Il Triage psicologico in corso di emergenza: un nuovo modello

Il Triage psicologico in corso di emergenza: un nuovo modello

a cura di: M.D. VECCHIO Salvatore

RIASSUNTO

L’ articolo di seguito presentato espone gli aspetti teorici e pratici dello stress e della psicologia dell’emergenza presentando un nuovo strumento di valutazione del triage psicologico. L’algoritmo proposto rende facile la valutazione psicologica del ferito, è immediato e preventivo tanto da porsi come strumento facilitatore nel riconoscimento precoce di disturbi prodromici.

SUMMARY

The article presented below exposes the theoretical and practical aspects of stress and emergency psychology by presenting a new tool for evaluating psychological triage. The proposed algorithm makes the psychological evaluation of the injured person easy, is immediate and preventive, so much so that it acts as a facilitating tool in the early recognition of prodromal disorders.

INTRODUZIONE

Il soccorritore molto spesso opera in contesti operativi emergenziali.

La catastrofe, implica un cambiamento repentino e imprevedibile, che evoca dolore e pericolo e non permette facilmente sia ai soccorritori che alle vittime un adattamento adeguato a fronteggiare gli aspetti emotivi correlati allo stress generato dall’evento stesso.

L’infermiere che molto spesso interviene sul campo come coordinatore di squadre di soccorso, deve essere preparato e pronto a gestire i bisogni dei feriti nell’emergenza consapevole che fronteggiarla può portarlo verso un senso di inadeguatezza e di impotenza .Una buona gestione e un adeguato intervento facilita l’identificazione precoce dei disturbi acuti da stress o disturbi post-traumatici che si manifestano prevalentemente per l’elevata esposizione ai “mediatori” di stress, quali il contatto visivo e talora fisico con cadaveri e corpi straziati .

La gamma di soggetti interessata da fattori di rischio insiti nell’emergenza comprende vittime primarie, se toccate direttamente dal disastro, e vittime secondarie se esse denunciano effetti indiretti come il lutto. Il rischio in cui incorrono gli operatori dell’emergenza (soccorritori,

personale sanitario, disaster manager, ecc) e professionisti della salute mentale è quello di cedere agli effetti di un’intensa attività di lavoro a supporto delle vittime(burn-out) .

MATERIALI E METODI:

E’ stata effettuata una revisione della letteratura ed approcciato ad un algoritmo di triage bifasico primario e secondario al fine di categorizzazione i pazienti nella fase d’ Emergenza.

Il Triage psicologico in corso di emergenza.

In un’emergenza di tipo tradizionale, sia essa dovuta a calamità di vario tipo o ad un Incidente Maggiore, si va diffondendo sempre di più la convinzione che le condizioni psicologiche delle vittime e spesso dei soccorritori meritino un’attenzione assai maggiore che in passato.

E’ noto infatti che gli stressors dovuti al trauma influiscono in modo determinante sul riacutizzarsi di patologie psichiche già presenti, o facendo affiorare situazioni di disagio fino ad allora latenti.

Così, da molte Istituzioni sanitarie, e da molti specialisti nel settore, arrivano proposte per un protocollo che tenga conto delle priorità d’intervento psicologico, così come è già procedura consolidata per le lesioni traumatiche fisiche. Tale protocollo è il cosiddetto “Triage Psicologico”.

Appare chiaro d’altra parte che, mentre in un triage tradizionale la priorità d’intervento o d’evacuazione delle vittime avvenga nel rispetto del noto concetto di “golden hour”, in un triage psicologico si debba tener conto piuttosto di un “golden month”, garantendo questo il tempo per una valutazione più accurata di sintomi, quelli appunto psicologici, che sono spesso più subdoli e più complessi a valutarsi di un’emorragia o di una insufficienza respiratoria acuta.

Tra i vari triage psicologici oggi proposti, manca ancora un progetto che tenga conto dell’evolversi nel tempo dei sintomi, rimanendo così, finora, l’algoritmo applicato al momento del primo triage un atto non aggiornabile nel tempo

Questo che presentiamo ora, se pure solo un tentativo che sicuramente può avere delle carenze concettuali e strutturali, è di fatto il primo Triage psicologico bifasico.

E’ costituito da un algoritmo da applicarsi il più precocemente possibile dopo l’evento (prima fase) e si basa, nel dare una priorità di trattamento con i colori tradizionali, sull’emergenza di sintomi noti di disagio psicologico osservabili dallo psicologo triagista, senza tener conto di altri parametri.

La seconda fase, invece, è un triage “scoring” che assegna un punteggio in base (per ora) a tre parametri che influiscono sulla valutazione della necessità più o meno urgente di trattamento delle vittime di un evento avverso. Questo va applicato in un secondo tempo, anche più volte e da specialisti diversi dal primo triagista costituendo una rivalutazione dello stato mentale dei pazienti, che com’è noto, può evolversi progressivamente.

Gli autori hanno escluso volutamente dal triage tutte quelle vittime che al momento del primo soccorso presentano già un comportamento pericoloso per sé stessi o per gli altri, perché mi è parso ovvio che esse debbano essere trattate comunque immediatamente.

Un triage bifasico inoltre, rispetto ad uno tradizionale, offrendo un’accuratezza maggiore         indirizza oltre che la priorità d’intervento anche la   specificità di questo in relazione allo stato mentale dei soggetti trattati.

LE RISPOSTE PSICOSOMATICHE DEL SOCCORRITORE DI FRONTE ALL’EVENTO CATASTROFICO

Dato che le maggiori definizioni elencano ben 17 sintomi, raggruppati in 3 categorie, il DPTS può essere considerato un fenomeno di definizione molto larga. Altrettanto è la gamma di soggetti coinvolti, che comprende vittime primarie (se toccate direttamente dal disastro) e secondarie (se esse denunciano effetti indiretti, come il lutto), operatori dell’ emergenza (soccorritori, personale sanitario, disaster manager, ecc.), e professionisti della salute mentale, i quali possono crollare sotto l’effetto   di   lavorare    intensamente    con    i problemi dei membri delle altre categorie.

Nel sviluppare un DPTS tra gli uomini esiste una certa vulnerabilità, l’elaborazione emotiva di un evento incontrollabile e imprevedibile è soggettiva (a volte i sintomi si possono presentare anche dopo sei mesi) ed esso viene vissuto da alcuni in modo intenso da altri meno, ciò vale, nel caso di un’emergenza, sia per le vittime che per i soccorritori.

Spesso dopo eventi catastrofici eclatanti i traumatizzati mettono in atto comportamenti evitanti, tenendosi lontani dagli stimoli temuti, inoltre la mancata elaborazione emozionale della reazione all’evento stressante spinge ad accumulare ansia e tensione che con il passare del tempo si cronicizzano in vere e proprie fobie, ossessioni o stati depressivi.

Molti traumatizzati a volte esprimono sentimenti di colpa per essere sopravvissuti e non avere aiutato abbastanza le persone decedute.

I clinici affermano sulla base di indagini scientifiche che i soggetti traumatizzati possono andare incontro a modificazioni permanenti della personalità e possono presentare sintomi come astenia, cefalee, dolori al torace, disturbi gastrointestinali, disturbi della memoria, cardiovascolari, deterioramento cognitivo e un indebolimento del sistema immunitario.

I sintomi classici più visibili in queste circostanze sono: iper vigilanza, ipersensibilità, ricordi ricorrenti ed intrusivi dell’evento, incubi, stress psicologico intenso, comportamenti di fuga, sintomi di depressione, compresi i disturbi del sonno, dell’appetito e l’irritabilità. Le sensazioni sono angoscianti, il futuro sembra quasi inesistente, vi è una perdita di interesse nelle attività abituali e una diffusa sensazione di smarrimento. Le relazioni sociali possono essere danneggiate, vi può essere un aumento dei contrasti coniugali e dei comportamenti violenti in famiglia e al di fuori.

Inoltre bisogna tenere sempre presente che il contesto operativo delle realtà emergenziali deve fare i conti con una situazione di crisi che mette l’individuo di fronte all’incerto, il che richiede un notevole sforzo delle risorse creative a disposizione. E’ qui che gli aspetti psicologici correlati alle situazioni di emergenza sono finalizzati ad impedire che uno stress temporaneo, seppure forte, porti ad un disagio permanente, nonché di conoscere e sviluppare strategie di formazione per la prevenzione e il benessere psicofisico, che innalzino dunque la soglia di sensibilità al burn-out.

La prevenzione del burn-out è fondamentale nelle professioni d’aiuto poiché costruisce un contenitore in cui ri-elaborare le esperienze “traumatiche” impedendo appunto quei processi che favoriscono una demotivazione al lavoro. Molti coraggiosi vigili del fuoco, paramedici, agenti di polizia, personale sanitario ed altri soccorritori volontari e non, si trovano spesso coinvolti in situazioni critiche impossibilitati ad agire rapidamente nei confronti delle vittime, inoltre assorbono i racconti di orrore e dolore che provengono dai superstiti. A volte questi ricordi opprimenti possono rappresentare  un  periodo  critico  per  i soccorritori quindi il processo di elaborazione psicologica può diventare molto complesso.

L’esposizione dei soccorritori ad un’emergenza è dunque quasi totale. Vivono con    le vittime lo stesso ambien te sconvolto, ascoltano dalle vittime i racconti, le lacrime, il terrore, tutti sono esposti alla stessa scena. Chi opera nell’ambito dell’emergenza in genere è sempre un operatore la cui preparazione di base è più orientata a fornire infrastrutture di supporto nei possibili scenari catastrofici senza avere, del resto, delle risorse emotive adeguate a fronteggiare l’evento catastrofico e nello stesso tempo lo stato emotivo del “salvato”. Spesso sono individui appartenenti alla stessa comunità colpita e pertanto conoscono le vittime, di cui possono essere amici o parenti. L’addestramento degli operatori di solito prevede più una formazione di primo soccorso, cioè come far sfollare i disastrati, come sistemarli, come rispondere ai bisogni primari, la ricerca dei dispersi. Le aziende sanitarie con la protezione promuovere dei progetti civile e le prefetture dovrebbero nei comuni più a rischio per la riduzione delle risposte stressogene sia dei soccorritori che delle vittime della catastrofe. Bisogna costruire una “mappa” psicologica dei rischi che incorrono sia i soccorritori che la popolazione, cioè promuovere un modello psicologico di prevenzione dei comportamenti di panico in emergenza.

Si tratta di impegnare dei tecnici come ingegneri, geologi, psicologi, disaster managers e quanti di coloro hanno già sofferto esperienze simili, utilizzando come materiale formativo la raccolta delle loro testimonianze dirette sul campo per migliorare e valorizzare le competenze tecniche dei futuri operatori. Del resto in Europa è già presente questo tipo di organizzazione a livello istituzionale. Sulla base di quanto sin qui espresso diventa indispensabile per i soccorritori perseguire le seguenti finalità:

  • Acquisire abilità lavorative di gruppo negli interventi di emergenza.
  • Acquisire strumenti psicologici per aiutare le vittime di catastrofe su un piano emotivo.
  • Apprendere strategie di salvaguardia e attenzione ai segnali di burn-out individuali e di gruppo.
  • Identificare il pericolo in cui si sta realmente incorrendo;
  • Suddividere il lavoro distribuendo i ruoli in modo da attuare un intervento adeguato sul campo.
  • Evitare di mettere in campo tutte le forze disponibili se non si prevede il cambio per gli operatori.

E’ importante che il soccorritore sia in grado di gestire e decifrare i suoi stessi sentimenti ed impulsi al fine di non trasmettere e comunicare paura sia a chi gli sta di fronte che agli operatori stessi. Inoltre durante un incidente critico o un disastro,  il  DPTS  può  essere  limitato utilizzando alcune strategie di pianificazione e gestione, come le seguenti:

  • limitare il tempo che i soccorritori trascorrono in ambienti pericolosi o traumatizzanti utilizzando le squadre a rotazione, aumentando la frequenza o la durata delle soste di riposo, prendendo misure per ridurre la stanchezza dei lavoratori, e dividendo le responsabilità tra più persone;
  • creare aree primarie e secondarie di ammassamento o dei soccorritori e roteando le squadre per brevi periodi tra queste e il sito dell’incidente (ove possibile, le aree di ammassamento dovranno essere attrezzate con posti di ristoro e di assistenza medica per gli stessi soccorritori);
  • creare sistemi di gemellaggio o di sorveglianza mutua tra paia di soccorritori;
  • prendere la decisione di ritirare quei soccorritori che mostrano segni di eccessiva stanchezza, stress o disturbo emozionale.

PRIMO SOCCORSO PSICOLOGIO

Il primo soccorso psicologico è un’attività concreta di risposta immediata operata da soccorritori appositamente addestrati; è una prima assistenza psicologica che, integrandosi con il pronto soccorso medico, considerando la vittima nella sua totalità, mira a trarre in salvo una persona impossibilitata a farlo con le proprie capacità e mezzi e ad evitare o ridurre i danni psichici che essa potrebbe riportare in seguito all’esposizione ad un evento critico.

Il p.s.p., messo in atto immediatamente dopo il tempo dell’impatto, durante la fase di resistenza, ha la finalità di ridurre la quota di stress psicologico acuto nei superstiti e nei feriti per introdurli ad un processo adattativo, attraverso azioni semplici (applicabili e adattabili) che ridiano loro senso di sicurezza, facilitino il ritorno alla calma e alla normalità, implementino l’auto-efficacia e la speranza e che facilitino la ri-connessione alla rete di appartenenza.

Il p.s.p. è indispensabile nelle catastrofi quando rappresentano per il soggetto una “psicosi” del mondo esterno e cioè:

  • quando è minacciata o compromessa, nella vittima la rappresentazione mentale del contesto nel quale vive;
  • quando vengono meno la prevedibilità e il controllo su ciò che circonda il soggetto;
  • quando è necessario ridare un senso ad uno scenario che oggettivamente l’ha perso;

Le azioni del p.s.p. sono:

  • raccogliere informazioni e creare il contatto; eseguire il triage psicologico;
  • proteggere e  rassicurare;
  • normalizzare le acuzie;
  • stabilizzare l’emotività/contenere il lutto;
  • ricongiungere alla rete affettiva/sociale;
  • promuovere   l’auto-efficacia

Informazioni e contatto vuol dire conoscere l’evento e le sue dimensioni,conoscere la cultura, gli usi, le abitudini, saper osservare la scena / valutare la sicurezza; approcciarsi e offrire aiuto; presentarsi senza intrusività ma in atteggiamento d’ascolto.

Il triage psicologico è un processo accoglitivo – valutativo – decisionale che, attraverso l’uso di criteri e modalità prestabilite, consente una valutazione psicologica di un soggetto, articolata in momenti successivi e ben definiti:

  • accoglienza (disponibilità,  empatia, rassicurazione, normalizzazione,ecc.);
  • riconoscimento (dei segni, dei sintomi e del problema principale);
  • attribuzione (del codice di priorità).

“ Il triage psicologico serve a verificare se il soggetto ha bisogno di cure mentali di emergenza …e il grado di rischio per lo sviluppo di un disturbo post-traumatico cronico”. Non è un processo psicodiagnostico; fa una foto dell’esistente: rileva segni e sintomi;valuta la differibilità/indifferibilità; assegna un codice di priorità di trattamento psicologico. In caso di emergenza il triage psicologico si risolve in poco tempo invece si da priorità ai convenzionali metodi fisiologici basati sul riconoscimento delle variazioni dei segni vitali e che possono essere applicati senza rischi in caso di incidente maggiore: stiamo parlando del TRIAGE SIEVE e del TRIAGE SORT. L’autore, invece approfondendo l’aspetto psicologico e le problematiche scaturenti da questo, vuole qui di seguito introdurre un nuovo metodo di triage psicologico che sia : più chiaro, scrupoloso efficace rapido e che velocizzi le tempistiche d’intervento.

La codifica dei colori segue l’evolversi della gravità dei sintomi psicologici:

VERDE= soggetti che non necessitano di un intervento perché non presentano segni pregressi o attuali di stress post-traumatico.

ARANCIONE= soggetti con segni di ansia lieve, disposti al coping e osservati e avviati, ove necessario ai percorsi terapeutici.

ROSSO= soggetti con segni presenti di ansia grave, coping assente, trattamento obbligatorio.

L’ ALGORITMO PRIMARIO E SECONDARIO:

CONSIDERAZIONI E CONCLUSIONI.

L’elaborazione degli algoritmi che l’autore ha presentato, seppur solo un tentativo, rappresenta di fatto il primo TRIAGE PSICOLOGICO bifasico.

La novità consiste nella prima fase, sul campo, nell’etichettare la priorità di trattamento. L’infermiere e lo psicologo triagista – così come per il triage Sieve e Sort- attribuiranno un codice colori senza tener conto dei parametri vitali.

Il triage “scoring” va applicato in un secondo tempo , esso assegna un punteggio in base a tre parametri: anamnesi, osservazione e posizione psicologica della vittima rispetto all’evento.

Questo triage, verrà ripetuto più volte e da specialisti diversi dal primo triagista, quindi sarà necessaria una rivalutazione dello stato mentale dei pazienti, che com’è noto, può evolversi progressivamente.

L’autore ha escluso volutamente dal triage tutte quelle vittime che al momento del primo soccorso presentano un comportamento pericoloso per sé stessi o per gli altri, perché il trattamento è certamente immediato.

Un triage bifasico, rispetto ad uno tradizionale, è rapido nelle tempistiche ma accurato, dettagliato e indirizza le priorità d’intervento rispetto alla relazione dello stato mentale dei soggetti trattati.

Il punteggio utilizzato nello scoring è stato studiato in modo da concedere la massima attenzione a tutti coloro che presentano delle caratteristiche tali da far presupporre che sia alta la probabilità di sviluppare una sindrome psicologica. Come si può notare infatti, i pazienti con codice verde e giallo hanno un range di punteggio molto contenuto, a differenza di quelli con codice rosso.

Lo scoring così permette di sottoporre ai percorsi psicologici un numero più elevato di pazienti, anche quelli con sintomi che al momento sembrano non essere rilevanti ma che invece sono significativi.

Così come avviene nello scoring del triage bifasico SIEVE & SORT, uno dei più evoluti ed adottato in ambito NATO, l’obiettivo è quello di fare in modo che nessuna attribuzione di codice rosso sfugga alla valutazione del triagista e quindi, in altre parole, che nessun paziente con alta priorità di intervento sia trascurato.

Per il punteggio aritmetico attribuito ad ogni voce, ci si è rifatti alle priorità suggerite da altri modelli d’intervento psicologico, convertendo dunque in numeri i sintomi osservati nel momento del triage e i fatti pregressi riportati in anamnesi.

In una maxiemergenza si deve intervenire tempestivamente, è necessario seguire i protocolli, e salvare più vite possibili e questo fa parte del dovere deontologico; ma in questo elaborato ci si è soffermati ad analizzare l’emergenza sotto il profilo psicologico per capire come devono essere

gestite e coordinate le situazioni d’emergenza. Un evento traumatico comporta danni fisici ma anche psichici e spesso al momento dell’evento questi vengono trascurati, quindi il contributo dell’autore è quello di aver fornito in questo elaborato uno strumento valido, l’algoritmo bifasico del triage psicologico e il suo score che rendono veloce e semplificativo una realtà non sempre palesata. È importante etichettare un danno psicologico tanto quanto un danno fisico e il coordinatore gestirà in equipe l’evento avvalendosi di strumenti pratici e facilitatori come i tags del triage psicologico ma come dice Denis Waitley: “ci sono sempre due scelte nella vita: accettare le condizioni in cui viviamo o assumersi la responsabilità di cambiarle”.

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Dott. Salvatore Vecchio