “automedicazione” nei confronti di una sofferenza psichica ed emotiva che diventa insostenibile. Ciò che prolifica il forte malessere appartenente a questi giovani sembra scaturire da uno blocco evolutivo. La relazione di dipendenza tra madre e figlio, una forte interiorizzazione degli ideali dei genitori, simultaneamente ad aspetti del carattere quali sensibilità, introversione, intelligenza e predisposizione ad una valutazione critica e negativa della società, condurrebbero ad un’inefficace apprendimento di quegli strumenti imprescindibili per adattarsi e sopportare il delicato passaggio adolescenziale in un contesto altamente richiedente e distinto da forti tensioni sociali alla realizzazione di sé. Un’inaccettabile confronto con “l’altro” che diviene oggetto temuto e per effetto da schivare. Si evince una comorbilità con altri disturbi psichici, tra cui i disturbi di ansia e disturbi dell’umore. Affiora però allo stesso tempo sarebbe troppo riduttivo parlare di Hikikomori come l’effetto di una psicopatologia individuale già esistente in quanto vorrebbe  confermare che sia il disturbo stesso a imporre il giovane Hikikomori all’isolamento. Sarebbe più giusto dire è una scelta, seppur dolorosa, cosciente e volontaria, effetto di molteplici fattori non solo individuali, ma anche sociali e familiari. Solitamente  , la comorbilità con disturbi psichici tra cui  la depressione , può essere la conseguenza e non il movente del ritiro sociale esteso. Un’altra analisi mette in evidenza la connessione tra l’uso problematico delle nuove tecnologie e isolamento sociale si può arrivare a stabilire che non è possibile sopportare l’esistenza di una relazione di causa effetto tra i due fenomeni, ma come essi tengano un quadro di biunivoca influenza. Oltretutto, come si evince  dalle testimonianze in letteratura non tutti i giovani Hikikomori usufruiscono del mondo del web, in quanto per alcuni di loro anche il sostentamento di relazioni unicamente virtuali divengono inammissibili. Contemporanemente , restano numerosi coloro che all’interno della propria stanza convertono la loro vita e la loro quotidianità, a volte stravolgendo il ciclo sonno-veglia, in un mondo disgiunto dalla realtà, fallace e immaginario, ma assolutamente più sicuro, come quello virtuale; quest’unica eccezione di interazione che i giovani Hikikomori arrivano a sostenere, potremmo interpretarla come un importante forma di sostegno sociale che in una circostanza così particolare ed estrema prende quasi un valore positivo, a prescindere dalle considerazioni e dagli esiti negativi che possono derivare da un uso sproporzionato del web in condizioni di diversa natura. Ciò che si può dire  rispetto l’uso delle nuove tecnologie è come queste hanno segnato a trasformare profondamente alcuni comportamenti sociali, nello specifico a livello comunicativo: l’ abituale modalità di comunicazione virtuale a sfavore di una comunicazione “vis a vis” fa arrivare i professionisti a parlare di “analfabetismo emotivo”. Una carenza di abilità nel distinguere e coordinare le proprie e altrui emozioni e una minore empatia verso “l’altro”, può condurre a una riduzione della qualità delle relazioni interpersonali ed a una minor capacità di sopportare le frustrazioni, eventi negativi, o fallimenti scolastici cooperando così allo sviluppo di un terreno fertile alla scelta del ritiro sociale . Non può in ogni caso essere valutata l’ esistenza di una relazione causa effetto tra “analfabetismo emotivo” e Hikikomori. Insomma, dalla letteratura e dell’analisi di alcuni casi studio è stato possibile dare un quadro di quelle che sono le  modalità di presa in carico presenti e gli interventi possibili per poter fare fronte e delimitare la problematica di un terreno fertile alla scelta del ritiro sociale. Per concludere possiamo dire che il lavoro appena presentato vuole concorrere all’ informazione e alla sensibilizzazione di un fenomeno attuale e altamente problematico di cui ancora la nostra società non ne è pienamente consapevole. Per di più vuole invitare ad espandere sull’importanza di capire i giovani adolescenti che sempre più si trovano a doversi accomodare ad un mondo che sembra procedere velocemente più di loro; un mondo fatto di egocentrismo, di competizione, dove il bisogno di comparire , sentirsi apprezzati è sempre più forte; le alte richieste di prestazioni e di realizzazione professionale per beneficiare di un fittizio riconoscimento sociale conduce molti dei nostri giovani ad averne paura, ad avvertire di non farcela. Ed è così che in un mondo che corre più veloce di loro, non possono far altro che fermarsi e rifiutare. La scuola potrebbe essere uno dei punti cardine da cui muoversi, è il luogo in cui i professionisti non solo istruiscono, ma conducono i giovani nel loro percorso di crescita. Fornire  e realizzare luoghi sicuri e confortevoli, focalizzati sulla comprensione dei bisogni e delle capacità del singolo, dove la concorrenza e le richieste ad essere diversi e migliori da ciò che si è arrivino ad essere soppresse, questa dovrebbe essere una delle priorità della società moderna e dell’istituzione scolastica.

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Dott.ssa Daniela Cusimano, Coordinatrice PSP-Italia