A cura della Dott.ssa Pamela Cantarella, Psicologa Clinica, Responsabile Settore Comunicazione PSP-Italia
“Gli unici momenti in cui i suoi Tic lo abbandonavano erano quando nuotava, o cantava, in modo regolare e ritmico, riuscendo a trovare una “melodia cinetica” nello svolgimento di attività libere da tensione” (O. Sacks).
Il Disturbo da Tic rappresenta uno dei disturbi neuropsicologici più frequenti in età evolutiva. Si stima che oltre il 10% dei soggetti presenti dei tic durante questa fase di sviluppo, con una netta preponderanza maschile. L’età media di esordio è tra i 4 e i 6 anni; un picco di gravità si può verificare tra i 10 e i 12 anni, per poi attenuarsi e scomparire, nella maggior parte dei casi, nel corso della tarda adolescenza o nella prima età adulta. Solo una percentuale molto bassa di individui continua a presentare sintomi persistenti gravi, o un peggioramento in età adulta; in altri soggetti i tic possono, a volte, riapparire in età senile (C. Verdellen).
I tic sono movimenti improvvisi, rapidi, e stereotipati, ripetuti nella mimica e nella gestualità, che vengono compiuti senza averne il controllo, e che si sovrappongono alla normale attività motoria. Sono manifestazioni ipercinetiche che interessano il sistema extrapiramidale e si presentano generalmente in relazione ad uno “stato di tensione” del soggetto, senza poter essere impediti dalla volontà dello stesso.
I tic possono essere di tipo motorio o vocale, piú o meno complessi. I tic motori possono coinvolgere singoli distretti muscolari (in particolare il volto, gli arti superiori ed il collo), o riguardare più distretti muscolari contemporaneamente (più simili ad azioni finalizzate come battere le mani, battere i piedi e saltellare). I tic vocali possono essere dei suoni improvvisi come tossire, schiarire la gola o fare rumore con il naso o, quando più complessi, consistere in una vera e propria produzione di parole e/o frasi.
É chiaro come il loro improvviso apparire possa mettere comprensibilmente in allarme, ma questi movimenti incontrollati non sono sempre e necessariamente la spia di una patologia: spesso esprimono solo una condizione di impegno/stress, sia di tipo cognitivo che emotivo, tipici della fase di crescita del bambino.
Il disturbo da tic infatti, in generale, quando non dipende da lesioni organiche e da alterazioni di alcune sostanze chimiche presenti naturalmente nel cervello (i neurotramettitori, tra cui la dopamina), è di “origine psicogena” e si accentua in situazioni emotive stressanti: in questi casi il corpo, comincia ad usare, come mezzo di espressione, i movimenti, le parole o i suoni, per manifestare uno stato di stress, ansia e/o di tensione.
Un bambino, durante le delicate fasi del suo sviluppo, può esprimere la “tensione dell’adattamento” o adeguarsi a nuove situazioni manifestando tale disturbo. Nella maggior parte dei casi i tic manifestati durante l’età infantile esprimono dunque l’impegno di un bimbo che sta crescendo e che cerca di mettercela tutta mentre è sottoposto a uno sforzo di lunga durata.
Secondo quest’ottica un tic, in sostanza, è semplicemente “l’espressione di uno stato di tensione nel bambino che cresce”.
Il temperamento del bambino e la sua peculiare capacità di adattarsi alle trasformazioni che avvengono dentro e fuori di sé, sono alcune delle variabili che possono “influenzare” sia l’emergere che il mantenersi del disturbo. Ad esserne maggiormente colpiti sono infatti, più di frequente, i classici bambini “perfettini” e iper-controllati, che raramente piangono o urlano, ma tendono a reprimere le loro reazioni emotive. Per questi soggetti che si controllano molto e che reprimono drasticamente ogni manifestazione aggressiva, il tic può essere considerato una via di scarico privilegiata delle tensioni.
É ovvio che “ulteriori” stress e forti emozioni possono intensificare o prolungare nel tempo una sintomatologia del genere. In questi casi i tic rappresentano il modo che il bambino trova per sfogare una tensione emotiva, un’angoscia che non sa esprimere in altro modo. Rappresentano una condotta motoria reattiva ad una situazione d’ansia momentanea che mostra la facilità di alcuni bambini di passare nella sfera motoria gli affetti, i conflitti e le tensioni psichiche.
I tic si manifestano dunque con maggiore intensità e perdurano più a lungo quando vengono vissute situazioni stressanti e fortemente impegnative dal punto di vista emotivo. Ecco perchè un elemento molto importante è rappresentato dal “clima familiare” che il bambino si ritrova a vivere: l’eventuale presenza di tensioni e conflitti all’interno del proprio nucleo familiare influisce negativamente sul disturbo, così come la presenza di aspettative esagerate nei confronti del bambino da parte dei propri genitori, o una modalità di gestione degli eventi e delle situazioni di vita quotidiana che tende a reprimere la manifestazione delle emozioni.
A questo proposito bisogna rilevare che in ambito psicoanalitico i tic vengono interpretati come fenomeni di “spostamento” o di “conversione” nel senso descritto da O. Fenichel, per il quale le situazioni represse, le cui intenzioni motorie ritornano nei tic, sono altamente emotive, poichè rappresentano nuovamente le tentazioni istintuali o le punizioni per gli impulsi tenuti lontani. “Il tic rappresenta un movimento il cui significato inconscio è una difesa contro un affetto che si sta preparando”: un movimento che una volta era un segno concomitante di un affetto equivale ora allo stesso affetto, manifestandosi invece di quello, represso (O. Fenichel).
Per questo motivo un atteggiamento di riprovazione nei confronti del tic, oltre che inutile, rischia di peggiorare la situazione, aumentando lo stress a cui è sottoposto il bambino. Il bambino inoltre è particolarmente sensibile alle reazioni degli altri, per cui se dovesse percepire che i suoi genitori provano imbarazzo e vergogna per il suo problema, ne sarebbe mortificato e ció andrebbe a peggiorare i suoi sintomi.
In questi casi diventa molto importante rivolgersi ad uno specialista che possa aiutare il bambino ad esprimere tramite “altre vie” il conflitto e l’ansia che sta alla base del tic, e i genitori a trovare strategie efficaci per sostenere il piccolo nel superamento delle sue difficoltà, e a risolvere contemporaneamente eventuali tensioni e conflitti familiari.
Un’ulteriore interpretazione di tale fenomeno -soprattutto quando si manifesta in età adulta- viene data da G. Jervis, per il quale il tic è una forma particolare di “rituale ossessivo”, con un’origine e un significato abbastanza precisi: lo strizzare un occhio può servire a ingraziarsi gli altri o la buona fortuna in un momento difficile; l’alzare una spalla è uno scongiuro verso un pensiero molesto o fonte di ansia; l’arricciare il naso è un gesto di allontanamento e di diffidenza… Di rado il soggetto ne è consapevole, ma spesso questi significati diventano evidenti se egli riflette su quali sono i momenti in cui ripete il tic e ricorda il contenuto della sua mente in quei momenti.
Il tic, come tutti i rituali ossessivi, tende con il tempo a diventare autonomo, cioè a ripetersi nelle circostanze più varie in modo quasi automatico come “meccanismo di allontanamento e di scarico dell’ansia”. Il che non è tanto lontano da ciò che avviene nel bambino quando uno stato di disagio emotivo abbassa la soglia del controllo di certi movimenti, che possono essere repressi per un po’ di tempo, ma che poi “esigono” di essere messi in atto per alleviare la situazione di ansia/tensione, che altrimenti diventerebbe insopportabile.
A livello neurologico ciò che si verifica in questi casi è il cosiddetto ciclo dell’urgenza-sollievo: ad un certo punto si avvertirebbe una sensazione di sovraccarico a livello sensoriale, che troverebbe scarico e quindi sollievo nei tic, così come un sovraccarico percepito a livello cognitivo comporterebbe lo sviluppo di pensieri ossessivi, che troverebbero sollievo nel comportamento compulsivo. In quest’ottica, i tic sarebbero quindi sintomo di un sottostante processo di “rifinitura” di modelli motori e cognitivi non ancora perfettamente calibrati; cosa che darebbe conto della loro prevalenza in età evolutiva, quando il sistema nervoso è ancora in fase di “rodaggio”.
All’origine della maggiore frequenza dei tic durante l’età scolare ci sarebbe dunque probabilmente il fatto che per tutto questo periodo, le strutture cerebrali sono ancora in piena maturazione, ed è quindi molto più facile che una serie di movimenti sfugga al controllo (S.H. Zimmer).
La rilevanza della componente neurologica sembra essere confermata dalla buona rispondenza del sintomo ad alcuni farmaci che regolano la produzione di “dopamina”, sebbene il ricorso alla terapia farmacologica rappresenti un’extrema ratio per un disturbo di solito “transitorio”: a mano a mano che il soggetto giungerá a maturazione si consolideranno anche i sofisticati circuiti neuronali sottesi al suo comportamento, fisico e psicologico (J. W. Mink).
Nella maggior parte dei casi i tic in età evolutiva, come già detto, non segnalano infatti nessuna malattia da affrontare con una terapia, in quanto si tratta di una problematica che si risolverá da sola con la crescita. Se il tic non sparisce, oppure se la frequenza e l’intensità del disturbo arrivano ad interferire con le normali attività quotidiane del bambino allora, anziché al cosiddetto disturbo transitorio, ci si potrebbe trovare di fronte ad una condizione che rischia la “cronicità'”.
I bambini che soffrono di tic cronici possono manifestare problemi di attenzione e concentrazione, difficoltà nell’apprendimento e riscontrare, di conseguenza, problemi nell’ambiente scolastico dati proprio dalle difficoltà nell’eseguire determinate prestazioni; a volte sono presenti anche balbuzie ed altri disturbi cognitivo-comportamentali. In particolare si è osservata una comorbilità con il disturbo da deficit di attenzione con/senza iperattività (ADHD) ed il disturbo ossessivo compulsivo (DOC); disturbi che possono a loro volta ripercuotersi non soltanto sul rendimento scolastico, ma anche sulla capacità di socializzazione di questi bambini, a causa del forte senso di vergogna ed ansia per il timore che la manifestazione possa insorgere in pubblico, che rischiano con buona probabilità di accompagnarsi al rifiuto dei compagni, tanto che i bambini interessati da tale disturbo sono facile preda di atti di bullismo.
Inoltre, quando il disturbo da tic si presenta in modo frequente e prolungato, può creare delle problematiche anche a livello fisico, finendo per causare dolore o infiammazioni ai muscoli e alle strutture coinvolte, e comportare delle difficoltà ad eseguire certi movimenti.
Da un punto di vista psicologico al disturbo da tic si associano dunque quasi sempre, come già accennato, sentimenti di vergogna, di frustrazione e di ansia, e si riscontra un’incidenza di tutto ciò sull’umore e sulla vita del piccolo, tanto che possono emergere frequentemente, soprattutto nella fase preadolescenziale, ritiro sociale, forte timidezza, umore depresso, difficoltà nella socializzazione col gruppo dei pari soprattutto per la paura di essere derisi, rifiutati, presi in giro.
In questi casi sarà allora necessario affrontare la situazione con il supporto di uno specialista per valutare insieme la possibilità di un intervento e di un trattamento soprattutto a livello psicologico. Essendo un disturbo con esordio durante l’età evolutiva, è importante sottolineare che l’intervento, affinché potersi definire completo, dovrá consistere in un “lavoro di rete” tra specialisti, famiglia e scuola.
Il Pronto Soccorso Psicologico-Italia è presente in questi casi per intervenire provando a capire, insieme al piccolo direttamente interessato dal disturbo e ai suoi familiari, quali siano i modi migliori per farvi fronte. Gli obiettivi principali dell’intervento sono quelli di favorire la comprensione dei comportamenti del bambino, e di fornire altresì strategie per la loro gestione e modificazione, ponendo anche attenzione sugli atteggiamenti dei componenti familiari in merito al disturbo ed al soggetto stesso.
Un bambino interessato da un disturbo da tic non va sgridato, e l’ingiunzione a controllare i movimenti in questione non porterà ad alcun risultato, se non ad una maggior tensione, ed anche a sentimenti di frustrazione, oltre ad un prolungamento nel tempo del fenomeno (N. Fabbro).
I genitori dovrebbero semplicemente impegnarsi ad essere un sostegno positivo per i propri bambini, accettandoli per come sono senza disapprovarli se non si comportano come si vorrebbe, evitando di rimproverarli o mortificarli per un disturbo che non possono controllare, e resistendo ai tentativi di correzione dello stesso: sottolineare il tic fa sentire sbagliati e non accettati e crea ansia che a sua volta si esprime con il tic, in un “circolo vizioso”. Inoltre i bambini non vanno “caricati” delle proprie pretese o aspettative, ma “accettati” se non sono bravi come si è immaginato, o se non riescono in qualcosa.
Un atteggiamento vincente sempre, ma soprattutto in questi casi, è quello di diminuire la pressione rispetto alle varie performances, da quelle scolastiche fino a quelle sportive.
Tutto ciò da accompagnare anche con un “lavoro parallelo” che miri al superamento degli eventuali momenti di tensione presenti all’interno della famiglia, fornendo soprattutto al bambino un valido supporto nella gestione delle emozioni forti che possono con-causare i suoi movimenti incontrollati.
Un approccio di tipo cognitivo-comportamentale mirerà al riconoscimento delle sensazioni cosidette “premonitrici” e lavorerà “a monte”, insieme al piccolo, sulla gestione dell’ansia e della tensione collegate a ciò, cercando di evitare i tentativi di soppressione intenzionale dell’automatismo, in quanto quasi sempre questi ultimi comportano una crescente sensazione di tensione e disagio, rappresentano una fonte di distrazione forse più debilitante del tic stesso, e possono portare ad un prolungamento nel tempo del fenomeno (L. Isola).
Sicuramente il lavoro cardine sarà quello di insegnare al bambino le giuste modalità per riuscire a “dare voce sempre alle proprie emozioni”, a partire dal loro riconoscimento fino a giungere alla gestione di quelle negative.
Molto importante anche incoraggiare il bambino alla pratica di attività ludico-sportive di suo gradimento, che lo rilassino e, allo stesso tempo, non lo facciano sentire troppo in vista. Perché mentre tic si manifestano con maggiore intensità quando il bambino vive situazioni di tensione emotiva, gli stessi si attenuano notevolmente quando lo stesso è assorto in attività che impegnano la sua concentrazione. Quel che risulta fondamentale è comunque evitare ritmi troppo serrati delle diverse attività, lasciando lo spazio per una libertá di espressione che segua i naturali tempi del bambino.
Utile, infine, anche un lavoro che possa coinvolgere gli insegnanti del bambino, finalizzato soprattutto a fornire delle indicazioni su come gestire al meglio il disturbo “con i pari” all’interno della classe. Gli insegnanti dovrebbero spiegare ai compagni che è una cosa che può capitare e che non va derisa; al tempo stesso, potrebbero altresì evitare al bambino occasioni di stress o di eccessiva esposizione, e di competizione diretta con gli altri alunni.
In conclusione, benché nella maggior parte dei casi la risoluzione del disturbo da tic sia spontanea, un intervento psicologico specifico è raccomandato qualora a causa di ciò lo sviluppo del bambino sia minacciato in uno dei suoi ambiti, o quando la sua serenità ne risulti seriamente compromessa.
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