A cura del Prof. Mariano Indelicato, Presidente Pronto Soccorso Psicologico
Abstract
Loneliness is often described as a condition characterized by boredom, sadness, melancholy and depression. Furthermore, it is considered a typical manifestation of old age. Lonely older adults affected by loneliness constitute an economic cost in terms of social and health care for the entire community. The research conducted tends to reduce the problem by arguing that only a tiny part of the elderly population lives in conditions of solitude. In this field, we must distinguish between suffered and sought-after solitude or positive and negative solitude. Anglo-Saxon terminology perfectly defines the previous distinction, differentiating aloneness, loneliness and solitude. Loneliness identifies the loneliness suffered by solitude, which marks the positive one. Starting from these definitions, this article analyzes the literature around loneliness by referring to the two life cycle phases in which it predominantly occurs: adolescence and old age.
Riassunto
La solitudine viene spesso descritta come una condizione caratterizzata da noia, tristezza, melanconia e depressione. Inoltre, viene considerata una manifestazione tipica della terza età. Gli anziani soli colpiti dalla solitudine costituiscono un costo economico in termini di assistenza socio-sanitaria per l’intera comunità. Le ricerche condotte tendono a ridimensionare il problema sostenendo che solo una piccola parte della popolazione anziana vive in condizioni di solitudine. In questo campo bisogna anche distinguere da solitudine subita e cercata ovvero da solitudine positiva e negativa. La distinzione precedente è perfettamente definita dalla terminologia anglosassone che differenzia aloneness, loneliness e solitude. Loneliness identifica la solitudine subita da solitude che contrassegna quella positiva. Il presente articolo, partendo da queste definizioni, analizza la letteratura attorno alla solitudine facendo riferimento alle due fasi di ciclo di vita in cui si presenta in maniera predominante: l’adolescenza e la terza età.
Introduzione
Le immagini che abbiamo visto in televisione dell’anziana signora che vivendo da sola chiama la polizia per avere un po’ di compagnia il giorno di capodanno non sono infrequenti e richiamano uno dei grandi problemi che affligge la nostra società: la solitudine. In quanto specie sociale, gli esseri umani fanno affidamento su un ambiente sociale sicuro per sopravvivere e prosperare. La percezione dell’isolamento sociale, o della solitudine, aumenta la vigilanza nei confronti delle minacce e accresce i sentimenti di vulnerabilità, aumentando allo stesso tempo il desiderio di riconnettersi. L’ipervigilanza implicita per la minaccia sociale altera i processi psicologici che influenzano il funzionamento fisiologico, riducono la qualità del sonno e aumentano la morbilità e la mortalità (Hawkley e Cacciopo, 2010).
Dal punto di vista psicologico, però, “la solitudine è un costrutto complesso e multidimensionale , che può avere valenze sia positive sia negative, legate a contesti situazionali e a fattori personali” (Costantini, 2020). Rotenberg e Hymel (1999) fanno rilevare, infatti, che essa può essere percepita come una condizione da evitare perché fonte di stress e malessere, o essere desiderata e ricercata nei momenti in cui l’individuo necessita di momenti di riflessione e concentrazione. Già Weiss (1973) distingue tra “senso di solitudine” e “solitudine fisica”. Per il primo si intende un’esperienza soggettiva dolorosa, un vissuto negativo che si palesa come un “senso di isolamento sociale” anche in presenza di altri. Per la seconda, invece, una mancanza effettiva di relazioni interpersonali e può corrispondere sia ad una situazione momentanea che la persona ricerca spontaneamente, sia ad una condizione imposta che si protrae nel tempo. La differenza principale tra i due tipi di solitudine risiede nella ricerca volontaria dell’isolamento come una modalità per poter ritrovarsi o riflettere senza il rumore della presenza degli altri. Nei paesi anglosassoni la solitudine viene definita rispetto al contesto in cui è inserita con vari termini: aloneness, loneliness, solitude.
Aloneness indica la condizione oggettiva di solitudine fisica, priva della connotazione emotiva ad essa associata. Con loneliness ci si riferisce alla dimensione soggettiva e negativa della solitudine come, ad esempio, il sentirsi solo anche in mezzo alla folla. Solitude identifica la ricerca di una condizione di solitudine fisica volontaria e ricercata. La solitude è un sottile ma profondo desiderio di solitudine inteso come momento in cui l’individuo si può isolare per riflettere su di sé o per impegnarsi in attività cognitivamente impegnative o intrinsecamente attraenti, come ad esempio i momenti di produzione artistica.
Dalle suddette definizioni è chiaro che la ricerca psicologica si è concentrata sulla loneliness attraverso la correlazione con altri costrutti individuali come l’autostima e/o la depressione. Da queste ricerche emerge che la solitudine è strettamente associata a bassi livelli di autostima (Peplau, Miceli, Morasch, 1982; Leary, 1999; Weiss, 1975; Shaver, Rubenstein, 1980; Tzonichaki, Kleftaras, 2002; Groholt, Ekeberg, Wichstrom, Haldorsen, 2005) e a stati depressivi (Wiebe, Mc Cabe, 2002; Pietromonaco, Rook, 1987; Rook, Pietromonaco, Lewis, 1994; Wei, Russell, Zakalik, 2005; Wei, Shaffer, Young, Zakalik, 2005).
Alcune ricerche svolte sugli adolescenti la loneliness è stata messa in relazione all’assenza di comunicazioni con figure significative. Ad esempio, Proctor (1996) attraverso interviste rivolte a giovani ragazze madri, ha evidenziato che queste sperimentano un forte senso di solitudine prima della nascita del proprio figlio se la qualità della comunicazione con la propria madre è scarsa.
Considerazioni
Buecker et alt. (2021) in una meta – analisi sul tema hanno rilevato che i tassi di solitudine sembrano essere una preoccupazione sociale sempre più urgente. Dalla fine degli anni ’70 in poi, le esperienze di vita degli adulti sono cambiate massicciamente a causa di sviluppi sociali come una maggiore frammentazione delle relazioni sociali, maggiori opportunità di mobilità e cambiamenti nella comunicazione dovuti alle innovazioni tecnologiche. Questi sviluppi sociali potrebbero aver coinciso con un aumento della solitudine negli adulti. Al fine di dimostrare questo presupposto gli stessi autori hanno condotto una meta analisi sulle ricerche svolte negli ultimi 43 anni con l’utilizzo della scala UCLA (University of California Los Angeles Loneliness Scale) riscontrando un incremento di 0,56 deviazione standard ogni anno. Questi risultati sembrano dare ragione, anche se appare esagerato, ad alcuni autori che hanno parlato di epidemia della solitudine. Certamente ciò che emerge è che il tema della solitudine della popolazione adulta non può essere trascurato poiché influisce negativamente sul benessere (Hawkley e Cacciopo, op. cit.;Holt-Lunstad e Smith, 2015) con una crescente richiesta di servizi sanitari (Christiansen et al., 2020) e influisce negativamente sulla salute dei dipendenti comportando un costo economico per le aziende (Jeffrey, Abdallah e Michaelson, 2017). Questi ultimi autori hanno stimato il costo economico della solitudine in Gran Bretagna in 2,5 miliardi all’anno solo per i datori di lavoro.
Barreto et alt. (2021), partendo dalla considerazione di Peplau e Perlman (1982) che definiscono la solitudine come la discrepanza tra le relazioni sociali effettive e quelle desiderate, hanno analizzato attraverso il Il BBC Lonelies Experiment le differenze nell’esperienza delle persone sole tra culture, età e genere, e l’interazione tra questi fattori. Sono arrivati alla conclusione che la solitudine fiorisce soprattutto nelle culture che promuovono l’individualismo.
Altre ricerche come quelle di Pinquart e Sörensen (2001) analizzano lo stereotipo secondo il quale l’isolamento sociale e la solitudine si associano alla terza età. Dalle loro analisi emerge, però, che solo dal 5 al 15% di anziani riferisce di soffrire di solitudine. I risultati delle loro ricerche mettono in risalto è che sui vissuti di solitudine influiscono la qualità delle relazioni piuttosto che la quantità. Non è detto che avere accanto tante persone significa sentirsi meno soli. Un riparo lo offrono invece le relazioni familiari. La solitudine colpisce maggiormente le donne, l’avere un basso status socio economico e il vivere in case di riposo.
Un’altra ricerca svolta in Italia da Cavallero et alt. (2006) tesa a esplorare la percezione che le donne anziane toscane hanno del sentimento di solitudine, dell’isolamento e della soddisfazione per la quantità e la qualità delle loro relazioni sociali e a indagare gli atteggiamenti delle donne verso la solitudine e l’essere sole in età avanzata, afferma che le donne anziane sono soddisfatte delle loro relazioni interpersonali, sanno cogliere gli aspetti positivi della solitudine e credono che questa sia dovuta non solo agli eventi della vita ma anche a caratteristiche individuali. Anche in questa ricerca, come nella precedente, sono emerse delle differenze relative alla situazione abitativa, alla condizione relazionale e all’età. In particolare, i risultati indicano che fatto di vivere sole o in famiglia e lo stato civile non interferiscono sulla percezione di solitudine ma solamente sull’atteggiamento che le anziane hanno verso di questa e che sono le più giovani a sentirsi più sole e ad avere atteggiamenti più negativi verso la solitudine.
Dahlberg et alt. (2022), a sostegno di quanto riscontrato dalle precedenti ricerche, nel tentativo di individuare a livello longitudinale i fattori di rischio della solitudine negli anziani hanno individuato i seguenti fattori: non essere sposati/partner e perdita del partner; una rete sociale limitata; un basso livello di attività sociale; scarsa salute percepita; depressione/umore depresso e aumento della depressione.
Tra i fattori di rischio, sempre per la popolazione anziana, Nakajima et alt. (2024) in una ricerca condotta in Giappone hanno individuato la riluttanza a partecipare ad attività di tipo fisico e sociali.
Al contrario dello stereotipo legato al connubio tra vecchiaia e solitudine, una delle fasi di sviluppo in cui quest’ultima assume una grande rilevanza è l’adolescenza poiché durante la formazione dell’identità, come sottolineato da Maslow (1971) e successivamente da Storr (1989), l’isolamento, favorendo l’analisi interiore e l’individuazione dei propri bisogni, è una condizione necessaria per l’autorealizzazione dell’individuo. Weiss (1973) individua in questa fase una solitudine affettiva legata al difficile viaggio verso l’autonomia e l’acquisizione dell’identità che costringe inevitabilmente l’adolescente a sperimentare differenti situazioni in cui si trova ad “essere” o a “sentirsi solo”. Il progressivo distacco dai genitori, ad esempio, è spesso associato a situazioni in cui l’adolescente “non si sente capito”, si percepisce solo, isolato all’interno della famiglia.
Sempre Weiss (op. cit.) individua un tipo di solitudine sociale legata al bisogno di appartenenza dell’individuo. Nasce nel momento in cui l’adolescente cerca di stabilire relazioni con gli altri significativi e può sentirsi rifiutato, inadeguato, escluso, incapace di fissare relazioni stabili e durevoli. Miceli (2003),sostiene che, al contrario di quello che comunemente si crede, l’età in cui il senso di solitudine viene maggiormente percepito non è la vecchiaia, ma l’adolescenza. In quest’ambito individua e definisce la solitudine esistenziale, dandole una connotazione positiva, che appare come una dimensione fondamentale ed ineliminabile della condizione adolescenziale, un mezzo per raggiungere la propria interiorità in una fase di definizione dell’identità.
Inoltre,la solitudine percepita dagli adolescenti sembra essere un fenomeno globale come suggerito da una ricerca di Smith et alt. (2024) condotta in 28 paesi in Africa, Asia e Americhe. I risultati indicano che la solitudine, oltre ad essere un fenomeno globale, ha visto pochi miglioramenti negli ultimi anni.
Bisogna, però, distinguere tra solitudine positiva e negativa ovvero per utilizzare i termini anglosassoni tra loeneliness e solitude. Infatti, come sostenuto da Weinstein et alt. (2023), troviamo due letterature completamente diverse, da un lato, quelle che sostengono che lo stare da soli influisca negativamente sul benessere e, dall’altro, quelli che il tempo trascorso da soli è prezioso. Tante ricerche mettono in risalto che l’isolamento sociale (Qualter et alt. 2021, Jefferson et. alt. 2023, Jefferson et alt. 2023 – b) durante l’adolescenza influisce negativamente sulla salute mentale, sull’istruzione e sui risultati occupazionali e che esso è significativamente correlato con le diseguaglianze sociali e colpisce particolarmente i soggetti provenienti da classi medio – basse.
Allo stesso modo la psicoanalisi mette in evidenza, come ho accennato sopra, le connotazioni positive dello stare da solo. Winnicott (1958) sostiene che la capacità di “stare da solo” rappresenta un segno di maturità dello sviluppo emozionale ed un’importante capacità per lo sviluppo dell’autonomia. In questo senso, anche la Teoria dell’Attaccamento (Bowlby, 1975, 1983; Ainsworth, 1978) coglie gli aspetti positivi dell’esperienza solitaria: la capacità di stare da solo quando la madre è assente è un traguardo che il bambino raggiunge nel momento in cui ha interiorizzato le figure di attaccamento (Bastianoni, 2005). Come sostiene Battacchi (2004, p. 86), “si può reggere la solitudine se non si è soli, ma si è invece in relazione con figure interne, presenze mentali affettivamente caricate”. Ad ulteriore conferma che la solitudine può essere connotata positivamente, alcuni autori (Buchholz, Chinlund, 1994; Buchholz, 1997; Buchholz, Catton, 1999) ribadiscono l’importanza della capacità e del bisogno di stare da solo durante il periodo di moratoria adolescenziale (Marcia, 1980), di esplorazione delle identità possibili (Erikson, 1950), riconoscendone così l’influenza esercitata sul processo di sviluppo del sé.
Weinstein et alt. (op. cit.), in una loro ricerca risolvono l’apparente contraddizione con la formulazione del concetto di equilibrio ottimale tra lo stare da soli e la vita sociale. Infatti, i risultati della loro ricerca indicavano che le persone erano più sole e meno soddisfatte nei giorni in cui trascorrevano più ore in solitudine. Queste relazioni dannose venivano annullate o ridotte quando la solitudine quotidiana era autonoma (scegliente) e non si accumulava nell’arco dei giorni; coloro che generalmente erano più soli non erano, nel complesso, più soli. Nei giorni in cui le persone trascorrevano più tempo da sole avvertivano meno stress e maggiore soddisfazione per la propria autonomia (volitiva, autentica e libera da pressioni). Questi benefici erano cumulativi; coloro che hanno trascorso più tempo da soli durante l’arco dello studio erano meno stressati e complessivamente più soddisfatti della loro autonomia. Il tempo trascorso in solitudine rischia di ridurre il benessere secondo alcuni parametri, ma può offrire vantaggi chiave rispetto ad altri aspetti del benessere.
Questi risultati sembrano essere confermati da Borg et alt. (2023) i quali affermano, in base ai dati di una loro ricerca, che la solitudine degli adolescenti sembra essere collegata a un peggiore adattamento psicosociale solo se accompagnata da una mancanza di socievolezza. Allo stesso modo Zhou et alt. (2023), in uno studio mirato ad identificare i potenziali profili di solitudine tra gli adolescenti in tarda età in base al loro comportamento solitario , motivazione, atteggiamento e tempo trascorso da soli, arrivano alla conclusione che i quattro gruppi individuati (gruppo di solitudine , gruppo di solitudine motivazionale positiva , gruppo di solitudine motivazionale negativa e gruppo di solitudine orientata all’attività) differivano tra di loro per sintomi depressivi e soddisfazione dei bisogni primari. In particolare emergevano differenze con il gruppo di solitudine motivazionale negativa che corre il maggior rischio di disadattamento sociale.
Thomas (2023) in una ricerca con soggetti adulti utilizzando la teoria dell’Affrondances di Gibson ha riscontrato che molti ricercavano la solitudine per poter concentrarsi su nuovi progetti lontani dagli stimoli quotidiani. Inoltre, l’ambiente di solitudine offriva loro lo spazio per rilassarsi, ricaricarsi e sentirsi rigenerati, in particolare dopo periodi di sovra stimolazione.
Conclusione
Dalla letteratura, dagli studi e dalle ricerche svolte a livello globale emerge, così come affermato in premessa, che il costrutto della solitudine assume caratteristiche di complessità che vanno analizzate e spiegate in riferimento al contesto e alle fasi di sviluppo in cui si presenta.
Interessante è notare che si presenta, in particolare, in due fasi di ciclo di vita, adolescenza e terza età, che comportano profondi cambiamenti sul piano della strutturazione dell’identità. Nel primo caso durante la strutturazione e la formazione di una identità stabile in cui l’individuo deve necessariamente elaborare la storia passata in modo da progettare e costruirsi la propria. E’ il momento in cui l’individuo deve necessariamente combattere questa battaglia da solo poiché, per poter emergere, deve distinguersi dagli altri. E’ il momento dello svincolo dalla famiglia di origine, da tutte quelle figure che lo hanno accudito, protetto, accompagnato e seguito. E’ il momento in cui deve imparare a camminare da solo. Eppure per poterlo fare deve misurarsi con ciò che proviene dalla sua storia passata: tanto più forte è stato il legame precedente tanto più si sentirà sicuro di poter vincere la battaglia. La forza del legame si misura attraverso la fiducia nelle proprie risorse e la speranza nel cambiamento. Al fine di individuare le risorse interne l’individuo ha bisogno di concentrarsi e conoscersi attraverso un’attività di continua introspezione che presuppone l’isolamento dai continui stimoli quotidiani. La solitudine diventa in questo caso una necessità, una scelta funzionale allo sviluppo individuale. Al contrario, se la forza del legame è debole il mondo esterno diventa ostile: un deserto pieno di mostri da combattere. In questo caso la solitudine viene subita poiché non si sente in grado di affrontare la battaglia: non riesce a trovare al suo interno gli strumenti, le forze e le risorse necessarie.
Ecco la prima distinzione che va fatta sul costrutto: solitudine agita o solitudine subita. Melotti (2006) in una sua ricerca distingue due poli, negativo e positivo, della solitudine. Il primo “è costituito da un insieme di categorie che rimandano ad uno stato di malessere provato dall’individuo quando sperimenta un’assenza di relazioni interpersonali in seguito ad un vissuto di esclusione ed emarginazione. Per questo motivo, si è pensato di intitolare questo polo del primo asse la solitudine subita”. E’ la condizione in cui spesso si ritrovano gli anziani a seguito dall’uscita dal mondo del lavoro, ai lutti, alla lontananza dai figli e da tutte le relazioni che sono state significative per loro durante la loro vita. Il secondo è “una rappresentazione positiva descritta da categorie che indicano nella solitudine una condizione spesso cercata per allontanarsi dalla routine quotidiana, alla ricerca di quiete, al fine di pensare, riflettere ed effettuare quel lavoro d’introspezione, fonte spesso di creatività. Questo polo è stato definito la solitudine cercata”. Ambedue le condizioni vengono perfettamente descritti dai termini anglosassoni loneliness, nel caso della solitudine subita, e solitude in quella cercata.
Altri fattori, individuati sempre da Melotti (op. cit.), necessari da prendere in considerazione sono: “Le condizioni della solitudine” ovvero “quella che in inglese è stata definita “aloneness”, ovvero un isolamento, che procura spesso un senso di vuoto e che implica una mancanza di relazioni comunicative, espressa generalmente in adolescenza dall’assenza di amici”; “I tempi e i luoghi della solitudine” che racchiudono “le categorie che si riferiscono ai differenti momenti e situazioni in cui questo stato d’animo viene sperimentato: durante la vecchiaia, di fronte a situazioni problematiche, quando ci si sente a disagio ed in momenti in cui si prova dolore”.
Prendendo a prestito due celebri frasi, una di Leopardi e l’altra di Baudelaire, il dramma della solitudine può essere risolto con la presa di coscienza della condizione solitaria ovvero “la solitudine è come una lente d’ingrandimento se sei solo e stai bene stai benissimo, se sei solo e stai male stai malissimo” e in aggiunta di rendersi conto che in fondo dobbiamo sempre confrontarci con la solitudine anche quando siamo con gli altri “Siamo sempre, tragicamente soli, come spuma delle onde che si illude di essere sposa del mare e invece non ne è che concubina”.
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