Il viaggio: metafora esistenziale

A cura del Prof. Mariano Indelicato, Presidente Pronto Soccorso Psicologico

Quando ti metterai in viaggio per Itaca /Devi augurarti che la strada sia lunga,/fertile in avventure e in esperienze ……/Soprattutto non affrettare il viaggio;/fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio/metta piede sull’isola, tu, ricco/dei tesori accumulati per strada

Kostantinos Kavafis

Abstract

The travel experience is often included within the natural and normal acts that individuals need to break the daily rhythms of life and work stress. Yet beneath this blanket lies much deeper emotional and psychological significance. Travelling is not just a holiday but a way to deal with ourselves and otherness. It recalls intergenerational and intragenerational experiences around the development and care of autonomy. When planning and implementing the journey we must confront our deepest fears since leaving our own Oikos can undermine our certainties and securities with the fear of a destructuring of the self and one’s identity. Travelling means accepting the challenge of the new, looking beyond the horizon, beyond that line where the imagination can open up to the thirst for new knowledge or become the cave that hides the monsters of our childhood fears.

Riassunto L’esperienza del viaggio spesso viene compresa all’interno degli atti naturali e normali della quale gli individui hanno necessità per spezzare i ritmi di vita quotidiani e lo stress lavorativo. Eppure al di sotto di questa coltre si nascondono significativi emotivi e psicologici ben più profondi. Il viaggio non è solo vacanza ma è un modalità con cui confrontarci con noi stessi e con l’alterità. Esso richiama i vissuti integenerazionali e intragenerazionali intorno allo sviluppo e alla cura dell’autonomia. Nel progettare, nell’attuare il viaggio dobbiamo confrontarci con le nostre paure più profonde poiché il lasciare il proprio Oikos può mettere in crisi le nostre certezze e sicurezze con il timore di una destrutturazione del sé e della propria identità. Viaggiare significa accettare la sfida del nuovo, il guardare oltre l’orizzonte, oltre quella linea dove l’immaginario può aprirsi alla sete di nuove conoscenze o diventare la caverna che nasconde i mostri delle nostre paure infantili.  

viaggio esistenziale

Introduzione

I versi di una canzone di Battisti, richiamando il profondo significato del viaggio, recitano:  “si viaggiare, evitando le buche più dure. Senza per questo cadere nelle tue paure. Gentilmente senza fumo con amore. Dolcemente viaggiare rallentando per poi accelerare con un ritmo fluente nel cuore gentilmente senza strappi al motore”.  

L’estate per antonomasia è il tempo dei viaggi coincidendo con le ferie e il meritato o meno riposo lavorativo. In una società  competitiva che ci vede continuamente impegnati nel raggiungimento di obiettivi sempre maggiori, il viaggio costituisce il momento nel quale è possibile immergersi all’interno di culture antiche e. comunque, diverse da quelle in cui siamo avvinghiati nella nostra quotidianità. Si tratta spesso di abbandonare il territorio, il luogo sicuro costituito  dai colori, dai sapori, dagli aromi  che orientano e determinano il nostro agire. Bruce Chatwin (1996)  descrive il viaggio come un  diversivo, una distrazione,  una fantasia, un cambiamento di moda, di cibo, amore e paesaggio del quale ne abbiamo bisogno come dell’aria che respiriamo.   Marc Augè (1997) , a tal proposito, scriveva : “Il mondo esiste ancora nella sua diversità. Ma questo ha poco a che vedere con il caleidoscopio illusorio del turismo. Forse uno dei nostri compiti più urgenti consiste nell’imparare di nuovo a viaggiare, eventualmente nelle nostre vicinanze, per imparare di nuovo a vedere”.  John Keats (1820)  ha sostenuto che “i viaggiatori hanno camminato per le strade senza meta, colti da ebbrezza, le città non erano più divise da soglie, si schiudevano ai viaggiatori come paesaggi ed ogni spazio si apriva al fascino della strada. Gli occhi e gli sguardi si incrociavano e percepivano bellezza. Avevano la visione”.  In effetti l’obiettivo del “viaggiare è camminare verso l’orizzonte, incontrare l’altro, conoscere, scoprire e tornare più ricchi di quando si era iniziato il cammino” (Luis Sepúlveda, 1989). 

Infatti,  Il viaggio svolge funzione di cura poiché permette l’incontro con l’Altro, crea legami con luoghi, territori, culture ricreando le condizioni originarie dell’uomo. Per tale motivo ha forti implicazioni di carattere emotivo e psicologiche poiché costituisce un’ avventura dello spirito al di fuori del quotidiano, come “scoperta del mondo, degli uomini, di se stessi” (Corna Pellegrini, 2000), per aiutarci ad essere più consapevoli del nostro rapporto con la realtà. D’altronde, dal punto di vista antropologico, il viaggio assume una funzione fondamentale per lo sviluppo della razza umana. E’ con lo spostarsi, con l’esplorazione del territorio, con l’errare che l’homo sapiens ha trovato le condizioni di habitat ideali e utili alla sua sopravvivenza. Inoltre,  attraverso la conquista e il dominio del territorio ha costruito le civiltà. Per fare ciò l’uomo preistorico fino ad arrivare all’homo sapiens ha dovuto attraversare la lunga notte ricca di scoperte e anche di trasformazioni anche di carattere biologico volte ad adattarsi ad un ambiente ostile. In quest’ambito il viaggio ha svolto un ruolo fondamentale sia sul piano pratico sia su quello immaginario. Nel primo caso vi sono stati gli spostamenti alla ricerca dell’ambiente in cui stanziarsi; il secondo riguarda il viaggio iniziatico attraverso i vari riti di passaggio che riguarda lo sviluppo del singolo individuo. Da questi elementi emerge che già fin dall’antichità possiamo delineare vari tipi di viaggio:

  • Come esplorazione e conquista del territorio;
  • Come scambio di merci e manufatti;
  • Come spostamento stagionale ad esempio la transumanza;
  • Come viaggio rituale mitologico;
  • Come viaggio iniziatico tipico dei riti di passaggio e del viaggio interiore;
  • Come viaggio raccontato;
  • Etc.

F. Cambi (2011) sostiene che “proprio la complessa tipologia del viaggio ne manifesta l’importanza (sociale e individuale) e il ruolo eccezionale che ricopre: di rottura, di spaesamento, di contatto con la differenza; e quindi di esperienza privilegiata. L’altra peculiarità del viaggio è di disporsi, in modo eminente, a cavallo tra esperienza reale e esperienza immaginaria, di essere – insieme – un momento chiave del vissuto come pure dell’ elaborazione dell’immaginario, di quel “mondo” di miti, credenze, ideali che vivono solo nella coscienza (se pur vale anche  il  viceversa),  delineandone  le  forme  e  i  confini,  ma  anche  nutrendola  di referenti e di senso” .

Considerazioni

Le varie definizioni riportate sopra insistono sull’incontro con l’Altro, con il diverso, tra il reale e l’immaginario, tra il visibile e l’invisibile insito  all’interno di ogni viaggio. A tal fine la Carbonetto (2007) mette in risalto che il viaggio costituisce una metafora  della stessa vita. In esso, infatti, è presente il visibile inteso come ciò che desideriamo visitare e conoscere ma, contemporaneamente, l’invisibile che richiama realtà e vissuti emotivi più profondi che ancorano l’individuo alla sua storia generazionale e intergenerazionale.  Se il visibile riguarda l’incontro tra culture diverse (sciamaniche, monoteiste, culture tecnologiche), l’invisibile tratta la gestione delle differenze e la presenza del registro simbolico che richiama, come messo in risalto da Kant, la comune umanità.  La partenza e il ritorno,  ad esempio, possono essere ascritti, come sostenuto da De Clementi e Stella (1995), alla nascita e alla morte. La partenza, nel suo doppio significato di iniziare, incominciare e, all’opposto, di finire e, in assoluto, di morire, è una sintesi simbolica “di un’esperienza universale in cui nascita e morte rappresentano momenti essenziali del far parte per se stesso nel processo di individuazione” (Ibidem).  Si parte se nel corso dello sviluppo si è acquisita la necessaria autonomia, se si è completato il processo di individuazione, se si è compiuto il viaggio all’interno di se stessi alla ricerca del proprio sé. Il viaggio metaforicamente rappresenta l’attraversamento del mar Rosso ovvero sfidare le incertezze, le paure, le ansie presenti in ogni individuo per la conquista della terra promessa. Lasciare la propria comfort zone, la propria casa, i propri amici ha profonde analogie con il superamento della fase di fusione simbiosi descritta dalla Mahler (1980). Una buona relazione madre-bambino, la presenza di una good enough mother (Winnicott, 1970), una base di attaccamento sicuro (Bolblwy, 1976), fa nascere nell’individuo il desiderio di esplorare il mondo: ““Con l’impulso alla maturazione di funzioni autonome, come il pensiero e la deambulazione, inizia l’avventura amorosa con il mondo. Il bambino compie il più grande passo verso l’individuazione umana. Cammina liberamente in posizione eretta. Così, il campo visivo cambia; da una posizione completamente nuova scopre notevoli e inaspettate prospettive, soddisfazioni e frustrazioni […] è inebriato delle proprie capacità, continuamente soddisfatto per le scoperte che fa nel suo mondo in espansione ed è quasi innamorato del mondo e della sua grandezza e onnipotenza” (Mahler, 1980). Dal punto di vista transgenerazionale riscontriamo l’invisibile nel riconoscere la presenza di una corrente sotterranea che riguarda sentimenti cruciali per la relazione tra gli uomini quali la fiducia, la speranza e la giustizia. Solo nella misura in cui l’individuo nei vari passaggi generazionali acquisisce fiducia in se stesso e negli altri e il suo cammino si nutre di speranza è in grado di  immergersi nelle acque spartite del mar Rosso. Non è un casuale che spesso gi attacchi di panico sorgono durante un viaggio ovvero nel momento in cui ci si allontana dalle proprie certezze e sicurezze ovvero dalla propria comfort zone. In assenza di fiducia e speranza nel riuscire a fare legame con l’altro, in presenza di relazioni infantili castranti non in grado di promuovere l’autonomia del bambino, il mondo esterno diventa pieno di insidie, minacce e pericoli  alle quali ci sentiamo impotenti a rispondere.  In questi casi, l’esterno, il viaggio prendono la forma di una grotta buia e tempestata da tanti mostri che non siamo riusciti a sconfiggere durante la nostra infanzia. Manca la fiducia e la speranza che solo continuando a percorrerla possiamo, alla fine, ritrovare la luce e campi fioriti. Al contrario, l’attacco di panico ci riporta al punto iniziale in una spirale dalla quale non riusciamo a liberarci.  Anche nella depressione la paura del presente e del futuro non genera desideri ancorando al passato.  Il viaggio, al contrario, proietta la speranza in un futuro migliore.

Lungo lo sviluppo il processo di individuazione prende maggiore impulso durante l’adolescenza periodo nel quale l’individuo prende coscienza di sé attraverso un processo di rielaborazione della propria storia passata e generazionale. E’ il periodo del trasgredire, dei forti contrasti emotivi e, come definito in un mio precedente scritto,  è il periodo in cui l’eroe si mette in viaggio per conquistare il proprio sé. Si tratta di un vero e proprio viaggio iniziatico in cui l’individuo deve valutare e cogliere le differenze tra origini e tradizioni al fine di rilanciare il patto generativo. Si tratta come scritto da Cigoli (2006) di “accettare e riconoscere ciò che padri e madri hanno lasciato in eredità e passare aldilà rilanciando l’azione generativa”. Affinché ciò avvenga i genitori devono fungere da guida senza per questo pianificare il futuro dei figli, ma semplicemente donargli gli strumenti necessari per poter affrontare le prove. In questo modo tra una generazione e l’altra si crea un debito positivo le cui qualità simboliche sono quelle della speranza fiducia nel legame e della giustizia nello scambio con l’altro  (Cigoli, 2006). Tocca alle generazioni precedenti, infatti, creare uno spazio fluido e di rinnovamento delle origini a quelle successive (ibidem).  Particolare importanza in questo processo assume la figura paterna secondo Kouht (1982) essa “ esercita un compito vivificante in  grado di favorire la nascita sociale dei figli non solo offrendo un’alternativa al rispecchiamento materno ma sostenendo, anche attraverso la frustrazione, un’organizzazione del pensiero e delle prove di realtà in quanto strumenti di separazione, distacco e autonomia” e per Andolfi (2010) “egli è il regista invisibile, meno coinvolto rispetto alla madre, più capace d’intervenire e di opporre la barriera del rifiuto, coltivando al tempo stesso il legame d’amore, indispensabile nel consentire lo svincolo adolescenziale attraverso il porre e garantire le regole”. Winnicott (1972) indica l’adolescenza come una “seconda nascita”  ovvero il  secondo grande momento di separazione alla ricerca di una propria identità in cui sono importanti i viaggi, nuovi percorsi di conoscenza, crescita e formazione, veri e propri riti di iniziazione che segnano in modo indelebile la vita del giovane. Nel ‘700 e nell’800 era usanza e tradizione europea mandare i propri figli in viaggio attraverso quello che veniva indicato come il Grand Tour alla scoperta delle proprie origini. Infatti, meta di questi grandi viaggi era l’Italia, come culla dell’umanesimo e del rinascimento, e, in particolare, Roma.

Le caratteristiche fondamentali del Grand Tour possono essere identificate nella pedagogia formativa, nella liminalità e nella commensalità.  Esso era formativo poiché l’itinerario era pensato per nutrire la memoria e lo spirito del giovane, per dar forma a quella sua spiritualità basata sui libri in modo da  renderla  viva, palpabile, concreta e plastica: “La  formazione  nel  Grand Tour  avviene,  riassumendo,  su  due  livelli:  nell’Immaginario  Culturale  (con  l’incontro col Passato e le sue Radici) e nella Pratica Sociale ( con le occasio-ni  di  conoscenza,  di  comparazione,  di  giudizio  sul  Mondo  Contemporaneo,  visto  proprio  nelle  sue  Diversità  locali  e  antropologiche,  oltre  che  politiche  e  di  costume).  Con  un  ulteriore  fattore  di  formazione:  quello  di  essere  (tale  viaggio)  un  processo  interiore  di  iniziazione  (di  iniziazione  alla  vita  adulta,  con tutte le occasioni di “prova” che include: sociali, sessuali, etc.)” (Cambi, op. cit).

Il Grand Tour come fase finale di svincolo dalla famiglia di origine, dal proprio habitat, volto alla conoscenza di nuovi luoghi e nuove realtà e all’affrontare nuove esperienze senza le comodità del proprio nido di origine, richiede una separazione, una fase di marginalità (il linimale) che comprende vari tipi di prove e la messa di nuove vesti. Vivere esperienze di liminalità vuol dire sospendere le modalità di pensiero e di azioni ordinarie in modo che si possa  insinuare qualcosa di nuovo (Cigoli, 2012).

Ne consegue che attraverso queste nuove esperienze il viaggiatore può rispondere ad una delle primarie esigenze dell’uomo ovvero la incorporazione. Ognuno di noi è inserito all’interno di una famiglia, di un ambiente sociale, di un gruppo,  di un paesaggio, di un ambiente naturale,  di una cultura. Sempre Cigoli (ibidem), a tal proposito, inserisce all’interno del viaggio il tema della commensalità  ovvero dell’incorporare  cibo e cultura che fanno appartenenza. Un’attenzione particolare in quest’ambito va alle fondamenta drammaturgiche insito all’interno di ogni viaggio ovvero all’utilizzo, rispetto agli ambienti a cui si va incontro, di nuove maschere ovvero alla capacità tipicamente umana di adattarsi continuamente ad ambienti diversi.

Il Grand tour svolgeva una funzione sociale importante, soprattutto, nella fase adolescenziale in cui si può presentare il rischio del disorientamento e della dispersione. Pensiamo per un attimo, facendo un salto storico, ai viaggi come fuga verso una libertà illimitata  descritti ad esempio da Kerouac nel famoso romanzo On The Road in cui l’autore da uno spaccato della ricerca spasmodica della Beat Generation di una meta in cui potersi riconoscere o dei viaggi immaginari legati all’utilizzo di sostanze stupefacenti.

Quest’ultimi viaggi riflettono proprio la rottura del patto generazionale nel quale la mancata conoscenza delle proprie origini espone gli adolescenti ad una mancata elaborazione e la trasgressione diventa l’unico mezzo con cui poter esprimere il proprio disagio.

Conclusioni

 Viaggiare è una modalità con cui rompere la quotidianità: andare in vacanza spesso viene vissuto come un momento di uscita dai ritmi e dallo stress di carattere lavorativo. Eppure come descritto in precedenza, il viaggio ha significati più profondi che la società post moderna e liquida, fondata sull’individualismo, sul consumo e sulla realtà virtuale, tende a non riconoscere. Però ancora oggi le mete più ambite restano le città d’arte e portatori di una cultura che ha origini lontane. Ciò a dimostrazione che la ricerca delle proprie origini è una esigenza dell’uomo il quale ha necessità,  per poter proiettare l’esperienza attuale nel futuro,  di confrontarsi con ciò che è stato tramandato e trasmesso dalle generazioni precedenti. L’esperienza umana è il frutto di un continuum che trova i suoi riferimenti, soprattutto, di ordine simbolico all’interno della sacralità delle antiche culture. Quindi un’esperienza che all’apparenza sembra di solo e semplice svago in effetti richiama vissuti che trovano  i loro riferimenti all’interno dei processi inter e trans generazionali.  Dipende da quest’ultime la scelta e il tipo di viaggio che intendiamo intraprendere. Viaggiare significa aprirsi all’ Alterità, al rischio dell’incontro con individui e mondi diversi che possono mettere in crisi le nostre certezze e sicurezze. Il viaggiare, infatti, implica una disponibilità a mettersi in gioco, ad affrontare l’ansia dell’imprevisto e dell’ignoto che ogni viaggio, anche quello più organizzato o vicino, comporta, ad abbandonare la sicurezza di ciò che è conquistato e garantito, fuori dal cerchio della città e della casa in cui si vive. Ulisse ha abbandonato Itaca alla ricerca di un mondo sconosciuto affrontando tutti i pericoli che man mano si presentavano davanti. L’esperienza di Ulisse ci insegna che è possibile uscire dal proprio oikos per aprirsi all’avventura, allo stare sull’ignoto tra ansia e sfida e scoperta,  al farsi vagabondo e osservatore,  nutrendosi delle diversità in modo da operare sintesi nuove, inquiete e personali, strutturando un nuovo sé.   A parere di Cambi (op. cit.) il perimetro antropologico del viaggio può essere compreso all’interno di 3 dimensioni:

  1. la cura sui: lo sviluppare se stessi, il dilatarsi, il farsi crescere in modo spontaneo  e maturo e aperto. Ma forma anche al nuovo, al diverso, al valore stesso dell’alterità;
  2. il fruire:  il  lasciarsi  immergere nell’altro-da-sé per coglierne la tipicità, la qualità, la ricchezza;
  3. lo stare di fronte a…per godere di quell’evento che si dà come spettacolo o come azione, etc., ma per il quale noi entriamo più in noi stessi e viviamo un’estasi complessa e intima e, appunto, che nutre e esalta.

Tutto ciò è possibile solo nella misura in cui sul piano intergenerazionale si sono sperimentate forme di stimolo all’autonomia da parte dei genitori e su quello intra generazionale da tutto ciò che proviene dalle generazioni precedenti. Mettersi in  viaggio non è così semplice perché si devono fare i conti anche con emozioni negative che possono bloccare portando a veri e propri crisi d’ansia se non ad attacchi panico e/o a vissuti di tipo fobico. Nel viaggio, infatti, dobbiamo recuperare lo stupore infantile che permette di guardare il mondo circostante con occhi nuovi avendo la disponibilità a mettere in gioco il proprio sé.  Già Il giorno della partenza può comportare vissuti di abbandono, di perdita, sentimenti di colpa verso ciò che si lascia (luoghi, persone care, ecc.). Queste sensazioni spiacevoli possono essere contenute dalla scelta rassicurante di un viaggio organizzato, con amici fidati, ciò che può ridurre l’ansia collegata ad esempio il percorso in aereo o in mare. Se tuttavia l’individuo non ha costruito adeguatamente il proprio Sé, non ha raggiunto un’identità stabile, non può ricercare il sostegno in programmi turistici attraenti o nei compagni di viaggio. Se è vero, infatti, che il viaggio può avere valenze terapeutiche, non può, da solo, funzionare come una cura.

Prof. Mariano Indelicato, Presidente PSP-Italia