Il ruolo del caregiver nella diagnosi infausta

A cura della Dott.ssa Vera Cantavenera, Psicologa Clinica, Coordinatrice PSP-Italia, Agrigento

Care giover e diagnosi infausta

«

Nessuno è inutile in questo mondo se è capace di alleggerire i fardelli di un altro.

 Charles Dickens

Generalmente, quando vicino a noi c’è una persona con una malattia inguaribile in fase avanzata, questa ha diritto di ricevere le cure palliative a domicilio. Perché questo sia possibile, oltre a parlarne con il medico curante che guiderà i passaggi per attivare il servizio valutando i criteri per entrare nel percorso delle cure palliative, c’è bisogno di guardare alla realtà di tutti i giorni per comprendere cosa occorre per stare a casa.

Con i cambiamenti avvenuti negli ultimi anni nell’ambito dell’assistenza e della sanità, è così comparsa una nuova figura che ne ha caratterizzato tale scenario.

Stiamo parlando della figura del Caregiver che costituisce quel Welfare Domestico che va a sopperire come una vera e propria rete silenziosa di assistenza, al carente intervento Statale.

Si fa così  differenza fra caregiver professionale e caregiver informale cioè quella persona inesperta di assistenza, che,  da un lato, deve riuscire improvvisamente a occuparsi di un proprio congiunto malato, garantendo una cura continua e costante e, dall’altro, deve fare i conti con le proprie paure, il proprio dolore e deve affrontare tutte le difficoltà legate all’attività di caregiving, quali cambiamenti di ruolo, perdite economiche, riduzione del tempo libero e aumento dello stress quotidiano .

Essere un familiare di riferimento, per il servizio di cure palliative domiciliari, significa essere disponibile a vivere insieme alla persona malata questo percorso di vita.  Questa figura viene appunto identificata in un familiare, che occupa un ruolo informale di cura (informal caregiver), supporto e di vicinanza e che è partecipe dell’esperienza di malattia del malato e che si impegna nelle attività quotidiane di cura della persona.

Non occorre che questa figura sia presente in ogni momento della giornata ma, all’interno della famiglia e con le persone che aiuteranno nell’assistenza, è necessario definire il riferimento per gli operatori che verranno a casa, per descrivere ciò che succede nell’intervallo tra un passaggio di un infermiere, di un medico o di un operatore socio sanitario e quello successivo.  L’assistenza familiare è essenziale per il benessere della persona malata che acceda alle cure palliative domiciliari, ma è un compito gravoso perchè porta il caregiver a confrontarsi con un quadro in costante mutamento a causa dell’evolvere della patologia.

Quando si tratta infatti di gestire un malato a cui è  stata comunicata una diagnosi infausta il compito per il caregiver può divenire assai difficoltoso e  provocare come accennato in precedenza, non poche reazioni di carattere emotivo/ relazionali ma anche comportamentali.

In generale, ricevere una diagnosi infausta non è  mai piacevole e fa sentire, i pazienti e chi gli sta accanto, soli; anche se si sta in mezzo a tanta gente.

Prendersi cura, infatti, di una persona, come affermato dal Collegio Universitario di Villalta, “significa innanzitutto rispettare, stimolare e valorizzare lo svolgersi della sua esistenza, secondo la progettualità che essa stessa contiene e che a priori non è conosciuta neanche dal soggetto stesso, ancor meno da chi la osserva”. Il prendersi cura di una persona con diagnosi infausta vuol dire formulare una nuova progettualità che tenga conto della limitatezza del tempo che si ha a disposizione. Significa tenere conto dei complessi cambiamenti fisici e psicologici a cui si va incontro. Per tale motivo, numerosi studi dimostrano come un caregiver debba affrontare situazioni assistenziali molto complesse, perchè ogni contesto familiare è differente, così come lo sono le esigenze specifiche di ogni persona malata e come sono diversi tra loro i singoli caregiver. Il prendersi cura infatti, deve necessariamente includere il supporto garantito al paziente ma anche al suo caregiver, figura fondamentale per l’erogazione dell’assistenza domiciliare.

Il caregiver non deve imparare a memoria i farmaci o i loro effetti benefici o quelli fastidiosi che a volte compaiono, ma avere modo di informare gli operatori di cosa succede nelle ore in cui essi non sono presenti, soprattutto per quanto riguarda i sintomi che si presentano.

Si può essere disponibili a imparare piccole manovre di assistenza per spostare la persona malata o piccoli interventi per somministrare farmaci in sicurezza dopo un adeguato insegnamento da parte degli infermieri, dei fisioterapisti o degli operatori socio sanitari (vedi équipe). Una volta che gli operatori avranno informato su cosa possa capitare quando si vive una malattia in fase avanzata, molte cose saranno più chiare e si potranno affrontare insieme.

Il punto importante è discutere insieme alla persona malata quale sia il luogo in cui desidera essere assistita, per valutare insieme se la casa sia il luogo adatto: molto spesso lo è, perché a casa si sta nel proprio ambiente, si possono mantenere le proprie abitudini, le proprie comodità, utilizzare gli spazi con un minimo adattamento per il massimo comfort della persona malata.

Quello che può frenare è il timore di non essere in grado perché privi di conoscenze specifiche. In realtà non sono richieste particolari competenze in questo senso: si può stare accanto ed essere di aiuto nei piccoli gesti di tutti i giorni se le forze verranno meno o se la persona malata dovrà stare a letto. Tante persone riescono a stare a casa, con lo spirito per stare in un’esperienza di vita profonda, aiutati e supportati dall’équipe di cure palliative.

L’attività di caregiver familiare richiede un dispendio di risorse a livello personale, ambientale ed economico. L’insieme di situazioni che si troverà ad affrontare saranno particolarmente impegnative sia dal punto di vista fisico che da quello emotivo.

Spesso infatti assistere un familiare malato o in fin di vita ha ripercussioni psicologiche importanti. L’ evolvere della patologia ha un forte impatto non solo sulla persona malata, ma anche sul caregiver e tutto il contesto familiare. In questa situazione preoccupazione e tristezza sono sentimenti naturali, ma spesso la figura che deve assistere può trovarsi a dover affrontare problemi diversi come stress, ansia e depressione: a generarli è il carico di responsabilità che grava sul caregiver, il coinvolgimento emotivo che lo lega al “paziente”, l’impossibilità di prendersi una pausa ed il senso di frustrazione e impotenza che deriva dal vedere il proprio caro in difficoltà.

Tutti questi fattori possono portare chi assiste a sperimentare stati di: irritabilità, pessimismo, agitazione, ansia, stanchezza fisica e mentale, perdita di motivazione, insonnia.

Questi sintomi sono spesso legati poi ad un crescente senso di colpa che il caregiver avverte nel provarli.

Si tratta di manifestazioni dello stress assistenziale e possono essere definite come Burden of illness, o più semplicemente Burden: con questo concetto si intende lo stato che deriva dal carico assistenziale (psicologico o fisico o sociale) prestato in maniera prolungata e continuativa dal caregiver.

Questi fattori non sono da sottovalutare e vanno opportunamente misurati: il carico assistenziale non deve essere troppo gravoso, per evitare che

questo influisca negativamente sulla salute del caregiver e sulla propria qualità della vita.

Sopportare il carico assistenziale di un proprio caro che acceda alle cure palliative domiciliari può quindi portare conseguenza importanti per il caregiver. Ci sono molte variabili che intervengono nello svolgimento di questa attività come i diversi contesti familiari, i bisogni della persona malata e l’emotività di chi assiste.

Sulla base di queste variabili l’equipe del Pronto Soccorso Psicologico con i suoi professionisti è in grado di identificare un percorso di carattere generale, che può aiutare a sostenere più serenamente questo ruolo. Di fatto, i professionisti del PSPI, possono aiutare il caregiver a: 

  • imparare ad esprimere i propri bisogni
  • concedersi alcuni momenti di pausa 
  • vigilare sulla comparsa dei sintomi del Burden
  • non essere troppo severi con se stessi
  • condividere le proprie emozioni 
  • confrontarsi con altri caregiver
  • chiedere aiuto ad altre persone che possano sostituire il caregiver per specifici compiti
  • riconoscere ed accettare il fatto di aver bisogno di aiuto e supporto.

La mancanza di supporto emotivo, la solitudine, le incomprensioni sono spesso la cornice di riferimento che rende faticosa e problematica l’esperienza personale del caregiver, con  conseguenze negative per se stessi e per la persona assistita. Si tratta di situazioni  ed esperienze che incidono profondamente sulle capacità di resilienza del caregiver,  il più delle volte chiamato a rimodellare, a fatica, i propri equilibri esistenziali. Diventa quindi fondamentale aiutare queste figure a fronteggiare le emozioni e i cambiamenti nel rapporto con la persona assistita per potersi alleggerire e continuare ad avere una propria vita.

In queste situazioni i professionisti del Pronto Soccorso Psicologico Italia possono intervenire a sostegno e supporto dei caregiver familiari anche per un confronto in modo da riuscire a gestire al meglio i propri vissuti sia rispetto alla persona di cui ci si prende cura sia rispetto al proprio ruolo di caregiver.

 

Dott.ssa Vera Cantavenera, Psicologa Clinica, Coordinatrice Pronto Soccorso Psicologico-Italia, Agrigento