La Donna e il Sacro

A cura del Prof. Mariano Indelicato, Presidente Pronto Soccorso Psicologico-Italia

Donna e Sacro

Nel ventre tuo si raccese l’amore, Per lo cui caldo nell’ eterna pace Così è germinato questo fiore
(Dante Alighieri)

 

La psicologia per tanto tempo, per molto tempo si è tenuta lontana dalla religione forse ritenendo che , come descritto da Freud nell’Avvenire di un’illusione (1927), essa fosse appunto una vera e propria illusione utile semplicemente a riparare l’umanità dalla forze naturali che  l’uomo avverte come superiori alle sua capacità di combatterle.  Al contrario, Jung postula una “funzione religiosa dell’inconscio” e attribuisce alla religione una potenza “numinosa” cui non ci si può sottrarre: nemmeno l’ateo è in grado di eludere il confronto con la religione, in quanto egli impiega gran parte delle sue energie coscienti nell’assunzione di una condotta evitante nei confronti di determinate costellazioni inconsce. Forse all’affermazione di Jung andrebbe aggiunto che non possiamo non confrontarci con la religione in quanto essa è incorporata all’interno della cultura con i suoi simboli e miti.

Essa non è un’illusione anche quando lo fosse  poiché non esiste una realtà oggettiva ma solo quella percepita per cui essa è reale per l’individuo che la vive. Da queste premesse, convincono le argomentazioni di Jung il quale sostiene che l’archetipo in sé e le sue cospicue rappresentazioni simboliche sono aspetti centrali per comprendere la psicologia del profondo e si è più volte occupato dell’archetipo della madre in generale, e, da cristiano protestante, non ha mai nascosto la propria ammirazione per la fisionomia archetipica di Maria, dedicandole pagine di eccezionale densità psicologica.

Secondo Jung gli archetipi formano l’inconscio collettivo ed entrano in funzione “tutte le volte in cui non sussistono ancora concetti coscienti, o essi, per motivi interni o esterni, non sono possibili. I contenuti dell’inconscio collettivo sono rappresentati nella coscienza sotto forma di tendenze e concezioni esplicite”.

La caratteristica fondamentale dell’archetipo è la numinosità, ossia la carica energetica ed emotiva che si trasferisce-ripercuote sulla coscienza ogni volta che un’immagine archetipica vi emerge.  Attraverso quest’ultimo processo l’archetipo, scrive Jung, è “quod semper, quod ubique, quod ab omnibus creditur (ciò che sempre dovunque, da tutti è creduto) e, inoltre, affascina e insieme atterrisce e soggioga la coscienza esprimendosi per via simbolica tanto nei sogni, quanto nei miti, nelle favole, nei simboli dell’umanità primitiva.  

Non vi è dubbio che Maria, nel giorno  dell’Immacolata Concezione,  costituisca un mito, un simbolo archetipico che ha attraversato la cultura giudaico-cristiana e la storia dell’umanità i cui riflessi nei comportamenti individuali e sociali sono ben visibili. Con la proclamazione del dogma dell’Immacolata , Maria diventa l’immagine speculare del serpente (che non per niente viene rappresentato ai suoi piedi e da quest’ultimi schiacciato) in quanto, al contrario di Eva, non si fa sedurre da esso. Nell’apocalisse, infatti, si dice che a San Giovanni apparve una donna avvolta dalla luce con la luna sotto i piedi e una corona di 12 stelle che urla nei dolori del parto, mentre di fronte a lei si para un drago che vuole portarle via il nascituro. E’ con il drago schiacciato sotto i suoi piedi che viene rappresentata dalle iconografie dal XII al XVII secolo.  

Ella è Immacolata in quanto non contaminata dal sangue impuro vaginale conseguenza della rottura dell’imene. In molti dipinti del 1600 viene rappresentata in cielo vestita di bianco come simbolo di bellezza e di purezza.  In sostanza questa Donna, scelta da Dio tra le figure meno popolari del tempo per concepire suo figlio,  è sacra cosi come il suo corpo.  

Infatti, oltre, al dogma dell’Immacolata nel secolo appena trascorso è stato proclamato il dogma dell’Assunzione grazie al quale , recependo un teologema antico, si sancisce solennemente che Maria, Madre di Cristo, è stata accolta in cielo con il suo corpo sancendo definitivamente la sacralità del corpo femminile in quanto contenitore del grande vaso generatore della vita. Si può parlare di Maria come Archetipo Materno vero e proprio grazie all’Assunzione: l’assunzione di Maria significa che la sua anima è stata subito accolta insieme al corpo. La sua autonomia e indipendenza dall’umano è stata invece rimarcata dalla sua verginità, grazie alla quale è potuta diventare vera mediatrice tra l’uomo e Dio, che intercede per noi.  

E’ l’archetipo della madre, della “grande madre” di cui parla Neumann, che si incarna in Maria. Esso non  tratta della madre personale, individuale (che rappresenta una delle molteplici forme dell’archetipo), ma della Madre collettiva, condivisa dall’umanità intera. Le immagini simboliche che orbitano attorno a questo archetipo sono le tante “dee e fate, demoni e ninfe, fantasmi e mostri, nei costumi, nei riti, nei miti, nelle religioni, e nelle fiabe”, che irradiano da un unico polo comprensivo: la Grande Madre. Dunque un’unione che, come ogni unificazione archetipica, fonde entro sé tutta la gamma di aspetti affini, dal più ‘positivo’ al più ‘negativo’.

Maria è la “Grande Madre” dell’umanità. Il simbolo del vaso è particolarmente emblematico, poiché rappresenta sia il ventre di Maria che accoglie e genera Cristo, sia il femminile in generale, la donna che è vaso della vita stessa. Rinvia alle nozioni di contenimento e di protezione. Neumann introduce, a tal proposito lo schema “vaso-corpo”, in quanto tutte le funzioni vitali si svolgono entro questo binomio simbolico: “Tutte le aperture del corpo, occhi, orecchie, naso, bocca, ombelico, ano, zona genitale, così come l’epidermide, sono luoghi di scambio tra l’interno e l’esterno che per l’uomo primitivo posseggono una tonalità numinosa”. La corporeità come vaso è la realtà dell’individuo. Proprio il femminile, la donna, è il vaso per eccellenza: contenitore della vita stessa. Il vaso, inoltre, secondo Jung, assume grande rilevanza simbolica all’interno della chiesa tant’è che definisce il fonte battesimale come “uterus Ecclesiae” poiché attraverso l’immersione nell’acqua si rinasce a nuova vita. Inoltre, l’acqua da sempre è simbolo archetipico della “grande madre”. Il significato materno dell’acqua è una delle interpretazioni simboliche più perspicue e costanti della mitologia. Cristo ricevette la rinascita nel Giordano, da cui proviene tutto il simbolismo dell’acqua battesimale nella Chiesa: durante la celebrazione del Sabato Santo, con un rito tuttora diffuso, si immerge nell’acqua una candela accesa (simbolo palesemente fallico) come se dovesse fecondare l’acqua e partorire di nuovo il battezzando. L’immersione nell’acqua rappresenta simbolicamente il ritorno all’utero della Madre. Nell’analogia tra acqua e grande madre il corpo della donna assume il valore della sacralità. A tal proposito, Jung mette in relazione Dio con la grande madre: come Dio è luce archetipica, dunque l’immagine primordiale di ogni luce, preesistente e superiore a ogni fenomeno luminoso, così la Grande Madre è acqua, dunque esiste un’immagine primordiale dell’acqua, preesistente e superiore a ogni fenomeno acquatico.

Inoltre, nel saggio d’interpretazione psicologica del dogma della Trinità, Jung si sofferma attentamente sul legame dello Spirito Santo con il femminile e con Maria: “Come Cristo ha assunto la natura dell’uomo corporeo, così lo Spirito Santo include inavvertitamente l’uomo, come potenza spirituale, nel mistero trinitario, sollevando la Trinità stessa molto al di sopra della pura naturalità della triade”. In tal modo egli riprende l’interpretazione gnostica in cui la Trinità è intrisa di divino-umanità in quanto la figura di Maria, vaso dal quale fu generato Cristo e in vista della cui generazione fu co-generata prima di tutti i secoli, non può non essere parte essenziale del dogma. Lo Spirito Santo feconda vascolarmente il vaso che, accogliendo il farsi carne di Dio diventa sacro.

Dato come ci rivela Jung che Maria è sacra ed è frutto del sacro, la sua analisi resta fortemente vincolata alla visione del femminile come generatore di vita e, quindi, come madre. Eppure Maria non era solo e semplicemente madre ma anche donna. Non è un caso che Gesù più volte nei vangeli si rivolge a Maria con l’appellativo di donna. La prima volta durante le nozze di Cana in cui di fronte alle forti insistenze della mamma affinché intervenisse per la mancanza di vino risponde con nominandola donna. L’ultima volta sulla croce nel momento in cui affida Giovanni a Maria: “Donna ecco tuo figlio”. 

La parola, il nome, il logos nell’ambito del cristianesimo esprimono delle verità ed hanno valore di significante per i comportamenti. Attraverso l’appellativo di donna , Gesù ri-umanizza Maria senza per questo venire meno al valore della sacralità della figura. La sua affermazione indica, semmai, che il femminile non esprime semplicemente maternità ma rivendica il suo essere donna senza per questo perdere la sacralità.

Il Pronto Soccorso Psicologico Italia attraverso la sua ricerca culturale e scientifica tende a valorizzare il genere femminile nei suoi molteplici aspetti ipotizzando che la sua valorizzazione passi attraverso la ricerca dei miti e dei simboli che lo sostengono in modo da costruire solide basi contestuali e nel contempo spingere verso la valorizzazione della Donna.    

Prof. Mariano Indelicato, Presidente PSP-Italia