A cura del Prof. Mariano Indelicato, Presidente Pronto Soccorso Psicologico-Italia
“[…] se alle spalle – magari non ricordato, magari rimosso o negato, magari coperto dal mito di una madre idealizzata – c’è un accudimento materno o troppo divorante o troppo rifiutante e castrante (la carenza materna è sempre comunque espressione di una coppia genitoriale carente), quel maschio non riuscirà da adulto ad affidarsi al femminile, non saprà e – soprattutto – non potrà vivere la dolcissima avventura di tuffarsi nel magico e trasformante potere della femmina, affidandosi al suo abbraccio e penetrandone il mistero”. G. Cortesi
I legami familiari riproducono e, nello stesso tempo, connotano le esperienze relazionali infantili debitamente rielaborate durante la formazione della nostra identità. Essi trovano significazione nelle esperienze infantili di attaccamento e contraddistinguono i rapporti di coppia, i legami filiali e, in generale, quelli con la rete amicale e di parentela.
Goldbout, a tal proposito, sostiene che “La famiglia è solo la punta dell’iceberg di quella rete complicata di obblighi che ci assegniamo verso i nostri amici, i nostri vicini, i nostri parenti e il cui cuore si situa sempre, probabilmente ancora per molto tempo, nelle reti familiari e di parentela”.
Il termine legame deriva, infatti, dal verbo latino “ligare” che nella sua indicazione neutra diventa, “ligamen”. L’etimologia di legare vuol dire stringere con una fune, catena e/o vincolo. Il vincolo di coppia, quello filiale, si esplicano nell’esperienza della donazione reciproca: nella capacità di perdere in individualità per vivere ed immergersi nella straordinaria esperienza del “Noi”.
Il legame in chimica, che è la scienza che più di tutti lo ha studiato, si forma attraverso l’interazione con cariche elettriche complementari (legame ionico) e/o attraverso la cessione di elettroni con cariche equivalenti e con cariche di elettronegatività bassa (legame covalente). Esso è frutto di un’interazione tra atomi che si scambiano elettroni nelle loro orbite esterne. Un importante presupposto del legame chimico è la lunghezza ovvero la forza del legame è direttamente proporzionale alla sua distanza.
I legami umani presentano parecchie similitudini e analogie con ciò che avviene alla materia cosi come analizzato e studiato nei processi chimici. Anche nella società umana troviamo legami forti e primari che sono costituiti dalla famiglia che è unita da vincoli di pathos ed ethos (la coppia) e assumono le caratteristiche di un legame covalente nella generatività.
Lewis, a proposito del legame covalente, sostiene che gli atomi formano legami perdendo, acquistando o mettendo in comune un numero sufficiente di elettroni, in modo da raggiungere, se possibile la configurazione elettronica dei gas nobili. Anche per formare una famiglia si perde, si acquista e si mette in comune.
Minuchin sostiene che per realizzare i compiti specifici che spettano loro, i coniugi necessitano di capacità di complementarità e reciproco accomodamento, cioè devono sostenere il modo d’agire dell’altro in molti campi, cedendo parte del loro individualismo per riguadagnarlo nel rapporto di coppia. Possono favorire reciprocamente la creatività, l’apprendimento e la crescita. Sostanzialmente per arrivare al noi (acquistare) i membri della coppia devono praticare la complementarietà (mettere in comune) e cedere una parte di se stessi (perdere). Il concetto di complementarietà ci porta al legame ionico che appunto prevede l’interazione tra cariche elettriche complementari.
Watzlawick , in “Pragmatica della Comunicazione Umana”, come quinto assioma della comunicazione fa riferimento a relazioni simmetriche e complementari. Secondo quest’autore la comunicazione e, quindi, la relazione può essere basata sull’uguaglianza o sulla differenziazione. Nella relazione complementare i partecipanti al processo comunicativo assumono posizioni diverse definite one-up e one-down, che non hanno nessuna connotazione forte – debole, ma indicano semplicemente la posizione in cui si trovano i comunicanti. La relazione si interrompe nel momento in cui sia nelle relazioni simmetriche e complementari, si inseriscono messaggi di squalifica e disconferma. Infatti, la relazione simmetrica (comunicazione tra pari) è funzionale fino a quando ambedue i partecipanti confermano l’altro nella sua posizione. Al contrario, se si tende a sconfermare l’altro, ponendosi in posizione di superiorità , si arriva all’escalation simmetrica poiché l’altro tende a recriminare e a porsi in posizione ancora più avanzata. L’escalation simmetrica segue la legge del “tanto più tanto più” ovvero più tu mi sconfermi nella mia posizione tanto più io non riconosco la tua. La stessa cosa avviene nella complementarietà, se i due comunicanti vogliono assumere, ambedue, la posizione one-up poichè è più complicato che vogliano accettare, come si può facilmente intuire, la posizione one-down. La relazione , quindi, è funzionale quando avviene uno scambio tra pari o quando i partecipanti si scambiano o riconoscono le posizioni in maniera complementare.
In sostanza, per legare la famiglia (mettere in comune) si deve perdere, anche assumendo posizioni complementari, nella consapevolezza che perdendo si acquista. E’ ciò che fa l’atomo per formare la molecola: cede i suoi elettroni in modo da poter acquistare un nuovo stato. La chimica insegna che, affinchè un legame diventi un vincolo reciproco, si deve cedere con la consapevolezza di acquisire un nuovo status. In effetti, gli atomi, pur mantenendo le loro specificità, si fondono per creare una nuova sostanza. Due atomi d’idrogeno e uno d’ossigeno si legano al fine di creare l’acqua. Allo stesso modo, due individui mettono insieme le loro storie generazionali per formare una nuova coppia, una nuova famiglia.
Cancrini e Harrison propongono un particolare ciclo vitale della coppia in tre fasi:
• nella prima fase, di unione-fusione, si ha la fusione dei due e l’individuazione della coppia rispetto al resto del mondo;
• nella seconda fase, che è tipica della quotidianità, c’è un confine permeabile tra la coppia e l’esterno, ed è il momento in cui si creano le regole e si stabilizza la relazione;
• nella terza fase, si ha la separazione. La fusione di cui parlano questi due autori è possibile mutuarla da ciò che Freud scrive a proposito dell’innamoramento.
Per Freud la scelta del partner riflette e tende a duplicare la relazione simbiotica tra madre e bambino. L’amore per Freud è una patologia che svuota l’io di libido per rivolgerla a un altro: l’io non vive più per se stesso ma appoggiandosi all’altro che, come scrive in “Introduzione al Narcisismo”, è il risultato della proiezione di ciò che si vorrebbe essere. Con il concetto di narcisismo primario, nella coppia non ci sarebbe nessuna reciprocità poiché ognuno ama ciò che ha proiettato di se stesso nell’altro. Infatti, in “Introduzione alla Psicoanalisi”, egli sostiene che l’uomo non ama una persona reale ma un essere ideale inesistente. In questo modo la fusione avviene solo con elementi intrapsichici e, in effetti, non vi è nessuna reciprocità perché l’altro è visto come un contenitore su cui proiettare l’ideale di sé o del genitore di sesso opposto. L’atto di reciprocità si ha solo nella sessualità poiché l’altro diventa oggetto d’investimento della pulsione sessuale. Il legame, però, diventa duraturo nel momento in cui la pulsione sessuale è inibita alla meta. La pulsione nell’atto sessuale si scarica immediatamente dopo, mentre la pulsione inibita non può, per fattori culturali e sociali, essere investita. L’innamoramento e l’amore sono un misto tra pulsione alla meta e pulsione inibita.
Lalli sostiene che il narcisismo primario è una pura invenzione di Freud. In effetti, l’uomo è un “dividuo” che per completarsi ha bisogno di un’altra persona, cioè ha bisogno di formare una coppia che riproduca quella madre-bambino. La differenza con Freud è significativa poiché madre- bambino formano una coppia e non vivono in simbiosi. Altra differenza significativa nelle teorizzazioni di Lalli è data dall’affermazione che la coppia è formata da due soggetti che mettono in gioco i loro bisogni di sicurezza, di riconoscimento reciproco, di esaudimento dei bisogni e dei desideri. Egli non mette in dubbio che su questo processo influiscono motivazioni e istinti consci e inconsci, ma esiste una complementarietà e una reciprocità. In questo modo entra in conflitto anche con i sostenitori delle relazioni oggettuali i quali vedono il legame di coppia come, per dirla con Dicks, “l’incastro di due mondi interni” o con Sandler “un’attualizzazione delle relazioni di ruolo”. Zavattini afferma che il matrimonio o un legame significativo e duraturo può essere interpretato, in senso regressivo o propulsivo, come il tentativo di risolvere le tematiche interne individuali. In questo senso vi sarebbe un affido reciproco di aspetti del proprio mondo interno che, in maniera propulsiva, serve a conoscersi, a crescere e, in maniera regressiva, può portare a processi deliranti.
In effetti, Winnicott, rileva che, all’inizio della vita, ognuno esiste solo perché parte di una relazione e, le sue possibilità di vivere e svilupparsi, dipendono totalmente dal soddisfacimento del bisogno primario di attaccamento e appartenenza a un Altro (madre/caregiver) che si prenda cura di lui e gli dia qual senso di sicurezza e intimità che sono basilari per la crescita. Sarà proprio in rapporto alla qualità affettiva di tale relazione primaria, da quanto la figura di attaccamento sarà disponibile, protettiva, affidabile, costante e capace di un contatto caldo e rassicurante che dipenderà lo sviluppo sano del suo vero Sé. Lalli, infatti, nella reciprocità e nella complementarietà del rapporto di coppia inserisce il concetto di riconoscimento reciproco. Il bisogno di riconoscimento porta ad affidarsi (donarsi) e ricevere, in contraccambio, il dono del riconoscimento in un processo che per definizione è circolare o, di scambio reciproco. In sostanza, il riconoscimento comporta il conoscere e donare il riconoscimento.
E’ nel riconoscimento reciproco che l’uomo ritrova la sua identità poiché ci conosciamo (riconoscere se stessi) solo attraverso il riconoscimento reciproco. Quest’ultimo, comunque, non deve essere inteso in senso hegeliano per cui s’instaura una relazione schiavo-padrone ma, piuttosto, nell’accezione di G.H. Mead che, in “Mente, sé e società”, mette in risalto come la conoscenza di se stessi è possibile solo attraverso l’acquisizione e l’esperienza dell’Altro. In questo modo il riconoscimento reciproco presuppone una relazione simmetrica ovvero a pari a pari. I legami familiari nascono e si nutrono all’interno della reciprocità del riconoscimento: il neonato inizia a riconoscersi nel momento in cui la mamma inizia a riconoscerlo come individuo diverso da sé: affinché il bambino sviluppi il suo sistema cognitivo ed emozionale, affinché possa riconoscere i propri e gli altrui stati mentali, affinché possa riconoscere le proprie e le altrui emozioni, insomma affinché possa rappresentarsi e meta rappresentarsi la sua e l’altrui realtà deve essere riconosciuto come individuo unico. E’ questa la base dei legami familiari e sociali futuri.
In psicologia questo specifico e particolare legame è stato identificato con il termine “attaccamento” che può essere definito come un sistema dinamico di comportamenti che contribuiscono alla formazione di un legame specifico fra due persone, un vincolo le cui radici possono essere rintracciate nelle relazioni primarie che si instaurano fra bambino e adulto. L’attaccamento fornisce al bambino un modello operativo interno attraverso il quale può rappresentarsi la sua e l’altrui interiorità. Un modello operativo interno sicuro si costituisce per l’esperienza di risposte costantemente accettanti fornite da chi abitualmente accudisce il bambino (caregiver) -madre, padre, altro familiare o balia: ha poca importanza il tipo di legame biologico- alle richieste di aiuto, protezione, conforto e autonomia che questi gli rivolge. Nell’attaccamento sicuro la rappresentazione di sé-con-l’altro veicola una considerazione positiva delle proprie emozioni (come ci ricorda Damasio emozioni e sentimenti costituiscono la base dell’ esperienza di sé cosciente), grazie alle risposte memorizzate dell’altro: il pianto che esprime dolore è dotato di valore, senso e di efficacia, agli occhi del piangente, se l’altro vi risponde. Al contrario, negli attaccamenti insicuri: in quello evitante il modello operativo interno racchiude la memoria di coerenti risposte del caregiver, miranti ad incoraggiare il bambino all’autosufficienza ed a scoraggiare il pianto e le altre richieste di attenzione che il bambino tende (per via innata) a produrre ogni volta che si percepisce vulnerabile. Qui la fondamentale (si costruisce a partire dai primi giorni di vita) rappresentazione di sé-con-l’altro comporta che una classe importantissima di emozioni, base dell’autocoscienza, venga percepita o implicitamente valutata negativamente, come priva di valore, senso, efficacia, e come motivo di fastidio e rifiuto nell’altro a cui è rivolta; in quello ambivalente il modello operativo interno convoglia il risultato di una esperienza incerta ed oscillante fatta col caregiver, che talora risponde positivamente e talora ignora le richieste di aiuto avanzate dal bambino, senza che sia facile identificare una regola che permetta di prevedere quando la risposta sarà positiva e quando negativa. Il senso di sé nascente comporta allora una fondamentale indecidibilità circa il valore e l’efficacia delle emozioni che lo istituiscono.
E’ evidente che i tre modelli di attaccamento descritti comporti l’instaurarsi di modelli di legame conseguenzialmente diversi: il legame derivante dall’attaccamento sicuro è basato sulla fiducia nell’altro e, contemporaneamente, in se stessi e, nel futuro, comporterà la capacità di immergersi e abbandonarsi nella vita di coppia nell’altro/a e, quindi, di sapersi godere l’esperienza amorosa come momento di crescita personale accettando di perdere parti della propria individualità in favore del NOI; il legame derivante dall’attaccamento insicuro, invece, sarà basato sulla non fiducia in se stessi e nell’altro/a e dall’incapacità del donarsi in favore della crescita di coppia. L’individualismo sarà la caratteristica fondamentale della loro esperienza sociale e di coppia.
Hazan e Shaver in una loro ricerca hanno riscontrato che nelle relazioni amorose possono manifestarsi sostanzialmente tre tipologie di attaccamento: oltre la metà delle persone (55%), manifestano una forma di attaccamento sicuro, caratterizzato dalla capacità di vivere esperienze intime, di porsi col partner in una relazione di reciprocità e di offrire e ricevere aiuto se necessario. Un’altra parte, circa un quarto, presenta una forma di attaccamento insicuro evitante, cioè manifesta la tendenza a minimizzare i propri bisogni, a distanziare i sentimenti negativi del sé (rabbia, paura, vulnerabilità), a non coinvolgersi nella vita intima della coppia e a non chiedere aiuto agli altri anche in caso di bisogno. Nel 20% circa è presente, invece, un attaccamento insicuro preoccupato: si tratta di persone costantemente in tensione che si lamentano della affidabilità, della disponibilità e della capacità di amare del proprio partner.
Dalla metà degli anni ottanta, con lo sviluppo di metodi per la valutazione dell’attaccamento negli adulti, la ricerca sull’attaccamento è entrata in una fase in cui il centro di interesse è lo studio dell’attaccamento all’interno dell’intero ciclo vitale. I modelli operativi interni, infatti, si costituiscono a partire dall’infanzia, ma rimangono attivi per tutta la vita (“dalla culla alla tomba”, Bowlby). Anche gli adulti, infatti, sviluppano legami significativi che hanno tutte le caratteristiche delle relazioni di attaccamento infantili. Si riscontrano, però, anche delle differenze. Innanzitutto, durante l’infanzia le relazioni di attaccamento sono “asimmetriche”, cioè il bambino riceve protezione da parte del genitore e non il contrario, mentre tra adulti sono possibili relazioni di attaccamento basate maggiormente sulla reciprocità.
Questo appare evidente nei rapporti di amicizia, nei legami amorosi di coppia e nella relazione che i giovani adulti hanno con i propri genitori. Nella prima infanzia, il legame con i genitori è asimmetrico, con l’età adulta si possono sviluppare legami simmetrici con il partner o con i genitori, e di nuovo un legame asimmetrico con i propri figli (in questo caso, la persona che una volta era protetta diventa la persona che protegge). Nell’ultima fase della vita dei genitori è possibile che la relazione con loro ridiventi asimmetrica, ma in modo inverso rispetto all’infanzia (è il caso di un figlio adulto che si occupa dei propri genitori anziani).
All’interno di questi studi, all’interno della reciprocità dei rapporti e delle relazioni, il modello relazionale simbolico rompe le concezioni della ineluttabilità delle esperienze di attaccamento infantile che segnano e connotano durante tutte le fasi della vita il legame. Dobbiamo considerare che nei passaggi generazionali è vero che i genitori tramandano ai figli un sistema di valori, credenze e stili comportamentali ma, è pur vero, che i figli possono cambiare la loro storia attraverso il trasgredire ovvero attraverso la rielaborazione dei contenuti che provengono dall’infanzia.
“E’ nella rielaborazione della storia personale e generazionale che trova riscontro il cambiamento e la necessaria evoluzione dell’esperienza umana“.
I Professionisti del Pronto Soccorso Psicologico Italia, forti di questa convinzione, sono pronti a dare supporto al necessario processo di rielaborazione affinchè i legami familiari possano essere vissuti con la necessaria fiducia e speranza nell’Altro: fiducia e speranza di potersi immergere nell’esperienza del Noi senza perdere in individualità.
L’amore si nutre di fiducia e speranza: fiducia nel darsi, nel donarsi; speranza di poter essere ricambiati. Al contrario, non solo il mondo esterno ma l’interiorità diventerebbe un deserto totalmente sterile che simbolicamente esprimerebbe la patologia e la morte dell’energia vitale del psichismo.
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