Il cervello nel web

A cura del Prof. Mariano Indelicato, Presidente Pronto Soccorso Psicologico-Italia

N. 7 2023 pubblicato il 13 luglio 2023

Abstract

The spread of the internet and web networks has led to many changes in individual and social ways and styles of life. The new technological means and the development of technology has placed scholars in front of many questions, in particular, on the changes in the biological system with particular reference to the brain and mind. Carr in his famous essay wonders if the Internet makes us stupid?. Research data indicate that we are facing an epochal change as has already occurred in the past with the introduction of writing and printing. The present work reviews the research carried out in this field with reference to the extraordinary plastic capacity of the brain and, therefore, to its ability to adapt to change.

Riassunto

La diffusione di internet e delle reti web ha comportato tanti cambiamenti nelle modalità e negli stili di vita individuali e sociali. I nuovi mezzi tecnologici e lo sviluppo della tecnologia ha posto gli studiosi di fronte a tanti interrogativi , in particolare, su i cambiamenti sul sistema biologico con particolare riferimento al cervello e alla mente. Carr in suo famoso scritto si interroga se Internet ci renda stupidi?.  I dati di ricerca indicano che siamo di fronte ad un cambiamento epocale come già avvenuto nel passato con l’introduzione della scrittura e della stampa. Il presente lavoro prende in rassegna le ricerche svolte in questo campo facendo riferimento alla straordinaria capacità plastica del cervello e, quindi, alle sue capacità di adattamento al cambiamento.

cervello nel web

Introduzione

La Rete delle Reti è ora demonizzata ed assimilata ad un invincibile mostro divorante, ora invece esaltata e beatificata per le sue immense potenzialità. Non c’è dubbio, Internet rappresenta comunque la vera, straordinaria novità del III millennio e già gran parte dell’umanità è in Rete. Stiamo assistendo dunque ad un cambiamento radicale e siamo forse di fronte ad un passaggio evolutivo. L’uomo del III millennio, in altri termini, sarà diverso: la mente in Internet produrrà eventi e cambiamenti che non potremo ignorare (Cantelmi et al, 2000).

Giuseppe Granieri afferma che «il vero problema, oggi, non è definire l’esistenza (o meno) di una società digitale, ma cominciare a comprenderla e a farla comprendere, a utilizzarne le norme e i valori per costruirci un mondo anche solo leggermente migliore” (Granieri, 2006).  

I Cambiamenti  con le conseguenti paure che accompagnano il suddetto passaggio non è nuovo poiché Platone (circa 370 a.C.)  fa disquisire Fedro e Socrate sul rischio della scrittura: Socrate enumera sapientemente le motivazioni con cui il re Thamus rifiuta il dono dell’alfabeto offerto da Theuth. In questo dialogo si contrappongono due visioni: da una parte vi è l’elogio di Theuth, dio egizio delle arti e dei mestieri, per la sua ultima invenzione: la scrittura. Theuth ritiene la scrittura utile, una medicina della memoria e della sapienza. In contrapposizione, il faraone Thamus è scettico e rifiuta questo dono. Il faraone è convinto che con la scrittura il nostro sapere non ci apparterrà più, perché non sarà più depositato nelle nostre menti o nei nostri discorsi, ma sarà fuori di noi, su papiri e in biblioteche. La scrittura è quindi da rifiutare perché è pericolosa per la memoria. L’uso dell’alfabeto promuove, inoltre, una cultura ipocrita e superficiale, perché non nasce da un lavoro personale di ricerca o dall’insegnamento, ma solo dalla raccolta sommaria di notizie e opinioni scritte da altri.

I parallelismi con l’attuale dibattito su internet sono impressionanti. La scrittura, ma più tardi anche la televisione e i nuovi media, hanno modificato profondamente la modalità con cui comunichiamo, trasmettiamo i valori e ci relazioniamo. Platone non conosceva ancora l’esistenza di neuroni e sinapsi, ma le preoccupazioni espresse nel Fedro, riguardano proprio il cervello: che cosa capita nel nostro cervello con questo assiduo esercizio digitale? internet ci cambia il cervello.  Il digitale, però,  è qui per restare e con esso dobbiamo convivere. Ogni salto di paradigma implica un certa incommensurabilità con il paradigma precedente, e oggi non ci sembra piu’ necessario discutere ragionare e ricercare credendo di essere ancora nel paradigma precedente e “condannando” o “elogiando” il nuovo. Oggi siamo nel nuovo e dobbiamo capirne ed analizzarne le caratteristiche positive o negative che siano e questo perché abbiamo il dovere di consegnare alla generazione dei “nativi digitali” il patrimonio di 6.000 anni di cultura analogica.

Sono le neuroscienze, in primo luogo, a portare le prove dell’esistenza di alcuni cambiamenti nel cervello. Nel 2012, gli scienziati del University College di Londra guidati da Rees, ad esempio, hanno studiato l’effetto di Facebook sul cervello di 125 ragazzi “forti” utenti del social network di Zuckerberg. Esaminando il loro cervello attraverso le tecniche del neuro-imaging 3D, si è scoperto un aumento della materia grigia nell’amigdala (zona cerebrale coinvolta nella memoria emozionale) dei giovani che avevano il maggior numero di amici su Facebook è cioè un potenziamento dell’intelligenza emotiva. I social network hanno un effetto plasmante sul nostro cervello: ricevere commenti positivi su Facebook attiva un’area del cervello, il nucleus accumbens , coinvolta proprio nei fenomeni di ricompensa (Meshi, 2013), le stesse aree che svolgono un ruolo nei meccanismi delle dipendenze da droghe.  Agli stessi risultati giungono Montang et alt. (2017).  

D’altronde, come osserva Alvaro Pascual-Leone, uno dei principali ricercatori in neurologia,  la plasticità, è la situazione normale in cui si trova il sistema nervoso per l’intera durata della vita. I cervelli cambiano di continuo in risposta alle nostre esperienze e al comportamento, rimodellando i propri circuiti interni ad ogni stimolo sensoriale, atto motorio, associazione mentale, ricompensa, progetto di azione o slittamento dello stato di coscienza. La neuroplasticità ci permette di sottrarci alle limitazioni del nostro genoma e di adattarci alle situazioni ambientali, ai cambiamenti fisiologici e alle esperienze (Pascual-Leone et al., 2005). Alcuni esperimenti, inoltre, mostrano che, proprio come il cervello può costruire nuovi circuiti o rafforzarne di esistenti attraverso l’esercizio, tali circuiti possono indebolirsi se trascurati. Se smettiamo di esercitare le nostre facoltà mentali, non le dimentichiamo e basta: la mappa cerebrale per quelle funzioni viene occupata da altre che invece continuiamo a svolgere (Doidge, 2007). Le condizioni ambientali dell’Era digitale sono caratterizzate dall’uso di tecnologie che fanno registrare nuovi pattern di attivazione e di attività neurobiologica. «Ogni nuovo medium porta con sé nuovi simboli che, a loro volta, influenzano il modo in cui il cervello impara a ricevere e processare le informazioni… Nelle società contemporanee, la plasticità cerebrale implica che le connessioni sinaptiche del cervello si evolvano con un ambiente in cui l’utilizzo dei media è un fattore dominante. I bambini che crescono in un ambiente ricco di stimoli multimediali hanno un cervello con connessioni diverse da quelle di chi è giunto alla maturità senza essere sottoposto a tali condizioni» (Healy, 1998: p.142, p.191).

Il processo di evoluzione cerebrale è rapidamente emerso in una sola generazione e può rappresentare uno dei cambiamenti più inattesi, ma anche fondamentali per l’evoluzione della specie umana. L’aggettivo digitale definisce un segnale codificato in sistema binario. I circuiti neurali del cervello sono biologicamente impostati per funzionare in modo digitale (Levy e Baxter, 2002). Le tecnologie digitali sono quindi riconosciute come “naturali” dal cervello e creano con rapidità i loro effetti sul wiring cerebrale, producendo un cambiamento nel modo in cui si processano le informazioni e un conseguente cambiamento fisico del cervello.

Considerazioni

Il rapporto, la relazione tra mente e web riporta, come sostenuto da Carr (2011), all’influsso che i medium comunicativi hanno sulle modalità di apprendimento e sulla stessa biologia cerebrale.  Come detto precedentemente, già Platone si era posto il problema in Fedro arrivando alla conclusione che “lo strumento attraverso il quale la comunicazione è veicolata determina un cambiamento significativo non solo dei contenuti ma, anche, dell’utente” (Lorè, 2013).  

Anche Nietzsche, nel passaggio dalla scrittura con la penna a quella con la macchina da scrivere,  scoprì che quest’ultima aveva il potere di cambiare il corso dei suoi pensieri intuendo che, come dirà molti anni dopo McLuhan, il messaggio è condizionato dal medium  al quale è affidato.  A tal proposito, McLuhan  (1964), infatti,  per dimostrare il potere dei media come meccanismo chiave per il cambiamento storico prende in esame  la transizione dalla cultura orale premoderna, basata sulla parola parlata, alla cultura moderna della stampa, basata sulla parola scritta, alla cultura (post)moderna elettronica definita da forme elettroniche di comunicazione e interazione.  Sempre lo stesso autore nel 1988 sostiene che i media digitali aumentano la velocità di tutto; aumentano il potenziale dei prodotti come servizi; e intensificano la collaborazione e l’apertura e, allo stesso tempo, hanno il potenziale per potenziare gli innovatori su piccola scala fornendo l’accesso alle informazioni e alle opportunità di inventare.  Inoltre, egli sostenendo che il medium è il messaggio indica che bisogna studiare e analizzare i nuovi medium quali quelli dei nuovi media per evitare che si crei un conflitto permanente tra contesto presente e il vecchio. 

La scuola, ad esempio, non può fare a meno di tenere conto che  l’intero processo di scolarizzazione non può  non prendere in considerazione un ambiente di cambiamento tecnologico accelerato che influenza costantemente i bambini, l’apprendimento. La scuola deve tenere conto che la psiche dello studente viene programmata dall’ambiente multimediale in cui è inserito e non è ferma ai postulati che vengono proposti all’interno delle aule scolastiche (Culkin, 1967). Il problema per McLuhan è di guardare al presente senza farsi prendere dalla nostalgia del passato. Guardare al presente significa analizzare  l’ambiente elettronico creato dalle nuove comunicazioni dei media i quali allestiscono ambienti che non sono solo contenitori per persone ma  processi che modellano le persone.   Negli ultimi anni, ad esempio,  il tentativo di dare una base scientifica ed epistemologica al rapporto tra pedagogia e neuroscienze  e, quindi, ai cambiamenti cerebrali in riferimento alla formazione, Frauenfelder e Santoianni (2002) hanno elaborato il modello bioeducativo coinvolgendo, al fine di trovare le giuste metodologie di ricerca, studiosi di vari ambiti.

L’oggetto della ricerca bioeducativa è quello di costruire un ambito di studi che raccordi il concetto di formazione con gli avanzamenti delle scienze biologiche e delle neuroscienze facendo perno su un comune interesse di ricerca, la formazione della mente nella sua epigenesi (Santoianni, 2006). In quest’ambito sono state svolte moltissime ricerche nel mondo (Lynch et al., 1995; Lévy, 1996; Levy, De Kerkhove, 1998; Lévy, 1999; Calvani, Rotta, 1999; Kahneman, 2002; Smiraglia, 2003, 2004; Riva, 2008; 2010; Rivoltella, 2012) nel tentativo di valutare se e in che misura la doppia valenza della reticolarità (teorica e strumentale) può generare, influenzare, orientare e potenziare la prismaticità che ruota intorno al sistema cognitivo individuale e/o viceversa se e in che misura il riconoscimento, la valorizzazione e il potenziamento della multimodalità percettiva ed elaborativa esplicita e implicita del soggetto conoscente può ristrutturare la conoscenza servendosi  delle coordinate non lineari – fisiche, simboliche, pragmatiche (Riva, 2008)  che definiscono il ciberspazio (Sorrentino, 2012).

Il problema che si pone, quindi,  è come gli strumenti culturali attraverso cui vengono veicolate le informazioni possono influenzare le percezioni individuali, l’organizzazione delle informazioni, la memoria a breve e lungo termine e, in ultima analisi, gli stili di vita individuali e collettivi. Un importante ruolo lo svolgono i ricordi e le modalità con cui vengono registrati nel cervello.  Tsien, fondatore dello Shanghai Institute of Brain Functional Genomics presso l’Università Normale della Cina Orientale è oggi direttore del Center for Systems Neurobiology dell’Università di Boston,  ha elaborato un’interessante  teoria sul meccanismo di base con cui il cervello sarebbe in grado di trasformare l’esperienza  in memoria. Clan di neuroni implicati nella codifica, afferma, compiono una selezione delle esperienze memorizzate, dando loro un senso e trasformandole in conoscenza (Tsien, 2007, 2011, 2012). Un ruolo preminente in questo processo ha la regione dell’ippocampo magazzino provvisorio dei ricordi.

Numerosi studi e ricerche hanno dimostrato che l’esposizione prolungata ad internet influisce in maniera negativa sulla memoria di lavoro cioè su quella parte di memoria a breve termine atta a trasmettere le informazioni a quella a lungo termine.  Dalle ricerche di Muller e Pilzecker (1900) è emerso che i ricordi si consolidano nel cervello entro circa un’ora con un processo piuttosto complesso. Ogni disturbo – o anche una semplice distrazione – può spazzare via dalla mente i ricordi nascenti (cit in. Kandel, 2006). La prima chiave per il consolidamento dei ricordi è l’attenzione. Acquisire ricordi espliciti e forare connessioni fra di essi richiede una forte concentrazione mentale, amplificata dalla ripetizione oppure da un intenso coinvolgimento emotivo o intellettuale. Se non siamo in grado di prestare attenzione all’informazione nella nostra memoria di lavoro, essa rimane lì soltanto fino a quando i neuroni che la veicolano restano attivi. Poi se ne va, lasciando nella mente poche tracce, se non addirittura nessuna. L’influsso dei molteplici e contrastanti messaggi che arrivano dalla Rete non soltanto sovraccarica la nostra memoria di lavoro, ma rende anche molto più difficile per i lobi frontali concentrare l’attenzione su un unico oggetto. Ciò spiega perché molti trovano difficile concentrarsi anche quando sono lontani dal computer.

Quando siamo online il continuo spostamento dell’attenzione può rendere i nostri cervelli più svelti nel multitasking, ma questo di fatto ostacola la nostra capacità di pensare in modo approfondito e creativo. Più si fa multitasking, meno deliberativi si diventa; meno capaci di pensare . Si finisce per essere più inclini a fidarsi di idee e soluzioni convenzionali invece di contestarle con schemi di pensiero originali.  Infatti, l’Attenzion Restorarion Theory (1989) sostiene che  quando non siamo bombardati da stimoli esterni, il nostro cervello può effettivamente rilassarsi e quindi si evidenzia maggiore capacità di attenzione, una memoria più forte e, in generale, migliori abilità cognitive.

Inoltre, inficiando la memoria di lavoro il web inibisce la capacità della mente di generare pensieri profondi che sono il fondamento dell’intelligenza umana,  anche se Battro e Denham (2007) teorizzano l’emergere dell’intelligenza digitale basata sui click e i link ovvero sulle connessioni e interconnessioni.  Gli stessi autori nel 2009 scrivono: “Molte iniziative educative in tutto il mondo mostrano il massiccio e precoce dispiegamento di un nuovo tipo di intelligenza, una “intelligenza digitale” nei bambini delle più diverse culture e condizioni socio-economiche in tenera età. Quei  bambini stanno diventando i “nativi digitali” di questa nuova cultura. I bambini usano i computer in modo creativo, imparano e insegnano con notevole facilità nel nuovo ambiente digitale. In questa cultura il computer è più di un strumento, crea un nuovo ambiente. La nostra sfida ora è utilizzare il nuovo e universale – intelligenza digitale alla ricerca della verità, della bellezza e del bene”. Con la digitalizzazione di fatto il livello cognitivo non si è indebolito ma è semplicemente cambiato.

La psicologa statunitense Patricia Greenfield su Science (2009), in un articolo dove ha analizzato più di 50 studi relativi agli effetti dei nuovi media sulle dinamiche neurali ha affermato che  “ogni medium sviluppa nuove capacità cognitive a spese di altre:

  • stare al computer, anche per un video gioco, ad esempio, migliora la nostra intelligenza spazio-visuale, capacità di problem solving e ci abitua a seguire più segnali simultaneamente e (giochi di azione=concentrarsi su uno stimolo specifico e ad ignorare i distrattori” (Greenfield 2009, pp. 67-79).
  • giocare con i giochi online aumenterebbe le abilità visive percettive, la memoria visiva e la velocità di processamento simultaneo delle informazioni visive (Greene e Bavelier, 2003)
  • Accedere ai siti Web migliorerebbe le abilità di processare visivamente le informazioni (Desmond, 2001), mentre l’uso degli emoticons attiverebbe il giro frontale, inferiore destro, una regione che controlla le abilità di comunicazione non verbale (Yuasa, Saito e Mukawa, 2006)

Il problema che ancora rimane aperto è quello della transizione,  come affermato da Carr (op. cit.), da uno strumento di trasmissione del messaggio ad un altro. Gli effetti del cambiamento si notano soprattutto nella lettura dei libri e nel passaggio da quelli stampati agli ebook.  Una serie di studi condotti in Cina, Norvegia e USA hanno dimostrato che con la lettura sui libri rimangono impresse nella mente più cose rispetto alla lettura dello stesso testo su un dispositivo digitale (Mangen, Walgermo & Bronnick, 2013;). Decifrare ipertesti aumenta quindi il carico cognitivo dei lettori e indebolisce la loro capacità di comprendere e assimilare ciò che leggono. Da varie rassegne di ricerche è emerso che la lettura di ipertesti (quindi di testi digitali con l’aggiunta di link) produce maggior confusione e incertezza riguardo i contenuti, maggiore distrazione durante la lettura, minore ricordo del contenuto letto, minore concentrazione (Miall & Dobson, 2001; Niederhauser et al., 2000; Beishuizen, Stoutjesdijk & Zanting, 1996; Rouet & Levonen, 1996; DeStefano & LeFevre, 2007). Dalle ricerche di Erping Zhu, esiste una forte correlazione tra il numero di link e il sovraccarico e il disorientamento cognitivo (Zhu, 1999).

 Conclusioni

Il presente lavoro può essere concluso con quanto affermato da Bagnara sull’enciclopedia Treccani: È ormai un luogo comune affermare che gli ultimi anni del secolo scorso, e, soprattutto, i primi di questo secolo, sono stati caratterizzati da una profonda rivoluzione economica, sociale, culturale. Innescata, favorita e diffusa dalla rivoluzione tecnologica. Prima con le tecnologie informatiche, che hanno consentito la rivoluzione produttiva attraverso l’automazione. Poi con quelle di comunicazione, che hanno decentralizzato la produzione e moltiplicato gli scambi comunicativi, con cambiamenti radicali nel divertimento, nell’uso del tempo libero, nella gestione della casa. Insomma, le tecnologie dell’informazione e della comunicazione hanno invaso e pervaso la vita delle persone. Questa rivoluzione ha condotto a molte riflessioni sulle sue conseguenze sociali, politiche, ed economiche. Non è invece molto diffusa la riflessione sul fatto che questa trasformazione ha prodotto, e sta producendo, dei cambiamenti anche nelle abilità cognitive. Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione di più largo uso fra i ragazzi (videogiochi, cellulari, web, ma anche la televisione, usata nella modalità zapping che anticipa la tv interattiva), stanno esaltando nelle nuove generazioni alcune capacità cognitive. Non si tratta di abilità del tutto nuove, piuttosto di facoltà prima disponibili ma non pienamente utilizzate. Per converso, sono venute meno altre capacità prima centrali, ora meno cruciali, ma sempre indispensabili per vivere in modo critico il presente.

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