La presenza è sempre al di là dell’assenza

A cura del Prof. Mariano Indelicato, Presidente Pronto Soccorso Psicologico-Italia

commemorazione defunti

“E ricordati, io ci sarò. Ci sarò, su nell’aria. Allora ogni tanto, se mi vuoi parlare, mettiti da una parte, chiudi gli occhi e cercami. Ci si parla. Ma non nel linguaggio delle parole. Nel silenzio.”

Tiziano Terzani a sua figlia Saskia

Il culto dei morti e della commemorazione dei defunti ha accompagnato la storia dell’uomo. Già dal paleolitico i defunti venivano sepolti con la faccia orientata ad oriente, che rappresentava il simbolo della rinascita,  in posizione fetale e accanto alla salma, particolarmente curata per preservarla dagli animali e dalle ingiurie del tempo, venivano depositati cibi e bevande.   Nella cultura egizia i morti venivano imbalsamati e sepolti all’interno delle necropoli o piramidi e dentro la tomba si deponevano tutte gli oggetti che gli erano appartenuti in vita (mobili, indumenti, gioielli, modelli delle barche e delle case, etc.) nella convinzione che gli sarebbero serviti nel lungo viaggio che li avrebbe condotti nella sala del tribunale di Osiride dove venivano giudicati meritevoli di entrare nel paradiso o, al contrario, lasciati in pasto a delle belve feroci. E’ interessante notare che nella tomba, insieme a tutti gli altri oggetti, veniva deposto anche il “libro dei morti”, una sorta di guida del lungo viaggio che dovevano compiere. Nella Grecia antica il corpo, una volta lasciato da psyche (l’immagine allo specchio della stessa persona), veniva cremato e le ceneri sepolte con un segno identificato sopra.  Le prime commemorazioni dei defunti di cui si è a conoscenza avvenivano in Grecia subito dopo la morte ovvero il terzo, il nono e il trentaseiesimo giorno e successivamente durante le “genesia” (il ricordo degli antenati) nel mese di settembre nelle quali si adornavano le tombe, si portavano offerte, si mangiavano cibi speciali e si parlava del fatto che i defunti salivano dall’oltretomba e giravano attorno alla città.

Erano ben nove i giorni (13 – 21 febbraio) che i Romani dedicavano alla commemorazione dei defunti. L’inizio era segnato dalla festività dei Parentalia, strettamente legata all’ambito della famiglia, durante i quali si svolgevano dei banchetti in onore dei parenti defunti (parentes), mentre la conclusione coincideva con i Feralia, occasione in cui era usanza portare (in latino fero, da cui il nome della festività) offerte ai defunti, consistenti soprattutto in vino, latte, miele e pane, segno di un’origine del rito riconducibile al mondo agricolo.  Lo scopo, oltre a quello del ricordo dei defunti, era anche quello di placare gli spiriti e mantenere l’equilibrio tra il mondo terreno e l’oltretomba, con l’aiuto di divinità denominate Mani (spiriti di defunti).  La commemorazione dei defunti a Roma, comunque, si svolgeva giornalmente attraverso il rito dei lari e dei penati. Tutte le case romane, infatti, all’ingresso avevano una edicola dedicata ai parenti defunti di cui si occupava il capofamiglia offrendo loro ad ogni pasto il cibo, in particolare, il sale, che purifica e conserva, e il farro primo cereale coltivato dai romani. L’offerta chiaramente era di natura simbolica e richiamava le origini ( il farro) e la conservazione della discendenza (il sale). Con questo gesto i romani sembrano indicare che la vita è un beneficio che  va custodito e conservato lungo l’arco delle generazioni.

Infatti, in tutte le civiltà il culto e la commemorazione dei defunti non serve altro che a legare tra di loro vivi e morti e a indicare che sono le generazioni precedenti a trasmettere la vita, che noi siamo figli di una lunga storia che lega tra di loro le generazioni. I tipici riti di culto e commemorazione non fanno altro che inserire la storia umana all’interno del sacro ovvero di proiettare la vita all’interno di un tempo senza tempo. La morte non è la fine ma solo e semplicemente il momento del trapasso da una condizione ad un’altra: muore il corpo ma lo spirito resta vivo. In particolare la morte ravviva e rende eterno il legame e l’amore. Sartre in proposito scrive: “Essendo morta la sua vita, solo la memoria dell’altro può impedire che si avvizzisca tagliando tutti i suoi ormeggi col presente. La caratteristica di una vita morta è di essere una vita di cui l’altro diventa il guardiano”. Si diventa guardiani dell’amore secondo Galimberti . Infatti, analizzando l’angoscia di morte, sostiene che quest’ultima  “non riguarda propriamente la morte, ma la perdita degli amori di cui si è nutrita la sua vita …… proprio perché la morte è così incatenata, intrecciata e inanellata all’amore, questo non si estingue con la morte della persona amata”. La morte rinnova il legame in quanto lo rende trasmissibile come afferma E. Severino “La presenza è sempre, e non coincide con l’apparire e lo sparire”. Anzi la morte, essendo un tempo indefinito rispetto alla vita, permettendo la trasmissibilità e l’eredità, rende il legame eterno. Sempre Galimberti arriva a sostenere che “Non è la morte a estinguere l’amore, ma la nostra rimozione che vuol dimenticare tutto ciò che quell’amore in noi ha generato, affidandosi a quel malfamato luogo comune, secondo il quale il tempo porta rimedio. Nel tempo c’è solo infedeltà. Solo nell’amore c’è eternità”. Foscolo, nei “Sepolcri”, sostiene che soltanto il sentimento, la “corrispondenza d’amori sensi”, sia in grado di garantire all’uomo l’immortalità, attraverso il ricordo dei suoi simili. Ancora una volta la morte tramite la generatività rinnova e rafforza il legame.

I terapeuti che si occupano di elaborazione del lutto conoscono bene la forza del legame, sia in senso positivo che negativo, che lega i vivi con i morti e la grande forza di questo tipo di legame che sembra inscindibile e non rielaborabile.  Freud nel tentativo di consolare l’amico Binswanger per la perdita del figlio maggiore scrive: “E’ noto che il cordoglio acuto dopo una tale perdita passerà, ma si resta inconsolabili, non si troverà mai un compenso. Tutto ciò che può subentrare, anche se riempisse il posto rimasto vuoto, resta qualcosa di diverso. E, a dire il vero, è giusto che sia così. E’ l’unico modo per proseguire nell’amore da cui non si vuol desistere”.  Il posto vuoto trova spazio, così come riportato da Cigoli, anche nella rappresentazione pittorica della famiglia. Nel ritratto di famiglia di Wybrand Hendrik – Jacob Freitama e Elisabeth de Haan – davanti alla coppia c’è una sedia in cui sono deposti dei fiori. E’ la sedia vuota della figlia che, “rifiutando il contratto matrimoniale previsto dalla famiglia e degno del suo rango”, decide di sposarsi con un ufficiale della marina inglese. Sempre Cigoli analizza un’altra opera, esposta allo Staatliche Museen di Berlino, George Clive e la Famiglia con Serva Indiana di Joshua Reynoldys, in cui il tema del lutto generazionale è rappresentato nello sguardo del capofamiglia che guarda al di là della rappresentazione della famiglia. Il suo sguardo sembra ricercare nel vuoto la figlia morta. 

Il Legame tra vivi e morti è talmente forte che in Sicilia la notte della commemorazione dei defunti quest’ultimi portavano regali ai bambini come emblematicamente descritto da A. Cammilleri: “Noi nicareddri, prima di andarci a coricare, mettevamo sotto il letto un cesto di vimini che nottetempo i cari morti avrebbero riempito di dolci e di regali che avremmo trovato il 2 mattina… Dopo un sonno agitato ci svegliavamo all’alba per andare alla cerca…Mai più riproverò il batticuore della trovatura quando sopra un armadio o darrè una porta scoprivo il cesto stracolmo… I dolci erano quelli rituali, detti “dei morti”: marzapane modellato e dipinto da sembrare frutta, “rami di meli” fatti di farina e miele e altre delizie come viscotti regina…

A un certo momento della matinata, pettinati e col vestito in ordine, andavamo con la famiglia al camposanto a salutare e a ringraziare i morti. Per noi picciliddri era una festa, sciamavamo lungo i viottoli per incontrarci con gli amici, i compagni di scuola: «Che ti portarono quest’anno i morti?».

Poi, lentamente, anno appresso anno, i morti persero la strada che li portava nelle case dove li aspettavano, felici e svegli fino allo spàsimo, i figli o i figli dei figli.”

Il rinnovo del legame attraverso i regali dei defunti indica che la presenza è sempre al di là dell’assenza: nessuno muore nel ricordo degli altri. De Martino (1958) nell’analizzare il concetto di presenza introduce il senso di spaesamento attraverso il quale le persone temono di perdere i propri riferimenti domestici. Di fronte ad una crisi dovuta a morte o malattia, essi sperimentano il senso d’incertezza e non appartenenza a una storia comune che li porta all’incapacità di decidere e di agire. Per rispondere a queste sensazioni gli uomini hanno bisogno di de-storificare il negativo collegandosi ai miti, che diventano indici di senso in grado di sostituire la non presenza, attraverso i rituali .  De Martino, da un esempio dello “spaesamento” negli studi sull’elaborazione del lutto osservando e analizzando il rito del pianto in Lucania, facendo riferimento a quanto sostenuto in “Morte e pianto rituale. Dal lamento funebre antico al pianto di Maria”. Di fronte alla morte di un familiare, vi è l’esigenza di rielaborare il lutto all’interno di un contesto mitico e simbolico che, vissuto in senso religioso, collega la scomparsa con la morte e la resurrezione di Cristo. Amalia Signorelli, antropologa e collaboratrice di De Martino della spedizione nel Salento, scrive “Il dato esistenziale che ha scatenato la crisi (morte, malattia, paura e altro ancora) viene mentalmente astratto dal contesto storico per entro il quale è stato esperito e viene ricondotto a un tempo e a una vicenda mitici“.

La resurrezione comporta il passaggio da un tempo finito – la vita – all’eternità che come sostenuto da Sant’Agostino rappresenta un continuum ovvero un presente senza fine che, quindi, come tempo non esiste. Il passaggio dalla vita alla morte comporta il trasformare il vissuto del legame all’interno di un tempo limitato come quello della vita, a uno che, invece, vivrà all’interno di un tempo senza tempo (l’eternità).

I professionisti del Pronto Soccorso Psicologico Italia sono pronti ad accogliere e rielaborare il lutto dei pazienti inserendolo all’interno del contesto esistenziale e generazionale dei pazienti consapevoli che solo inserire i vissuti all’interno di nuovi contesti serva ad alleviare l’angoscia della perdita. Ognuno è l’artefice della vita e della morte dell’altro: nessuno muore nel legame profondo che lega ognuno di noi all’interno di una catena senza fine.

Prof. Mariano Indelicato, Presidente PSP-Italia