I figli contesi: dalla separazione alla conflittualità

A cura della Dott.ssa Daniela Cusimano, Psicologa Clinica, Coordinatrice Pronto Soccorso Psicologico-Italia

Abstract

This work aims to address the issue of marital separation and the development of the children involved in it. The dominant objective of the article is to highlight how, over the years, the research perspective has become increasingly more complex, moving from the study of structural variables to the study of “processes”. From the separation itself, we moved on to analyze the marital conflict. The “resilience” perspective seems to be the most efficient model today to illustrate the different developmental outcomes of children of separated parents. The basic idea is that different adaptations to a risk condition arise from the mutual influence between vulnerability factors and available resources, as it is not the initial conditions that decide the outcomes but the processes.

Riassunto

Il presente lavoro vuole affrontare il tema della separazione coniugale e lo sviluppo dei figli in essa implicati. L’obiettivo dominante dell’articolo è quello di mettere in evidenza come, negli corso degli anni, la prospettiva di ricerca sia divenuta sempre più articolata, passando dallo studio di variabili strutturali allo studio dei “processi”. Dalla separazione in sé si è passati a analizzare il conflitto coniugale. La prospettiva della “resilienza” sembra essere oggi il modello più efficiente ad illustrare i differenti esiti evolutivi dei figli di genitori separati. L’idea di base  è che differenti adattamenti ad una condizione di rischio scaturiscono dall’influenza reciproca tra fattori di vulnerabilità e risorse a disposizione, in quanto non sono le condizioni iniziali a decidere gli esiti, ma i processi.

conflittualità genitoriale

Introduzione

La separazione coniugale è un evento sempre più diffuso e con il quale una molteplicità di bambini si confronta ogni giorno. I dati statistici ricavati dalle indagini ISTAT sul territorio italiano mostrano un aumento che diventa, anno dopo anno, sempre più consistente. “Separazione” significa non solo disunione di due persone che stanno insieme, ma anche ridefinizione dei parametri per un nucleo familiare che vengono a mutare. Infatti, la separazione coniugale comporta modalità di relazioni non più libere, ma regolate sovente da decisioni emesse da un organo esterno, il Tribunale, ad esempio, per ciò che concerne le modalità e la durata degli incontri tra genitore non affidatario e minore.

Il rapporto tra genitori e figli dopo la separazione è un indicatore interessante di come stanno cambiando le famiglie nel nuovo millennio, perchè è all’interno di tale rapporto che si gioca la delicata partita della  genitorialità e della sua “condivisione”. Studi e ricerche sottolineano l’importanza di promuovere e sostenere una cultura della genitorialità condivisa fin dai primissimi anni di vita dei bambini.

La separazione dei genitori rappresenta, infatti, un’esperienza emotivamente importante per i figli, spesso causa iniziale di sofferenza psicologica, in quanto è un evento destabilizzante, che impone un cambiamento. Ai figli viene spesso chiesto di trasformare profondamente le proprie abitudini quotidiane e le consuete modalità di relazione con i genitori ed essi possono attraversare un momento di confusione e di disordine emotivo, dovuto alla diminuzione del senso di stabilità e di sicurezza di cui, durante il percorso di crescita, hanno un estremo bisogno.

Separare è rompere ciò che è unito ovvero il legame di coppia senza che vengano coinvolti i legami filiali. Se separarsi fa riferimento all’esperienza della distanza emozionale percepita dai due coniugi, essa non deve minimamente influire sui figli. E’ nel momento della separazione che quest’ultimi debbono riconoscere i genitori  come individui diversi dal Sè . La separazione emotiva implica l’abbandono delle rappresentazioni infantili dei genitori come figure onnipotenti e onniscenti e la conquista di una rappresentazione dei genitori deidealizzata;  da qui la capacità dei figli di affrontare da soli le eventuali difficoltà incontrate e ad assumersi la responsabilità del proprio comportamento. Di contro l’esperienza del distacco emotivo è stata invece descritta come una forma più radicale di allontanamento dai genitori , legata alla percezione di una mancanza di sostegno e di accettazione da parte del padre e della madre a sentimenti di disimpegno , sfiducia e alienazione nei loro confronti. Si configura essenzialmente come una perdita della relazione di attaccamento, pertanto, non  si tratta di un superamento della rottura e del superamento dei legami infantili, ma di una riluttanza nel fare affidamento sui genitori e di una tendenza a prenderne le distanze. 

I figli, inoltre, tendono spesso a sentirsi “colpevoli” e responsabili delle difficoltà tra i genitori e questo li porta a sperimentare importanti vissuti di colpa, specie quando le discussioni riguardano questioni relative a loro (orari di visita, scelte educative ecc). I bambini più piccoli addirittura possono fantasticare di influenzare, con il proprio comportamento, il conflitto tra i genitori. Le tensioni che si trasmettono ai figli vanno ad incidere sul loro senso di sicurezza e sul loro equilibrio psichico, influenzando anche il loro modo di percepire gli eventi, ad esempio, possono diventare maggiormente sensibili e reattivi in situazioni conflittuali lievi a causa delle aspettative negative.

Trattandosi di un evento prevalentemente doloroso, esso comprende fasi “sane” di adattamento e integrazione a una nuova situazione. Esse possono assomigliare molto a quelle di elaborazione di un lutto.

Le fasi di elaborazione sono:

  1. Prima fase di negazione o rifiuto. Soprattutto i bambini, non riuscendo ad accettare l’idea di “perdere” uno dei due genitori, possono isolarsi, evitare di parlarne e comportarsi come se non stesse accadendo nulla.
  2. Rendendosi conto dell’inevitabilità della situazione, i figli possono successivamente manifestare rabbia. Questa può essere rivolta verso uno o entrambi i genitori; verso le sorelle e i fratelli; i coetanei; i compagni di scuola; gli adulti con cui si rapportano quotidianamente. Non è raro che in questa fase il rendimento scolastico sia bassi. Aumentino i capricci e le lamentele riguardo a piccoli fatti o accadimenti di ogni giorno.
  3. Superata questa fase, molti bambini pensano di poter fare qualcosa per riavvicinare i genitori. Inizia la fase di negoziazione. Attraverso un cambiamento comportamentale negativo (ad esempio il ricatto emotivo) o positivo (ad esempio l’alleanza manipolatoria), i bambini cercano di creare un avvicinamento tra i coniugi, vivendo poi come sconfitta il mancato obiettivo.
  4. La fase di depressionene è la conseguenza diretta. Dopo aver preso piena consapevolezza di ciò che sta accadendo e dell’impossibilità di evitarlo, il bambino può mettere in atto comportamenti apparentemente depressivi, connotati da tristezza e talvolta pianto.
  5. Per quasi tutti i bambini arriva il momento dell’accettazione. Col passare del tempo, infatti, la maggior parte dei bambini riacquista l’equilibrio. Si assesta nella nuova situazione familiare, sperimentando sentimenti di conferma e accoglimento affettivo.
  6. Talvolta può accadere che qualcosa interrompa questo processo sano di risoluzione del dolore. Anziché ripristinarsi un nuovo equilibrio, possono emergere disturbi psicologicia cui, nel tempo, i soggetti coinvolti non sono riusciti a porre rimedio.

Gli studi sul divorzio hanno, inoltre, prestato attenzione agli effetti che la vicenda separativa ha sui figli sia in termini di sviluppo cognitivo ed emotivo, sia di adattamento sociale e di rendimento scolastico nel breve e lungo periodo

La letteratura, soprattutto quella proveniente dal contesto anglo-americano, richiama la centralità della nozione del good divorce, dove per buon divorzio o  buona separazione s’intende quella situazione in cui sia gli adulti sia i figli godono di un livello di benessere emotivo pari a quello di cui disponevano prima della rottura familiare. Tali studi considerano gli effetti negativi del divorzio soprattutto se altamente conflittuale e se accompagnato da pratiche genitoriali post-separative in cui venga a mancare il co-parenting, ossia un insieme di relazioni genitoriali stabili di condivisione e di “buona” cooperazione tra madri e padri, che in ultima analisi nutrono legami e sentimenti dell’essere e del fare famiglia.

E’ fondamentale per un figlio sentire che i propri genitori, al di là del loro ruolo decaduto di marito e di moglie, sono in grado di mantenere la loro funzione di padre e di madre nell’assicurargli continuità nel rapporto affettivo.

Da quanto riportato sopra, in altre parole, i genitori, durante una separazione, vivono sicuramente una situazione complessa sia dal punto di vista emotivo sia sul piano organizzativo ed è importante che in questa fase non rimangono soli, che chiedano aiuto per  ricevere un sostegno, un ascolto, questo è il momento dove la presenza di una parte terza, disinteressata e obiettiva aiuta a tenere distinta la visione dei figli e dei genitori. In questa fase, bisogna sicuramente distinguere le emozioni dei figli e dei genitori, il professionista dovrà aiutare i genitori affinchè non diano ai figli ruoli consolatori, di portavoce, di protezione dei genitori che non si addicono a loro e che non li aiutano nell’accettazione ed elaborazione della separazione.

Considerazioni

In campo psicologico l’attenzione per il divorzio  è cresciuta insieme al prosperare dell’incidenza sociale del fenomeno e l’attenzione dei ricercatori si è in prevalenza centrata sulle reazioni dei figli, ovvero sullo sviluppo psico-emotivo dei minori implicati nella separazione coniugale e sull’effetto che questo evento può avere sull’esercizio delle funzioni genitoriali. Essendo i legami coniugali e la genitorialità strettamente collegati, le ricerche sulla ridefinizione dell’intersezione tra asse coniugale e asse genitoriale proseguono ad essere al centro dell’attenzione dei ricercatori per indicare come dopo il divorzio si possa ridefinire  come la cogenitorialità, che la relazione tra figli e singolo genitore (Malagoli Togliatti, M., & Lubrano Lavadera, A. 2009).

Il rapporto tra genitori e figli dopo la separazione è un rilevatore curioso di come stanno mutando le famiglie nel nuovo millennio, perché è dal profondo di tale rapporto che si gioca la soave partita della genitorialità e della sua condivisione. Molti studi evidenziano  l’importanza di sostenere e rinforzare una cultura della genitorialità condivisa fin dai primi anni di vita dei bambini.

In sè la separazione dei genitori assieme alla rottura del legame di coppia non raffigurano la causa di comparsa di disturbi nel comportamento dei figli, ma sono comunque un rilevante fattore di rischio, specialmente in relazione alle modalità con cui viene coordinato il certo conflitto che spesso segue il periodo di passaggio che condurrà alla separazione vera e propria ed infine al divorzio. E’ l’ ostilità fra i genitori che causa instabilità ed effetti devastanti sul benessere psicologico dei figli, altro che la separazione in se’ e per se’.

Nel corso della separazione il bambino non ricopre solo la funzione di spettatore passivo, ma spesso viene ambito da entrambi i genitori, indotto a allinearsi con l’uno o con l’altro, per sorreggere le ragioni dell’uno contro quelle dell’altro partner. Inoltre, il bambino spesso si attribuisce la colpa dell’abbondono da parte di uno dei genitori della casa coniugale, e non riesce a scindere il rapporto fra i coniugi-genitori dal rapporto che i genitori stessi hanno invece con i figli. Subentrano quindi senso di perdita e di abbandono, che possono spaventare il bambino, causando disagio e sofferenza.

La Sindrome di Alienazione Genitoriale (PAS – Parental Alienation Sindrome) è un disturbo dell’età evolutiva che nella realtà statunitense venne scoperto  negli anni ottanta.  Tale fenomeno si verifica quando nella separazione vi sono aspri conflitti, quando ognuno degli ex coniugi – sicuro di aver ragione – osa di trascinare i figli in una sorta di “gara di lealtà” (Byrne, 1989) confondendoli e obbligandoli ad un’eccezionale scelta forzata. I genitori usano i figli come propri confidenti ed mettono in atto dei comportamenti che hanno il fine di distaccarli dall’altro genitore e di unirli a sé. Wallerstein e Kelly (1980) definirono tale fenomeno, da loro messo in evidenza in soggetti di età tra i 9 e i 12 anni, anche quando vi sono dei buoni rapporti genitore-figlio precedentemente alla separazione, come “allineamento del minore con un genitore”.Jacobs (1988) lo definì come “Complesso di Medea” il comportamento materno mirato alla disintegrazione del rapporto tra padre e figli susseguenti alle separazioni conflittuali. In questo caso, le madri invece di ammazzare i loro figli per vendetta contro i mariti, come avviene nella tragedia di Euripide in cui Medea uccide i figlioletti per togliere il marito che l’ha rinnegata delle gioie di essere padre piuttosto provano ad “uccidere” il legame padre-figlio.

Sulla stessa scia si collocano i contributi di Turkat (1995, 1999) sulla “Sindrome della Madre Malevola/Genitore Malevolo”, secondo cui, dopo la fine del rapporto coniugale, il genitore, pur restando dispensato da altre psicopatologie accertabili, e conservando coi figli, perlomeno in apparenza, un adeguato rapporto di accudimento, ma esercita nei confronti dell’ex coniuge un comportamento dannoso, teso principalmente ad ostacolare un normale ed affettuoso rapporto coi figli. Il cambiamento della comportamento può racchiudere sia veri e propri gesti criminali, oppure può mutare in un eccesso di azioni legali con cui ostacolare all’altro genitore il rapporto coi figli.

Il genitore alienante (Gardner, 2002), invece di contrastare ai figli l’assurdità delle loro affermazioni, ne “rispetta” i sentimenti e ne sopporta le ripetute dimostrazioni di  maleducazione e diffamazione. Ne deriva un atteggiamento adulto morfico dei figli, che li fa sentire come se si fossero speditamente eretti a rango di eroici adulti, e col quale essi possono far colpo sui coetanei. Facendo le debite ripartizioni, tale fenomeno ha delle similitudini con quello del bullismo. Il bullo compie azioni che puntano a comandare, nuocere, abusare, insultare, intimidire vittime innocenti che sono inabili di difendersi. Tale comportamento trova origine sia nell’istigazione da parte di adulti che condizionano i ragazzi in tal senso, sia nella riproduzione di un comportamento di altri, sia coetanei che adulti, avvertito come trionfante. Ciò è dovuto al fatto che, sostenendo consapevolmente il genitore alienante, avvertito come il più potente dei due, i figli sentono di procurarsi potere, perché si  situano al sicuro dal non sottoporsi a punizioni e di non fare la stessa fine del genitore vittimizzato, riproducendo il classico schema del meccanismo di difesa, delineato da Anna Freud nel 1936, dell’identificazione con l’aggressore. Se provassero affetto al genitore bersaglio, essi stessi accorrerebbero il rischio di ritorsioni, quanto meno la privazione dell’affetto del genitore alienante (Montecchi, 1994)

Tutta l’energia emotiva che i bambini e i ragazzi impiegano per contrastare la conflittualità genitoriale determina una distorsione sia delle emozioni che degli aspetti della vita e dei bisogni della loro età. Alcuni ragazzi saggiano vergogna per la loro situazione familiare e quindi molti di loro tendono ad isolarsi difensivamente dalle amicizie. Può sembrare impossibile affermarsi in un modello di identificazione sessuale che è stato pesantemente sottovalutato dal conflitto, e quindi il bambino, per difendere un senso del proprio valore, è obbligato ad identificarsi col modello materno e a compiere scelte oggettuali in contrasto con il proprio genere. L’interiorizzazione di modelli maschili e femminili non adeguati danneggia, inoltre, la possibilità di realizzare, in età adulta, legami affettivi significativi e durevoli.

La conflittualità esacerbata causa nel bambino una sofferenza che influenzerà negativamente sul suo sviluppo psicofisico, se non giustamente affermata ed elaborata, tramite ovviamente l’aiuto dell’adulto e/o di figure professionali che servano da tramite e sostengano la famiglia in questa delicata fase di passaggio. Il bambino va agevolato nell’elaborazione delle emozioni e dei conflitti poiché, in caso contrario, si favorirebbe il presentarsi di disturbi del sonno, regressioni cognitive, rifiuto del cibo, tristezza e ansia da separazione.

I bimbi che si trovano a stare in situazioni di forte tensione intergenitoriale, hanno più possibilità dei coetanei di soffrire, in tenera età, di regressione, ansia, paura immotivata del genitore bersaglio e, se più grandi, scarso rendimento scolastico fino all’abbandono degli studi, di sindromi ansioso-depressive, di anoressia, bulimia, bullismo, insonnia, enuresi, disturbi psicosomatici. In certe circostanze anche di manifestazioni di tipo psichiatrico come schizofrenia, psicosi paranoide, suicidio, tossicodipendenza, alcolismo (Vezzetti, V., 2009). Ovviamente, l’intensità del vissuto traumatico da parte del bambino muta in funzione della sua età e del suo livello di sviluppo psicoaffettivo. La sua capacità di adattamento alla nuova situazione familiare deriva dalla qualità del rapporto coniugale e dal clima affettivo prima, durante e dopo la separazione.

Le conseguenze della separazione sui minori hanno un’origine multifattoriale e le variabili possono essere ripartite in due categorie: contestuali/familiari: la storia familiare, il cambiamento della struttura familiare, la conflittualità manifesta o latente tra gli ex coniugi, la qualità dei rapporti tra il bambino ed ogni singolo genitore, le condizioni di salute psicofisica dei genitori, pregresse esperienze luttuose, la rete relazionale e familiare, il contesto socio-.culturale di appartenenza; psicologiche/individuali: l’età, il temperamento e la struttura di personalità del bambino, la capacità di recuperare un proprio equilibrio dopo le avversità ,detta anche resilienza, il sesso, l’ordine di nascita. (Canavesi, E., Porta., L., 2012)

Per eludere il disagio infantile sono doverosi gli interventi psicologici tesi al sostegno della funzione genitoriale. La mediazione familiare è una delle principali risorse da poter essere suggerita come intervento relazionale di gestione dei conflitti familiari e contrattazioni nell’interesse dei bambini, ed ha il basilare scopo di limitare il più possibile l’effetto negativo della separazione sui figli, in termini economici, emotivi e relazionali, ma anche in termini di organizzazione pratica della cura: vi si trascinano al suo interno richieste legate al mantenimento, al diritto di visita e all’organizzazione quotidiana della vita dei figli, ma vi si cerca anche supporto e consulenza su come e quando sia più opportuno avanzare ai minori coinvolti i nuovi assetti; a partire da ciò che accade in fase di mediazione pigliano forma delle pratiche di co-genitorialità che avanzano nella direzione di facilitare il più possibile le condizioni migliori di vita per i figli, ma anche di sapersi palesare concordi e adattati nel favorire quelle condizioni. Ciò che sembra affiorare con maggiore forza è quanto genitori separati e professionisti dei servizi condividano non solo sull’importanza di strumenti ,come la mediazione familiare, che consentano di mettere il benessere dei figli al centro, affrontando con successo le divergenze di coppia, ma anche sulle loro stesse premesse: la buona separazione viene così realizzata in interazione, attorno all’asse del meglio per i bambini. (Mercuri, E., & Naldini, M. 2020).

Conclusioni

Non dobbiamo demoralizzarci di fronte alla rinuncia di un figlio verso un genitore. Così come non ci avviliremmo nel caso che un bambino si declinasse dall’ andare a scuola, o di fare le vaccinazioni, o di guarire quando è malato, o eseguirebbe qualsiasi altro gesto autolesionistico. Proveremmo  a comprendere se dietro l’apparenza di un sogno del bambino si celi l’interesse di un genitore che sta usando male la sua fiducia. Distanziare l’odiato ex partner dal figlio può indubbiamente coincidere all’interesse del genitore, ma indubbiamente non a quello del figlio.

L’interesse del figlio è quello di avere entrambi i genitori, e, se possibile, che siano ancora capaci di cooperare e facilitare i rapporti, sia con l’altro genitore che con il pertinente ramo parentale; quello che può essere circoscritto come cogenitorialità  o bigenitorialità. A prescindere  dai differenti fattori che possono innescarsi  in ogni singolo caso, e al di là dei limiti e delle controversie che la teorizzazione della PAS ha originato, tuttavia, dobbiamo riconoscere che il fenomeno sussiste. Qualsiasi ne sia la causa, è un problema col quale dovremo scontrarsi sempre di più, nei casi di figli contesi a seguito di separazioni.

Il compito degli psico-professionisti è quello di riuscire ad immettersi all’interno di questo doloroso cammino, schivando che il fallimento e la  perdita dell’orientamento si tramutino in agiti (acting-out) e conflittualità giudiziaria, esacerbando ulteriormente una situazione già pregiudicata. L’unico modo per sfuggire questo danno supplementare è che i professionisti dell’ambito giudiziario e quelli dell’ambito psicologico imparino ad agire fianco a fianco, sia per tutelare i diritti di ognuno, sia  per cercare di ridonare un senso ed una progettualità alle famiglie separate. Fino a quando non verranno messe  in rilievo le motivazioni, specialmente

quelle inconsce o non dichiarate, che spronano i conflitti familiari, faticosamente la giustizia, da sola, arriverà a gestire le separazioni.

Per gli adulti della coppia la separazione è un’esperienza sconvolgente che porta con sé molto dolore e grandi cambiamenti e quando ci sono dei figli si associa la necessità di organizzarsi di nuovo il nucleo familiare. Bisogna distinguere il dolore degli adulti, che include vissuti di perdita e fallimento, rabbia, impotenza e sensi di colpa, dai vissuti dei bambini che invece subiscono le conseguenze della separazione dei genitori. Per gli adulti in molti casi è difficile percepire, discernere e accogliere la sofferenza dei figli, il rischio è quello di svalutare e tralasciare i sentimenti che provano, oppure di mescolare i loro con i propri vissuti. Nell’ esperienza dello psicologo infantile, nel minore le problematicità psicologiche non sono collegate solamente all’evento occasionale del divorzio invece gli effetti possono riflettere sui suoi comportamenti futuri.

Uno dei vissuti che contraddistingue i figli di divorziati, come affiora dal lavoro dello psicologo infantile, è il senso di colpa in tutte le sue forme. I bambini e adolescenti possono chiedere se la causa della separazione sia da addossare a loro stessi, si sentono in colpa e indifesi nel innalzare dalla sofferenza l’adulto con cui proseguono a vivere, si sentono in colpa se la loro relazione con il genitore che va via non è più quello di prima. Nel momento in cui i coniugi si separano è davvero molto importante che insieme possano confortare il figlio ribadendo che non è lui il responsabile di ciò che sta succedendo e che la scelta del divorzio deriva solo da loro adulti: i genitori non resteranno più insieme, ma lui figlio non c’entra nulla con la scelta di separarsi che è di unicità competenza dei grandi. E’ anche utile dirgli/le che mamma e papà proseguiranno a volergli bene come prima. Queste semplici parole, nell’esperienza dello psicologo infantile, se dette con trasparenza e fermezza possono essere una soluzione che tranquillizza il bambino o ragazzo che si prepara a patire il divorzio dei genitori. Tale evento è difficile da accogliere e produce sempre un profondo scompiglio salvo i casi in cui i minori siano vittime di abusi.

Per questi motivi, ricorda lo psicologo infantile, è davvero rilevante per un figlio udire che il divorzio della coppia genitoriale non coincide alla perdita del legame con uno dei genitori. I membri adulti della coppia devono tentare di trovare un modo per continuare a conversare e cooperare per la crescita dei figli. Gli interventi di psicologia clinica e counseling psicologico possono restituire senso alla sofferenza del bambino, cercando di mettere in salvo i legami familiari e assicurare una continuità di rapporto con entrambi i genitori e le relative famiglie di origine, spesso infatti il minore prova  profondo affetto per nonni, zii, cugini e il divorzio della coppia per essere il meno traumatico probabile non deve implicare la perdita di questi legami. I figli di divorziati vivono realtà differenti dovendo spesso trasferirsi da un genitore all’altro, per questo è importante che possano avvertire una continuità tra questi mondi spesso svariati tra loro che sono entrambi edificanti le basi della propria identità in costruzione. E’ fondamentale che i genitori separati non omettano quanto il figlio ami profondamente sia mamma che papà, anche se sono diversi, e avverta di aver bisogno di tutti e due per svilupparsi.

Per poter sostenere meglio le conseguenze di un divorzio sui figli può essere di sostegno un percorso psicologico che aiuti a intercedere almeno nei momenti iniziali, affinché i conflitti della coppia possano essere compresi e si trovi un modo per tutelare il bene del minore. Con un adeguato aiuto i genitori possono arrivare a conservare la propria funzione senza annientare l’immagine dell’altro coniuge agli occhi del figlio, possono conseguire un modo per cooperare e scorgere una coerenza educativa. Con il sostegno dei genitori un figlio può fare fronte alla loro separazione, esperienza di vita questa, che se realizzata, lo può rinforzare nella crescita.

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Dott.ssa Daniela Cusimano, Coordinatrice PSP-Italia