A cura della Dott.ssa Pamela Cantarella, Psicologa Clinica, Responsabile Settore Comunicazione Pronto Soccorso Psicologico-Italia.
“Come in una rappresentazione teatrale, tutto ciò che è violenza e abuso è retroscena, mentre la ribalta appare come una nitida raffigurazione di dinamiche sociali accettabili” (E. Goffman).
Quando si parla di Abuso sull’Infanzia ci si riferisce ad ogni tipo di comportamento inadeguato, violento o coercitivo nei confronti di un minore,che implica il rischio sostanziale di causare danni al suo sviluppo, alla sua salute fisica e mentale, alla sua sopravvivenza, e alla sua stessa dignità, nell’ambito di una relazione patologica e disfunzionale con un adulto, che dovrebbe piuttosto essere caratterizzata da responsabilità, rispetto e protezione da parte di quest’ultimo nei confronti del bambino.
Spesso si é ancora riluttanti anche solo a prendere in considerazione l’idea che un bambino possa essere oggetto di abusi e di violenze; invece è vero che il fenomeno esiste ed è di portata mondiale, coinvolge milioni di bambini e si manifesta in varie forme.
Purtroppo in casi del genere si deve prendere forzatamente atto del fatto che i rapporti tra adulto e bambino non sono sempre improntati sull’affetto e sul rispetto, che la decantata tenerezza verso l’infanzia è a volte sostituita o coniugata a violenze di vario tipo, che l’amore verso il piccolo non impedisce l’esplosione di odio e di aggressività dell’adulto verso chi disturba ed è percepito come rivale negli affetti, che il concetto di aiuto alla crescita è spesso sostituito da un oscuro senso di proprietà che si estrinseca nella convinzione di poter fare del minore ciò che si vuole.
Nella maggior parte dei casi, tra l’altro, il luogo dell’esercizio della violenza verso l’infanzia è la “famiglia”, che paradossalmente dovrebbe costituire il “centro degli affetti e il luogo della sicurezza e della protezione fisica ed emotiva”. La famiglia è l’unità fondamentale della società, l’ambiente naturale per eccellenza per la crescita e il benessere di tutti i suoi membri, ed in particolare dei più piccoli; è il luogo in cui un bambino nasce e trascorre le fasi più importanti del proprio sviluppo; in essa risiede la “responsabilità primaria” per la difesa, l’educazione e la promozione di un adeguato sviluppo psico-fisico dei bambini.
Eppure essa non è sempre quel “nido d’amore” ideale che si pensa dovrebbe essere; non sempre un bambino trova nell’ambito familiare quel rispetto e quella comprensione che gli sono indispensabili per un’armoniosa crescita. Anzi, in maniera molto frequente, il bambino, proprio fra le pareti domestiche, finisce con l’essere oggetto di gravi sevizie, di drammatici sfruttamenti, di profonde deviazioni educative. Spesso sono proprio le figure deputate a prendersi cura del bambino quelle che si impongono come figure violente, abusanti fisicamente, psicologicamente e sessualmente.
Si tratta di famiglie definite “maltrattanti” (U. Marchetta) in cui il bambino, anziché trovare un buon sostegno per crescere, trova forti incomprensioni, rigidità, trascuratezza, forme di violenza e precoci adultizzazioni che si rivelano poi molto dannose. La casa diventa cosí il “luogo segreto” dove i maltrattamenti si avverano: la famiglia si chiude ermeticamente sugli eventi, lasciando trasparire un’immagine di sé talvolta idilliaca, accettabile dal contesto sociale, quasi a voler dare l’immagine della “famiglia perfetta”. Secondo il cosiddetto “modello drammaturgico” di E. Goffman le forme di abuso non hanno solitamente visibilità esterna ed i “fenomeni disfunzionali intrafamiliari” restano spesso segreti e non visibili.
Quindi, sebbene si tratti di un fenomeno molto vasto, allo stesso tempo risulta impercettibile in quanto raggiunge dimensioni di “invisibilità” paradossali. I minori sono dei soggetti ingenui ed indifesi e, soprattutto, solitamente considerati testimoni poco attendibili, soggetti facilmente impressionabili e soprattutto sensibili alle “minacce di non rompere mai il silenzio” da parte di adulti senza scrupoli.
Subendo un’esperienza di abuso in tenera etá ed in un contesto familiare maltrattante, le piccole vittime vivranno una condizione emotiva di estrema vulnerabilità e confusione che le porterà ad attribuirsi responsabilità, sensi di colpa e forti sentimenti di vergogna. Non potendo privarsi dei genitori e vivendo la loro situazione come unica possibile, si sentiranno oggetto ma anche “causa” del conflitto, tanto da costruire una rappresentazione di sé come di “bambini cattivi e colpevoli” e quindi “non meritevoli di amore”. Il perdurare di questi sentimenti li lascerá in una condizione di solitudine e smarrimento, facendo loro dubitare persino del diritto alla stessa esistenza (A. Peacock).
La responsabilità é comunque da attribuire alla famiglia anche quando si fa riferimento ad un eventuale disimpegno nei ruoli genitoriali, che potrebbe concretarsi nell’ignorare una situazione di abuso vissuta dal figlio “al di fuori delle pareti domestiche”, perpetrata in questi casi, nei confronti del piccolo, sia da persone ad esso completamente estranee, che da persone presenti nella sua vita o in quella dei suoi genitori quali ad esempio parenti, vicini di casa, educatori scolastici, allenatori sportivi, sacerdoti…; tutte figure di cui i bambini comunque sono portati istintivamente a fidarsi, e che invece procurano loro un danno psicologico incalcolabile.
La disattenzione ed il disimpegno genitoriale di fronte a tutto ciò sono ritenuti frutto di schemi di vita oramai tipici della società moderna, che risultano da un’estremizzazione dei recenti mutamenti dell’istituzione famiglia, la quale racchiude troppo spesso genitori eccessivamente impegnati fuori casa poco interessati alle dinamiche familiari e, di conseguenza, poco interessati ai figli, che restano cosí in balia di sé stessi.
Gli episodi di abuso sui minori sono ritenuti fortemente inconcepibili e dovrebbero provocare ripugnanza e disgusto in ogni essere umano; eppure, se la reazione è talvolta attiva e partecipe, altre volte è nulla, ispirata da una totale indifferenza secondo l’ottica ritenuta maggiormente conveniente del “non voler vedere” il fenomeno, anche quando questo si consuma sotto i propri occhi.
Ma è altrettanto vero che la sensibilizzazione della popolazione sulle dinamiche del fenomeno è ormai diffusa, così come sono numerose le strategie di intervento che operano sul territorio. Oggi, più che in passato, esiste una decisa, forte e trasversale volontà di tutelare e preservare i minori da ogni forma di abuso. La produzione normativa delle organizzazioni internazionali, le produzioni legislative nazionali e l’interesse vivo e attento dell’opinione pubblica nella gran parte dei Paesi, considera oggi la “tutela del minore” una sfera di interesse collettivo e una dimensione dell’esistenza di cui la società deve farsi carico, contro l’eventuale arbitrio del singolo, del genitore o di un altro adulto, o del minore stesso.
Dopo l’adozione della Convenzione sui diritti dell’infanzia sono stati fatti notevoli passi in avanti per la realizzazione del “diritto dei bambini alla sopravvivenza, alla salute e all’istruzione” e si è sempre più diffusa la convinzione che occorre creare un “ambiente protettivo” che difenda i bambini e gli adolescenti dallo sfruttamento, dagli abusi e dalle violenze.
“Cercare di capire un fenomeno è il primo passo per combatterlo e per programmare qualsiasi strategia di intervento”.
Chi si occupa di infanzia maltrattata, negata, violata non può dunque non interrogarsi su come intervenire concretamente in questo drammatico scenario, per difendere i bambini e salvaguardare i loro diritti sanciti ufficialmente nella Convenzione dei diritti dell’infanzia. Gli strumenti di “prevenzione e di intervento precoce” appaiono in questo contesto fondamentali.
Tale prevenzione va intesa innanzitutto come informazione, cultura, sensibilizzazione, ed educazione all’ascolto dell’infanzia; il ricorso all’ausilio ed al supporto di figure specialistiche è successivo, ed é da prendere in considerazione quando purtroppo l’evento dell’abuso sul minore si è concretizzato.
Volendo entrare maggiormente nello specifico, al giorno d’oggi si registrano fenomeni di violenza sui minori tramite diversi eventi: abbandono e violenza fisica e psicologica, sfruttamento, maltrattamento. Più precisamente, il termine “abuso sui minori” (childe abuse) definisce un comportamento messo in atto da parte di adulti -siano essi genitori, fratelli, tutori o estranei- che danneggiano in modo grave le potenzialità evolutive del bambino.
Il Consiglio d’Europa definisce così il fenomeno dell’abuso: “gli atti e le carenze che turbano gravemente il bambino, attentanto alla sua integrità corporea, al suo sviluppo fisico, intellettivo e morale. Le sue manifestazioni sono la trascuratezza e/o le lesioni di ordine fisico e sessuale da parte di un familiare o di altri che hanno cura del bambino”.
Sostanzialmente sono quattro le forme in cui si presenta l’abuso sull’infanzia (E. Fontana):
1. la patologia delle cure: -incuria (trascuratezza e privazione di cure a livello fisico e/o emotivo); -discuria (cure “inadeguate” in base all’età e al particolare stadio di sviluppo del minore); -ipercura (cure sproporzionate ed eccessive rispetto ai reali bisogni del bambino, tra cui si individuano la sindrome di Munchausen per procura, il Medical shopping ed il Chemical abuse).
2. Il maltrattamento fisico, caratterizzato da un utilizzo intenzionale della forza fisica attraverso azioni che procurano sofferenze, ferite o la morte del bambino. Il minore é oggetto di aggressioni che hanno conseguenze fisiche quali lesioni cutanee, viscerali, fratture, bruciature…
3. L’abuso sessuale, consistente in atti di natura sessuale compiuti dall’adulto nei confronti di un minore che, a causa del grado di sviluppo fisico e mentale che gli è proprio, non è ancora in condizione di acconsentire con cognizione di causa e liberamente agli stessi, tanto che viene o abilmente persuaso o coercitivamente costretto a parteciparvi.
4. Il maltrattamento psicologico, attuato tramite azioni considerate dannose per il minore sul piano psicologico (atteggiamenti di rifiuto, svalutazione, minaccia, isolamento, indifferenza, corruzione…).
Tutte queste azioni sono commesse da persone che per le loro caratteristiche di età, status e ruolo si trovano in una posizione differenziale di “potere” rispetto al bambino, tale da renderlo “vulnerabile”. E si tratta, in generale, di pratiche ed atteggiamenti che compromettono, sia in modo immediato che a lungo termine, il comportamento, lo sviluppo affettivo, le capacità cognitive, e le funzioni fisiche del bambino.
Certamente alcune combinazioni di abusi sono più negative di altre, e l’entitá della gravitá delle condizioni psicologiche del bambino molto dipende dalla progressione con cui forme diverse si succedono nel tempo o si sommano.
Il danno cagionato è tanto maggiore quanto più:
– la violenza resta sommersa e non viene individuata;
– il maltrattamento è ripetuto nel tempo ed effettuato con aggressività e coercizione;
– la risposta di protezione alla vittima nel suo contesto familiare e/o sociale ritarda;
– il vissuto traumatico della piccola vittima resta non espresso o non elaborato;
– la dipendenza fisica e/o psicologica e/o sessuale tra la vittima e il soggetto maltrattante è forte;
– il legame tra la vittima e il soggetto maltrattante è di tipo familiare, (R.K. Oates).
A livello psicologico e comportamentale gli esiti negativi possono essere anche molto gravi: si possono verificare deficit cognitivi e ritardi dello sviluppo intellettivo e linguistico, stati di depressione e ansia, disturbi della condotta, problemi relazionali, problemi scolastici, disturbi alimentari, disturbi dissociativi e da stress post traumatico (D. Forrest).
I sintomi possono persistere anche in età adolescenziale ed adulta, ed evolversi in condotte autolesive o suicidarie, condotte sessuali a rischio, uso di alcool e droghe, comportamenti delinquenziali, disfunzioni sessuali di natura psicogena, ed elevato rischio di subire nuovi abusi nel corso della vita (A. Peacock), o metterli in atto, a propria volta, nei confronti di altri soggetti, secondo il fenomeno del cosiddetto “ciclo dell’abuso”: nel contesto della trasmissione intergenerazionale della violenza, è possibile che chi aggredisca sia stato oggetto, soprattutto durante l’infanzia o l’adolescenza, di aggressione da parte di un adulto.
L'”identificazione con l’aggressore” fornisce, in questi casi, una spiegazione della messa in atto da parte di alcuni soggetti di comportamenti di abuso, interpretandoli appunto come il risultato di un processo in cui l’aggressore, a sua volta, è già stato vittima di abusi. L’aggressione innesta una sequenza vittima-aggressore, per cui é molto probabile che alcune vittime possano, in un futuro, divenire aggressori di altri soggetti più deboli, senza alcuna compassione per una condizione che hanno personalmente vissuto (questa dinamica è presente e caratterizza anche i fenomeni di bullismo).
Studiosi ed esperti che si occupano di abuso sull’infanzia stanno bene che il problema più difficile in questo campo di studio di intervento è proprio la “rilevazione dell’evento”: individuare i segnali che possono essere utili a riconoscere i soggetti che sono a rischio di abuso è essenziale per cercare di contrastare la “congiura del silenzio” che si avvolge attorno alla vittima.
“Non è successo niente”: questo si sente dire la piccola vittima e di questo ha, in un certo senso, anche bisogno; le sue capacità di sopportare situazioni ed eventi stressanti troppo forti sono assolutamente limitate in relazione all’età e, per tentare di difendere la sua salute mentale, deve ricorrere a meccanismi a volte molto più radicali della rimozione: negare l’esistenza o il valore emotivo dell’evento, scindere nel ricordo le immagini dalle emozioni ad esse connesse. Le richieste di silenzio sono quindi sia esterne (provenienti dall’abusante, intimorito dai giudizi sociali infamanti e dai provvedimenti giudiziari ai quali andrebbe inevitabilmente incontro se si scoprisse la situazione di abuso) che interne (frutto di un’esigenza psicologica del piccolo), e colludono per l’ottenimento di un unico obiettivo di pacificazione: “continuare a far finta che non sia successo niente”.
Nella mente del bambino tuttavia rimane “il segreto” che, nonostante tutti gli sforzi suoi e di chi gli sta attorno, non è mai del tutto cancellabile ed è fonte continua di sofferenza mentale difficilmente comunicabile e spesso anche non riconosciuta dal soggetto stesso. Il segreto viene mantenuto a costi psicologici altissimi, a volte anche per tutta la vita; ma proprio per il suo peso spinge la vittima, anche se con molta probabilitá in maniera inconscia e nonostante le resistenze interne ed esterne, a cercare un’occasione sicura e favorevole perché essa possa svelarsi.
Questo bisogno è particolarmente presente durante l’infanzia, poichè le difese non si sono completamente strutturate e cristallizzate e l’angoscia prodotta dall’abuso è altamente intollerabile. Il compito dunque di rilevare i fenomeni di abuso che rimangono nascosti può trovare un parziale “alleato” proprio in questo bisogno del bambino di alleviare la propria sofferenza, e cercare una protezione del persecutore esterno o dalla propria angoscia.
I primi osservatori, laddove gli abusi riguardino l’ambito extra-familiare, dovrebbero essere -come già detto- proprio i genitori, quando non ci si trova davanti ad adulti in seria difficoltà ad assumere la loro funzione genitoriale; in questi casi il percorso di crescita del bambino viene delegato dalla famiglia al sociale, e quindi alla scuola.
Quest’ultima è di fatto un contenitore dell’infanzia e, contemporaneamente, dei malesseri dei bambini che spesso hanno origine da una situazione di disagio familiare. Ecco perché la scuola riveste un ruolo fondamentale in questo lavoro di “svelamento” di eventuali situazioni di abuso, ed è opportuno che il tema della violenza sui minori venga approfondito nel mondo scolastico in un’ottica in cui l’obiettivo non sia soltanto quello della conoscenza della tematica in oggetto, ma anche quello della ricerca di nuovi modelli soprattutto di “prevenzione”, che possano permettere agli operatori scolastici di individuare un eventuale disagio del bambino attraverso dei “segnali indicatori” che siano facilmente interpretabili, per poter coinvolgere poi, con le dovute segnalazioni, le figure competenti (G. Mendorla).
Ogni bambino, in un modo o nell’altro, comunica lanciando molti segnali parte dei quali, per una serie di circostanze, rimangono inascoltati. Egli comunica in mille modi, anche e soprattutto quando non parla: lo fa quando non svolge i suoi lavori, col il suo bisogno di contatto o con il suo fastidio al verificarsi dello stesso, con il suo silenzio, la sua stanchezza o la sua irrequietezza. Sarebbe quindi importante se un’insegnante prendesse coscienza che il tempo prestato a piccole attenzioni che riguardano il vissuto più personale dell’alunno può sovente anche rivelarsi speso bene, oltre che nell’interesse di una crescita armoniosa del ragazzo, anche nell’individuazione di quei segnali che possono essere sintomo di disagio per il bambino.
Qualsiasi forma di abuso su un minore “non è mai una questione privata”, ed il fatto che si possa realizzare in un ambiente come la famiglia non è una ragione per chiudere gli occhi. É anche vero però che gli insegnanti spesso non dispongono degli strumenti necessari per capire questi segnali; occorre dunque trovare le modalità appropriate per avviare dei percorsi formativi mirati, proprio perché la scuola, così come la famiglia, deve svolgere un lavoro di “prevenzione primaria” anche a questo riguardo.
Anche i genitori sono quindi assolutamente chiamati in causa nella partecipazione a percorsi formativi e di sensibilizzazione in merito ad un fenomeno tanto grave quanto delicato come quello dell’abuso.
Dopo la rilevazione di eventuali casi e la conferma della fondatezza degli stessi, il supporto rappresentato da un aiuto esterno, come quello fornito dagli specialisti del Pronto Soccorso Psicologico-Italia in ambito psicologico, deve funzionare come rifornimento per un progetto di vita che certamente non potrà far recuperare alla vittima tutto ciò di cui è stata privata; ma potrà aiutare lei, e le persone a lei vicine, a rompere l’isolamento, fronteggiare i sentimenti di vergogna e a non sentirsi più soli; solo successivamente il bambino abusato potrà essere accompagnato lungo un percorso che gli possa permettere, col tempo, di lenire le ferite del passato, attraverso un’adeguata elaborazione dell’accaduto ed il conseguente recupero, seppur lento e graduale, di uno stato accettabile di benessere psicologico.
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