Il benessere psicologico: mission del pronto soccorso psicologico

A cura del Prof. Mariano Indelicato, Presidente Pronto Soccorso Psicologico-Italia

benessere psicologico

La felicità, intesa come assenza di disagio, è capace a sua volta di promuovere altra felicità, poiché nell’ambiente sociale il benessere di un individuo influisce anche sul benessere di chi gli vive accanto.

Vittorino Andreoli

Il Pronto Soccorso Psicologico nasce per perseguire il benessere psicologico tant’è che il suo motto recita: “una equipe di professionisti a garanzia del tuo benessere psicologico”.

E’ chiaro ed evidente che ogni persona tende a stare bene, a vivere una condizione esistenziale positiva sia sul piano personale, sia in quello interpersonale. E’ altrettanto chiaro, però, che spesso il benessere, come descritto da Leopardi, è il breve intervallo tra due dolori. In effetti fin dagli albori della cultura sono state prodotte migliaia di definizioni del termine benessere che possono essere riassunti come: uno stato perfetto dell’anima; un’estasi quasi insopportabile; l’avere tutto; etc.

Tutte queste descrizioni riportano alla ricerca della felicità perduta. Infatti, i testi che parlano di benessere sono una conquista abbastanza recente al contrario, invece, ne esistono una gran quantità che parlano di dolore assumendo che quest’ultimo sia insito nel profondo degli stessi uomini.

D’altronde la storia umana, dal punto di vista biblico, nasce dalla perdita del paradiso indicato come il luogo della massima felicità. Anche i greci erano convinti che la felicità appartenesse agli Dei. Essi, infatti, utilizzavano i termini eutuchìa  ed eudaimonia che letteralmente significano, il primo, buona fortuna e buon accadimento e, il secondo, la condizione di possedere un “demone favorevole”.  Secondo queste culture la vita terrena è una continua ricerca del benessere senza mai trovarlo poiché esso appartiene al mondo degli Dei.

Interessante, invece, la definizione latina, da cui deriva il termine felicità, perché il termine felicitas significa fertile, nutriente. L’idea è che la felicità nutre la vita, aiuta a vivere meglio ed è con questi significati che Dante ha usato il termine felice “come pienamente appagato nei suoi desideri”.

Inoltre, i latini distinguevano tra felicità come fortuna esteriore e come fatto interiore. Da ciò deriva che si può avere una fortuna esteriore e non essere felici interiormente e, al contrario, essere felici interiormente e non essere fortunati esteriormente.

La distinzione è piuttosto attuale tant’è che E. Fromm ha posto l’accento sull’avere e sull’essere mettendo in risalto che viviamo in un sistema sociale che tenta a privilegiare il primo sul secondo. La modalità dell’Avere è più indicata, infatti, alle società consumistiche, dove il possesso è una condizione essenziale, l’esistenza dell’uomo è mirata ad accumulare per mostrare uno status sociale elevato, per gratificarsi di ciò che ha e sperare nell’invidia e nell’adulazione del prossimo. Nell’estremizzazione della modalità dell’avere non ci si è accontentati del possedere dei beni, ma si è tentato e si continua a tentare il possesso del corpo che deve sottostare ai desideri e ai voleri sociali.

Tra gli anni settanta e gli anni novanta si è avuta una estensione del concetto di fitness, che si  basava semplicemente sulla componente biologica, per arrivare a quello di wellness che integra anche alcuni aspetti di carattere relazionale e sociale. La pratiche del wellness si basano sull’equilibrio psicofisico da raggiungere attraverso l’esercizio fisico,  l’attività motoria, sedute di mental training e strategie di rilassamento combinate con un’alimentazione e uno stile di vita corretti.  

Il benessere diventa sinonimo del possedere una bella macchina, una bella casa, un bel corpo e perché no se si riescono a mettere sotto controllo le emozioni. Tutte le pratiche connesse al wellness come il mental training e le strategie di rilassamento mirano al possesso dell’essere.

Esse si situano a metà tra la distonia dell’avere e la distonia dell’essere. La distonia dell’avere è frutto della mancata aspettativa del godimento del desiderio: se un bambino ha dovuto desiderare troppo spesso per ottenere da adulto sarà sempre alla ricerca di un nuovo possesso. Il bambino, al contrario, che ha tanto posseduto, al quale sono stati appagati desideri che non ha in quel momenti vivrà, da adulto, nell’esigenza del desiderio ovvero avrà i tratti di una persona che giungerà in tempi più lunghi ai suoi obiettivi, amerà desiderare, anelare, attendere la possibile soddisfazione per gustarne più intensamente il sapore dell’appagamento, desidera sentire il desiderio e l’emozione che lascia dentro piuttosto che ottenere immediatamente e si coinvolgerà con persone che non appagheranno le sue esigenze.

Il benessere oscilla nell’equilibrio precario di queste due opposte esigenze che vengono sintetizzate emblematicamente da Fromm con la seguente affermazione “Un Avere deve possedere un fiore, lo coglie, lo fa suo. Un Essere ne contempla la bellezza, godendo di questo, percependolo per immaginare altri orizzonti”.

In fondo il dilemma esistenziale è sempre quello amletico tra l’essere o il non essere poiché il benessere riguarda la costruzione della persona dove la felicità deve essere colta, nello stesso tempo, come esperienza e come idea: chi è felice infatti è felice secondo un’idea. “Indipendentemente della sua condizione, l’uomo è situato in un mondo che decide della percezione e del significato della percezione e del significato della sua stessa felicità. E’ questa la ragione per cui quando si parla di felicità, ciò di cui si parla davvero sono i modi di sentirsi felici, e quando si ragiona di felicità si indaga sulle risorse dell’IO” (Giusti – Perfetti).

Il benessere psicologico, quindi, non è tanto appagamento del desiderio ma, per paradosso, risiede nell’accettazione del non soddisfacimento dello stesso desiderio. Freud, a tal proposito, parla di pulsione inibita alla meta poiché, come messo in luce successivamente da Lacan, il desiderio deve sottostare alla legge al fine della necessaria convivenza civile.  Il perseguire l’appagamento del desiderio senza la legge non porta al benessere ma, semplicemente, al soddisfacimento delle proprie esigenze egoiche. 

La ricerca del benessere psicologico, da questo punto di vista,  si discosta dalle tante connotazioni che vengono reclamizzate come pratiche volte al benessere. Essa risiede nell’accettazione dell’altro e, quindi, in un atteggiamento positivo nella lettura della propria esperienza.

Negli anni 2000, infatti, è nata la psicologia positiva volta alla ricerca di qualità positive presenti in ognuno di noi che, attraverso l’individuazione di comportamenti che possono migliorare la qualità della vita, potenziano skills e risorse già presenti in ognuno di noi per fronteggiare al meglio le situazioni stressanti.  

Amoretti e Ciceri individuano il benessere soggettivo come “una condizione di raggiungiungimento di un equilibro inter e intra  individuale” racchiudendo così gli aspetti soggettivi e quelli di relazione con l’ambiente. Non è possibile, infatti, pensare la benessere psicologico in maniera edonica ovvero volto al benessere soggettivo ma, semmai, in maniera eudaimonica ovvero all’autorealizzazione in maniera collettiva.  In altri termini, il mio benessere passa attraverso la visione dell’altro e tenendo conto delle esigenze dell’altro poiché è possibile raggiungere la felicità solo nell’ambito di uno spazio sociale.

“Io penso Positivo” non sono solo le parole di una canzone, ma sono il paradigma della psicologia positiva. Infatti, è stato dimostrato  che sapersi concentrare su emozioni positive rivela una disposizione a reagire positivamente agli eventi della vita, disposizione che ha influenze sulla salute delle persone arrivando anche ad allungarne la vita.

Queste hanno, infatti, effetti sia terapeutici sia preventivi supportando il sistema immunitario e motivando all’attuazione di comportamenti sani. Non trascurabile è l’utilità delle emozioni positive di fronte a eventi di elevata gravità: ad esempio, nei giorni successivi all’attacco al World Trade Center più le persone erano in grado si sperimentare emozioni positive (gratitudine per i cari al sicuro) più erano capaci di riprendersi dall’attacco . Isen ha messo in risalto che così come le emozioni negative hanno un ruolo adattivo che muove all’azione (ad. es.: fuggire in caso di pericolo), le emozioni positive sono adattive nei termini in cui favoriscono il repertorio cognitivo e comportamentale grazie all’avvicinamento al prossimo, all’esplorazione dell’ambiente, all’applicazione di modalità di pensiero più efficaci e creative.

Emozioni positive e negative sono dunque complementari: le prime sono necessarie all’aumento a lungo termine delle risorse della persona, le seconde sono indispensabili per la sopravvivenza dell’organismo nell’immediato. Basti pensare per un attimo alla differenza tra paura e ansia: la prima costituisce una risposta adattativa rispetto ad un pericolo; la seconda, al contrario, ci paralizza esponendoci al pericolo.

E’ nella psicologia positiva che il Pronto Soccorso Psicologico trova risposta ai suoi interventi: collocare le narrazioni dei pazienti all’interno di un contesto adattativo e positivo ricercando i significati analogici e digitali dei vissuti negativi. Imparare a leggere le proprie esperienze da molteplici punti di vista costituisce di se per se una solida base per il benessere psicologico. Imparare a pensare positivo è una risposta all’angoscia derivante da sintomi che pensiamo siano paralizzanti da cui non possiamo sottrarci.

In  sostanza, pensare positivo ci permette di credere alla vita come un’esperienza che va vissuta sotto le sue molteplici forme e sfaccettature.

Prof. Mariano Indelicato, Presidente PSP-Italia