A cura della Dott.ssa Vera Cantavenera, Psicologa Clinica, Coordinatrice PSP-Italia, Agrigento
“La didattica inutile è quella che si ostina ad insegnare ai bambini con DSA quello che a loro non serve. La scuola deve diventare la casa dell’apprendimento, il luogo in cui si realizza il principio di equità e non solo quello di uguaglianza, dove gli insegnanti che hanno compreso profondamente i meccanismi dell’apprendimento riescono a rispondere alla richiesta più importante che ci arriva proprio dai bambini con DSA che è questa: se non riesco ad apprendere quello che mi insegni perché non mi insegni quello che riesco ad apprendere?” (Giacomo Stella)
Secondo il DSM-5, i Disturbi specifici dell’apprendimento (DSA) figurano tra i disturbi del neuro-sviluppo. I DSA riguardano un gruppo di disabilità in cui si presentano significative difficoltà nell’apprendere le abilità scolastiche di base. Sono disturbi, di fatto, con esordio durante gli anni della formazione scolastica che interessano uno “specifico e circoscritto dominio di abilità” indispensabile per l’apprendimento (lettura, scrittura, calcolo) lasciando intatto il funzionamento intellettivo generale. Ciò significa che per avere una diagnosi di dislessia, o di disortografia, di digrafia o di discalculia, il bambino non deve presentare deficit di intelligenza, problemi ambientali o psicologici, deficit sensoriali o neurologici.
Per poter parlare di Disturbi dell’apprendimento tali difficoltà devono presentarsi per almeno sei mesi. Quest’ultime impediscono al bambino di poter apprendere la materia di studio stessa, per questo il rendimento scolastico non è soddisfacente. I Disturbi specifici dell’apprendimento, dunque, non sono legati a caratteristiche fisiche e mentali sotto la norma, piuttosto, a delle specifiche difficoltà in una (o più) delle funzioni sopra citate. (lettura, scrittura e calcolo).
Per questo i DSA, vengono distinti in base alla difficoltà specifica che comportano, e si dividono in:
Dislessia – disturbo specifico della lettura, che si manifesta con una difficoltà nella decodifica del testo;
Disortografia – disturbo specifico della scrittura che si manifesta con difficoltà nella competenza ortografica e nella competenza fonografica;
Disgrafia– disturbo specifico della grafia, che si manifesta con una difficoltà nell’abilità motoria della scrittura;
Discalculia – disturbo specifico dell’abilità di numero e di calcolo, che si manifesta con una difficoltà nel comprendere e operare con i numeri.
È definito infatti che i DSA sono disturbi specifici, perché riguardano esclusivamente alcuni processi di apprendimento, hanno una matrice evolutiva e un’ origine neurobiologica. Di fatto, si parla di sviluppo atipico o neurodiversità, di caratteristiche individuali e non di patologia. Una persona con DSA ha intelligenza e capacità cognitive adeguate alla sua età: può però apprendere con difficoltà e a ritmo più lento rispetto ai suoi coetanei perché fatica e disperde energie a causa delle sue caratteristiche individuali di apprendimento che la didattica in quel momento non asseconda. E’ importante quindi sottolineare che i bambini con Disturbi specifici dell’apprendimento riescono facilmente ad avere una visione d’insieme, a percepire un’immagine nel suo complesso. Sono in grado di cogliere gli elementi fondamentali di un discorso o di una situazione, ragionando in modo dinamico e creando connessioni inusuali che altri difficilmente riescono a sviluppare. Apprendono facilmente dall’esperienza e ricordano maggiormente i fatti non in modo astratto ma come esperienze di vita, racconti ed esempi. Pensano soprattutto per immagini, visualizzando le parole e i concetti in modo tridimensionale, per questo memorizzano molto più facilmente per immagini. Sono capaci di vedere le cose da diverse prospettive e processano le informazioni in modo globale invece che in sequenza.
Le principali caratteristiche che contraddistinguono i Disturbi specifici dell’apprendimento riguardano:
le inattese e importanti difficoltà nella letto-scrittura e/o nei numeri e nel calcolo;
le difficoltà nella consapevolezza fonologica (difficoltà nel riconoscere quanti, quali e in che ordine sono i suoni di una parola);
la lentezza nell’automatizzazione di diverse abilità.
Alcuni bambini con Disturbi specifici dell’apprendimento possono anche avere difficoltà di coordinazione, di motricità fine, nelle abilità di organizzazione e di sequenza e difficoltà nell’acquisizione delle sequenze temporali (ore, giorni, stagioni, ecc.).
Dall’analisi della letteratura i disturbi che più frequentemente si riscontrano in comorbilità con i Disturbi specifici dell’apprendimento sono: il disturbo da deficit dell’attenzione/iperattività (ADHD) e i Disturbi Specifici del Linguaggio (DSL).
La Consensus Conference (2007) ha evidenziato che nella pratica clinica si riscontra un’alta presenza di comorbilità sia fra i Disturbi specifici dell’apprendimento stessi, sia fra Disturbi specifici dell’apprendimento ed altri disturbi ancora quali disprassie, disturbi del comportamento e dell’umore, disturbi d’ansia, ecc.. L’elevata comorbilità determina la marcata eterogeneità dei profili funzionali e di espressività con cui i Disturbi specifici dell’apprendimento si manifestano e comporta significative ricadute sul versante dell’indagine diagnostica (CC-2007).
Si stima che in Italia oltre 2 milioni di persone tra bambini, ragazzi e adulti, circa il 3-4% degli alunni italiani presentano delle difficoltà negli ambiti della lettura, del calcolo e della scrittura. Purtroppo solo l’1% di questi alunni con DSA è riconosciuto con una certificazione diagnostica, mentre il restante 2%, pur manifestando delle difficoltà non viene identificato come DSA. È importante cercare di individuare precocemente alcuni segnali, utili per formulare una diagnosi. Tuttavia, non è possibile diagnosticare esattamente questa tipologia di disturbi, se non prima della fine della classe seconda della scuola primaria. Infatti, nonostante durante la scuola dell’infanzianalcuni comportamenti e difficoltà in determinate aree possono essere considerati predittori di DSA (per esempio alcune difficoltà nell’orientamento spazio-temporale o nella coordinazione motoria o nell’organizzazione del lavoro), purtroppo non è possibile avanzare l’ipotesi certa che si tratti di un disturbo dell’apprendimento; anche se molte scuole dell’infanzia si sono attivate in questo senso e a partire dall’ultimo anno si stanno diffondendo metodiche di osservazione scolastica che possono aiutare gli insegnanti nella progettazione didattica a supporto delle difficoltà.
In particolare a partire dall’ingresso alla scuola primaria è possibile osservare eventuali ritardi nel percorso di alfabetizzazione che potrebbero essere un indice di disturbo. Sono le maestre, durante le attività scolastiche, ad avvertire le prime difficoltà e disagi nel bambino e sono loro che hanno quindi il dovere d’informare il genitore al più presto per fargli prendere contatto con lo specialista in grado di formulare una diagnosi.
Ma cosa si può fare quando ancora non c’è una diagnosi? Non vi è dubbio che in questi casi sia il bambino che la famiglia e la scuola, si ritrovano nella confusione di un basso rendimento scolastico senza capirne il motivo. In questa prima fase gli insegnanti si interrogano sull’impegno del bambino, sulle sue condizioni familiari, lamentano scarso impegno e disinteresse, talvolta problemi di comportamento in classe. Essi trovano anche difficoltà a spiegarsi perché il bambino che tra i pari sembra non avere particolari difficoltà, mostra poi rifiuto o problematiche quando gli si chiede di leggere e di scrivere (Stella, 2001). I genitori sono confusi e spesso oscillano fra comportamenti severi e punitivi con inviti all’impegno e lunghi periodi in cui attendono sperando che il tempo possa portare ad un miglioramento della situazione. All’inizio in genere tendono a dare ragione all’insegnante e si associano all’idea che la difficoltà del loro bambino dipenda dallo scarso impegno o da un’insufficiente dose di esercizio. Il bambino si sente incompreso sia in famiglia che a scuola e lui stesso comincia a dubitare delle proprie capacità. Questo può essere molto destabilizzante e provocare un abbassamento dell’autostima, disagio psico-affettivo, un sentimento di inferiorità nonché senso di colpa, soprattutto se si sente giudicato pigro e svogliato (Gagliano 2008).
Le interpretazioni e le azioni degli adulti portano, in questi casi, ad un’aggravarsi della situazione. E’ in questi casi che bisognerebbe intervenire ed essere più tempestivi, per evitare disagi ulteriori soprattutto al bambino.
Di contro, va evidenziato ed è un aspetto da non sottovalutare, che a diagnosi effettuata, se il disturbo non viene trattato adeguatamente, le manifestazioni psicologiche della sofferenza possono assumere varie forme, anche opposte tra loro: da un lato il bambino può presentare un comportamento ritirato, chiuso in se stesso, di evitamento del confronto; questo complesso di reazioni si possono definire di tipo depressivo o inibitorio. Dall’altro, invece, si possono presentare sentimenti di rabbia che portano a comportamenti disturbanti, opposizione alle insegnanti e aggressività col personale scolastico e con i pari, cosa che può innescare un circolo vizioso all’interno della classe. Talvolta lo stesso bambino può presentare i due diversi tipi di comportamento in momenti diversi (Ryan, 2006). Il rischio è quello di restare intrappolati in circoli viziosi, in cui fallimenti, lo scarso investimento sulle attività scolastiche e la demotivazione vanno a potenziarsi vicendevolmente.
Considerando che è proprio durante i primi anni di scuola che i bambini si trovano ad affrontare il conflitto tra una positiva immagine di sé e i sentimenti di inferiorità (Erickson, 1987), il modo in cui riusciranno a sviluppare sentimenti positivi che li porteranno a sentirsi efficaci avrà ripercussioni sulla loro vita.
Nel DSM-5 (APA, 2013) si sottolineano inoltre le possibili “conseguenze funzionali negative lungo l’arco di vita che includono […] alti livelli di distress psicologico e inferiore salute mentale generale […] l’abbandono scolastico e i co-occorrenti sintomi depressivi aumentano il rischio di esiti negativi in termini di salute mentale generale. Al contrario alti livelli di supporto emotivo e sociale predicono migliori risultati a livello di salute mentale”.
È dunque d’estrema importanza che la scuola e la famiglia agiscano tenendo conto non solo del disturbo e del miglioramento del profitto scolastico, ma anche e soprattutto, degli aspetti emotivi del bambino. Solo in questo modo si possono ottimizzare i risultati e prevenire che il bambino sviluppi una bassa autostima, disturbi ansioso-depressivi e una sottostima delle sue capacità.
Con la propria attività quotidiana, il Pronto Soccorso Psicologico-Italia, operando in un’ottica di multidisciplinaritá attraverso la collaborazione con altre figure specializzate, può mediare tra scuola e famiglia, garantendo la costituzione di percorsi di formazione ad hoc, finalizzati a rendere più consapevoli gli insegnanti e i genitori, circa l’adeguato comportamento e gli interventi da mettere in atto a prevenzione, e sostegno e supporto degli alunni che sono affetti da DSA.
Inoltre con la loro professionalità, gli operatori del PSP-Italia, possono “prendersi cura” dal punto di vista psicologico dei soggetti affetti da disturbi specifici dell’apprendimento e dei loro familiari, assicurandosi che godano del supporto necessario ad esercitare i propri diritti e le proprie libertà fondamentali.
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