A cura della Dott.ssa Pamela Cantarella, Psicologa Clinica, Responsabile Settore Comunicazione PSP-Italia
“Nessuno è più vecchio di chi ha superato l’età dell’entusiasmo” (David Henry Thoreau)
Non esiste un limite cronologico all’educabilitá dell’essere umano. La predisposizione ad apprendere non si limita ai primi anni di vita per poi esaurirsi, ma dura per tutto l’arco dell’esistenza in un processo di sviluppo continuo, la cui principale finalità è l’“adattamento” del soggetto alle sempre mutevoli situazioni e condizioni sia interne che esterne alla sua persona:
“Se l’essere umano è caratterizzato dall’educabilità intesa come predisposizione e capacità di apprendere, queste caratteristiche non si esauriscono, come si è pensato per lungo tempo, con il tramontare dell’infanzia e della prima giovinezza, ma perdurano per tutta la vita” (Luppi, 2018)
Anche l’anziano continua quindi ad avere un “potenziale evolutivo” che gli permette di apprendere e di essere educato.
É questo il presupposto del LifeLong Learning, che consiste nella possibilità di poter raggiungere e mantenere, in ogni stagione della vita, una piena realizzazione nell’ottica di un “apprendimento permanente”, che pone al centro la persona con i suoi bisogni e con le sue aspirazioni fondamentali.
Gli obiettivi dell’“educazione permanente” sono quelli di continuare a sostenere negli individui, anche e soprattutto in età avanzata, autonomia di pensiero e di comportamento, in modo che essi possano conseguire livelli superiori e più consapevoli nell’esercizio dei propri diritti e delle proprie responsabilità, decidendo del proprio presente ed affrontandone le eventuali sfide con successo.
Al di là degli “stereotipi” relativi alla Terza Etá che emergono dall’immaginario collettivo, si può continuare a maturare ed apprendere, e si può continuare a porsi ancora mete ed obiettivi, in ogni tempo e in ogni età; a tal riguardo Aristotele sosteneva che “la cultura è un bellissimo viatico per la vecchiaia”.
Oggi purtroppo gli anziani sono oggetto di una “discriminazione in base all’età” che nasce da pregiudizi sia sulle loro capacità e caratteristiche psicologiche, sia sul loro ruolo e contributo all’interno della società.
Ciò si può notare già a partire dal significato attribuito al processo di invecchiamento progressivo della popolazione, che viene percepito come un “problema”, piuttosto che essere considerato una grande conquista, conseguenza di una serie di trasformazioni e processi di sviluppo soprattutto in ambito medico.
Inoltre è presente la convinzione che l’invecchiamento sia sinonimo di “demenza”, e ciò porta spesso a confondere il normale indebolimento di alcune funzioni mentali, che si aggiungono al fisiologico declino fisico, con i sintomi propri di questo stato patologico. Questo fa impaurire e scoraggiare molti anziani che, tra le tante cose, si privano anche della possibilità di interessarsi ad esperienze intellettuali e sociali, fino ad arrivare alla chiusura in sé stessi.
Ciò é in fondo frutto della cosiddetta “Teoria del Disimpegno” (Cumming and Henry, 1961), secondo la quale durante la Terza Età vi è un progressivo abbandono delle attività che fino a quel momento la persona svolgeva e riteneva importanti all’interno della sua vita, sia a causa della riduzione di forza ed energia (disimpegno fisico), che di motivazione e fiducia nelle proprie capacità e possibilitá (disimpegno psicologico e sociale).
In contrapposizione a questa concezione vi è però la “Teoria dell’Attività” (Havighurst, 196) che sostiene invece che un anziano abbia in fondo le stesse caratteristiche delle persone di mezza età, intese come stessi bisogni sociali e psicologici; pertanto bisognerebbe condurre uno stile di vita quanto più simile possibile a quello svolto sino ad allora.
La percezione degli ampi margini di crescita che ancora caratterizza la personalità e la mente dell’anziano può fornire un “potente motore motivazionale” verso attività intellettuali e sociali. Inoltre l’anziano, ormai fuori dalle dinamiche competitive tipiche del mondo del lavoro, può concedersi il lusso di avvicinarsi alle esperienze in modo “gratuito”, senza finalità meramente strumentali, ma per il piacere di mantenersi “in gioco” e per il gusto di rispondere a delle sfide personali.
In fondo la Terza Età è caratterizzata dal cosiddetto “tempo liberato” (liberato dai vari impegni, soprattutto di lavoro); un tempo che spesso viene vissuto come “vuoto” sia dall’anziano che si percepisce inattivo e si isola vivendo il peso dell’esclusione sociale, che dalla società che sopravvaluta il ruolo produttivo delle persone. Proprio per questo il vuoto potrebbe e dovrebbe essere riempito con la partecipazione ad attività sociali, educative e formative, che trasformerebbero il tempo libero svuotato di senso, nella possibilitá di dedicarsi ad attività che regalino sensazioni di felicità e soddisfazione.
Vincere certi pregiudizi significa mettere in atto azioni sociali e culturali che vadano “oltre” la visione dell’anziano solo come portatore di bisogni, per riconoscere invece il valore aggiunto che può dare alla società la sua “partecipazione attiva”, che non può però avvenire senza l’accesso agli “strumenti” che permettono la comprensione e l’adattamento al mondo che lo circonda.
In virtú di ciò appare necessario che la conoscenza venga messa a disposizione di tutti, anche in età non più giovane, in quanto valore fondamentale capace di cambiare in positivo la “qualità della vita” fino agli ultimi giorni della stessa.
Viene quindi promosso e valorizzato il diritto degli anziani di poter prendere parte ad opportunità formative durante la loro fase di vita, ad attività di educazione non formale al fine di mantenere il pieno sviluppo della propria personalità attraverso l’“accesso perenne alla cultura e al sapere”, che consente l’inserimento nella vita socio-culturale delle proprie comunità di appartenenza, oltre a garantire uno stato di pienezza e soddisfazione frutto del processo di apprendimento.
Si tratta della partecipazione ad attività volte a migliorare le conoscenze, le capacità e le competenze in una “prospettiva personale, civica e sociale”. Come quelle svolte da associazioni quali ad esempio l’Università della Terza Età, che in modo sistematico ed informale si adoperano nel campo dell’educazione e della formazione degli anziani attraverso corsi, conferenze, seminari e attività didattiche di vario tipo, creando un contesto nel quale apprendendo ci si possa mettere in gioco, fronteggiare il decadimento cognitivo e sviluppare contemporaneamente un senso di comunità e di appartenenza.
Come sosteneva Catone “Non bisogna smettere mai d’imparare e fare in modo di accrescere sempre ciò che si sa: raramente la saggezza è frutto solo della vecchiaia.”
Il Pronto Soccorso Psicologico-Italia a sostegno e supporto di un invecchiamento di successo che non è da intendersi solo come assenza di malattie, ma come mantenimento delle capacità cognitive, e come svolgimento di attività culturali e sociali, finalizzate al mantenimento di una buona qualità di vita anche durante la Terza Etá.
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