A cura della Dott.ssa Vera Cantavenera, Psicologa Clinica, Coordinatrice PSP-Italia, Agrigento
«Ricordatevi di guardare le stelle, e non i vostri piedi. Per quanto difficile possa essere la vita, c’è sempre qualcosa che è possibile fare, e in cui si può riuscire». Stephen Hawking
Le malattie degenerative sono un complesso di patologie caratterizzate da un’irreversibile e progressiva perdita di cellule neuronali in determinate aree del cervello. Esse causano la distruzione delle cellule che controllano i sistemi motori, provocando disfunzioni nell’equilibrio, nel movimento, nel linguaggio, nella respirazione, ecc.
Purtroppo le malattie degenerative possono essere piuttosto gravi e, a seconda del tipo, mettere a rischio la vita del paziente. Per molte di queste malattie di fatto non esiste una cura, ma esistono trattamenti che hanno come obiettivo quello di migliorare i sintomi, incrementare la mobilità ed alleviare il dolore.
Tra le più note e diffuse malattie degenerative appartenenti alla categoria delle demenze ricordiamo: l’ Alzheimer e il Morbo di Parkinson. Ma ve ne sono tante altre, come l’endocardiosi, l’insufficienza renale, la labirintosi, l’artrosi, la coxoartrosi, la malattia di Huntington e fra queste anche le cosiddette malattie degenerative rare, come ad esempio: la sindrome di Ehlers-Danlos, la progeria, la sindrome di Morgellons, il vaiolo, la distrofia muscolare di Duchenne, la palatoschisi, l’emofilia, la lebbra (o morbo di Hansen), la fibrodisplasia ossificante progressiva, l’osteogenesi imperfetta, il tumore alla lingua, la neurofibromatosi, la legionellosi, la sindrome di Angelman, la trisomia 13 (o sindrome di Patau), l’angioite allergica (o granulomatosi eosinofila con poliangioite), la malattia di Niemann Pick e la sclerosi laterale amiotrofica (o SLA).
Tutte le malattie degenerative possono essere di natura:
– genetica: la causa è un’alterazione nella sequenza del DNA che causa la demenza e che può essere trasmessa alle generazioni successive;
– sporadica: la demenza non è riconducibile ad una specifica alterazione del DNA e, quindi, non è trasmissibile.
Tuttavia, dato che le patologie rientranti nel gruppo delle malattie degenerative sono diverse, per molte di esse, le cause di insorgenza sono ancora poco chiare.
Di fatto, si ritiene che nello sviluppo delle malattie degenerative vi sia il coinvolgimento di più fattori, che concorrono l’uno con l’altro nel dare origine alla patologia. Fra questi fattori spiccano certamente, come menzionato in precedenza, quelli di origine genetica ed ereditaria, ma anche quelli di tipo ambientale.
Le malattie degenerative possono manifestarsi in diverse modalità, a seconda dell’area del cervello interessata dalla perdita neuronale e a seconda del tipo di neuroni che vengono colpiti. Tuttavia, generalmente, tutte queste patologie presentano tre punti in comune:
– esordio subdolo e insidioso, poiché nella maggior parte dei casi l’inizio della malattia è asintomatico e i sintomi si manifestano solo in seguito, quando il danno neuronale è piuttosto esteso;
– progressione irreversibile, poiché purtroppo, ancora oggi, non esistono cure in grado di arrestare definitivamente le malattie neurodegenerative;
– trattamento puramente sintomatico.
È possibile asserire che la maggioranza delle malattie degenerative hanno sintomi similari fra loro, riconoscibili che causano:
– problemi nel controllo dei movimenti: tremori a riposo, rigidità muscolare, lentezza all’inizio e durante l’esecuzione di un movimento, alterazione dei riflessi posturali e dell’equilibrio o blocco della deambulazione;
– problemi mentali cognitivi (demenza): deterioramento della memoria fino all’amnesia, deficit di pensiero e giudizio, disorientamento, deficit delle capacità intellettive, deficit linguistico, ecc.;
– altri sintomi secondari: insonnia, disturbi della comunicazione, disturbi alimentari, problemi urinari, difficoltà di deglutizione, depressione, angoscia, ecc.
Come precedentemente anticipato, le malattie degenerative sono delle patologie che non possono essere curate e che sono destinate a peggiorare nel tempo. Il processo diagnostico non è dunque semplice, e di solito dura a lungo in quanto i sintomi sono difficili da analizzare nelle prime fasi della malattia, specie se si tratta di una malattia degenerativa rara. In questi casi la persona deve affrontare una sfida molto più difficile in quanto, non solo deve prendere consapevolezza del fatto che dovrà convivere con tale malattia per tutta la vita, ma spesso deve aspettare diversi anni prima di ricevere una corretta diagnosi e conseguentemente l’esatta cura farmacologica.
Avere una malattia degenerativa genetica rara fa sentire, i pazienti e chi gli sta accanto, soli; anche se si sta in mezzo a tanta gente. Di fatto, proprio perché le cause d’insorgenza di queste malattie sono spesso sconosciute, ne vengono sottovalutati i sintomi o la gravità stessa della malattia che delle volte, come ad esempio per la SLA, può avere un esito fatale in un arco di tempo oscillante tra i 3 e i 5 anni.
Essendo la SLA una malattia neurodegenerativa caratterizzata dal progressivo deterioramento dei motoneuroni del sistema nervoso centrale, e poiché da essi dipendono facoltà come respirare, deglutire, camminare, parlare, impugnare gli oggetti ecc., è una condizione fortemente debilitante per chi ne è affetto. La SLA, infatti, costringe chi colpisce alla sedia a rotella, a respirare tramite un supporto per la ventilazione meccanica, a nutrirsi tramite sondino ecc.
Come la SLA, tante altre malattie degenerative debilitano e limitano di molto la qualità di vita di chi ne è affetto, conducendo progressivamente gli ammalati a morte certa e delle delle volte anche indotta. Tanto che, molto sovente, alcune persone affette da malattie degenerative, possono diventare gravemente depresse e tentare il suicidio.
Ad esempio chi è affetto da Malattia di Huntington, che inizia con spasmi o scatti occasionali involontari e in seguito progredisce a movimenti involontari più pronunciati (corea e atetosi), deterioramento mentale e decesso, può spesso decidere, alle volte consapevolmente altre senza rendersi conto, di togliersi la vita.
All’inizio, le persone possono camuffare i movimenti involontari anormali con movimenti volontari, in modo da non far notare quelli anormali. Tuttavia, con il tempo questi diventano più ovvi. I muscoli possono contrarsi brevemente e rapidamente, provocando improvvisi spasmi delle braccia o di altre parti del corpo, talvolta varie volte di seguito. Le persone possono camminare in modo ritmato o esageratamente spavaldo, come burattini. Possono fare smorfie, muovere gli arti a scatti e ammiccare più spesso. I movimenti diventano scoordinati e lenti. Alla fine viene colpito tutto il corpo, rendendo estremamente difficile camminare, stare seduti, mangiare, parlare, deglutire e vestirsi. Si manifestano frequentemente cambiamenti mentali prima o quando si sviluppano i movimenti anormali. Questi cambiamenti sono inizialmente impercettibili. Le persone possono diventare gradualmente irritabili, eccitabili e agitate. Possono perdere interesse nelle attività normali. Possono non essere in grado di controllare gli impulsi, perdendo la pazienza, avendo attacchi di sconforto, oppure diventando promiscue.
Con il progredire della malattia di Huntington, possono comportarsi in modo irresponsabile e spesso vagare senza meta. Con gli anni, perdono la memoria e la capacità di pensare in modo razionale. Possono anche diventare ansiosi o sviluppare un disturbo ossessivo-compulsivo. Nello stadio avanzato, la demenza è grave e le persone sono confinate a letto. È necessaria un’assistenza a tempo pieno o cure infermieristiche a domicilio. La morte sopravviene 13-15 anni dopo l’insorgenza dei sintomi, ma in molti casi come accennato prima i pazienti possono decidere di togliersi la vita prima di raggiungere il culmine della malattia.
I pazienti cui viene diagnosticata una malattia degenerativa sono accomunati dallo stesso sentire emotivo: vivono sentimenti di rabbia che si contrappongono a sensi di colpa per l’impotenza nell’agire, e frustrazioni nel vedersi morire lentamente ed essere un fardello per i propri cari; tant’è che spesso questi ammalati sono portati a commettere l’atto del suicidio per porre fine a una sofferenza divenuta insopportabile.
In queste situazioni è importante non lasciare mai il paziente da solo, ascoltarlo, oltre che accudirlo, e cercare aiuto.
Nei casi di malattie degenerative, dunque, l’intervento psicologico diviene fondamentale; non solo per il paziente ma anche e soprattutto per i familiari o chi lo assiste.
Il coinvolgimento dei familiari nel processo di cura psicologica è infatti indispensabile; essi possono essere aiutati a trovare il coraggio e la forza necessari per sostenere il familiare malato, seguendolo nelle sue necessità e rispondendo in maniera adeguata ai suoi bisogni.
Ad esempio nella malattia di Niemann Pick (A, B, C), anch’essa una rara malattia genetica degenerativa che crea gravi disagi ai pazienti che spesso necessitano di assistenza H24 e comporta sintomi quali epatosplenomegalia, disordini del movimento e della deglutizione, psicosi organica e disartria, i familiari hanno bisogno di confrontarsi tra le famiglie per comprendere meglio nelle sue forme come intervenire per ottemperare ai sintomi che colpiscono i loro cari.
La famiglia ha bisogno d’esser fortemente sostenuta poiché la malattia essendo molto invalidante comporta uno sforzo enorme in termini di energie e di emotività. La diagnostica è complicata da una non specificità dei sintomi, dal fatto che colpisce a qualsiasi età e che, inoltre, le manifestazioni cambiano da paziente a paziente. Per tali ragioni è necessario favorire il confronto ed il sostegno tra le famiglie dei pazienti.
Allo stato attuale non vi è alcuna cura per la stragrande maggioranza di queste malattie.
A seconda dei singoli casi è possibile utilizzare trattamenti farmacologici che mirano a rallentare la progressione delle malattie neurodegenerative, ad alleviarne i sintomi e i dolori, ad allungare l’autonomia e la funzionalità del paziente.
Il paziente potrebbe avere anche bisogno di ausili esterni per la vita di tutti i giorni, come pittogrammi, agende, ausili visivi o sistemi di spostamento.
In tutte queste situazioni l’equipe del Pronto Soccorso Psicologico-Italia, lavorando in un ottica di multidisciplinaritá, mira a promuovere un’informazione sistematica su tutti gli aspetti di queste malattie degenerative genetiche e rare per garantire l’integrazione dei diversi trattamenti come ad edempio: l’impiego della riabilitazione neuropsicologica, della fisioterapia, della logoterapia e della terapia occupazionale.
I professionisti del PSPI favoriscono l’utilizzo di interventi psicoeducativi costruiti ad hoc per il paziente e per chi lo circonda, al fine di far conoscere il trattamento della malattia e le sue conseguenze, poiché la diagnosi rappresenta un vero e duro colpo per i pazienti e non solo. Di fatto, generalmente la diagnosi di una patologia deenerativa comporta nel paziente la nascita in sé di emozioni contrastanti: rabbia, paura e tristezza pervadono l’animo di chi scopre d’esser affetto da tali patologie, tali per cui è importante che il paziente impari a metabolizzare innazitutto la paura e in seguito a gestire la stessa e tutti gli altri stati emotivi che generano ansia e depressione.
I professionisti del Pronto Soccorso Psicologico-Italia possono intervenire attraverso la psicoterapia a supporto e sostegno di tali soggetti, insegnando loro tecniche di gestione dell’emotività, a prevenzione dell’ansia e della depressione, scongiurando la creazione e l’innesto di pensieri negativi che potrebbero condurli al suicidio. Piuttosto, l’intervento mira a ridurre il livello di incertezza, facilitando i meccanismi di accettazione della malattia e le strategie di adattamento ad essa, facendo leva su risorse interiori spesso sconosciute ed inaspettate.
Poiché spesso quando viene comunicata una diagnosi di malattia degenerativa e rara si crea nel soggetto un conflitto tra la personalità e l’anima. Molte volte, il raffreddore “cola” quando il corpo non piange. Il dolore di gola “tampona” quando non è possibilecomunicare le afflizioni. Lo stomaco “arde” quando le rabbie non riescono ad uscire. Il diabete “invade” quando la solitudine duole. Il corpo “ingrassa” quando l’insoddisfazione stringe. Il mal di testa “deprime” quando i dubbi aumentano. Il cuore “allenta” quando il senso della vita sembra finire. Il petto “stringe” quando l’orgoglio schiavizza. La pressione “sale” quando la paura imprigiona. La nevrosi “paralizza” quando il bambino interno tiranneggia. La febbre “scalda” quando le difese sfruttano le frontiere dell’immunità. Le ginocchia “dolgono” quando il tuo orgoglio non si piega. Il cancro “ammazza” quando ti stanchi di vivere. Allora, il compito principale del professionista che assiste il paziente diviene quello di fargli comprendere che non è cattiva la malattia ma che si sta sbagliando il cammino per fronteggiarla.
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