Le Fobie nei bambini

A frightened teenage girl covers his face with a blanket in bed in her room, sees a nightmare. restless, unhealthy sleep in children after watching a horror movie. child's fear

A cura della Dott.ssa Pamela Cantarella, Psicologa Clinica, Responsabile Settore Comunicazione PSP-Italia

Le Fobie nei bambini

“Le fobie rappresentano sempre qualche difficoltà o transito vietato, nel mondo interno, che viene spostato e proiettato all’esterno, così non solo si libera il mondo interno, ma si riesce a “controllare” il problema all’esterno” (A. Ferro).

Le Fobie sono un disturbo abbastanza frequente in età evolutiva;
nella maggior parte dei casi si tratta di una condizione temporanea che si risolverá poi nel corso dello sviluppo, mentre in altri casi il disturbo può durare anche a lungo, a volte fino all’età adulta.

Si tratta di timori irrazionali ed incontrollabili che il bambino manifesta quando si trova a contatto con alcuni oggetti o con alcune situazioni, o a volte anche solo al pensiero di essi.

L’irrazionalità è data dal fatto che la paura nasce in situazioni che secondo il buon senso non dovrebbero provocarla; non vi è un’effettiva condizione di pericolo, tanto che la fobia si distingue dalla paura poiché, a differenza di quest’ultima, non scompare di fronte a una verifica della realtà.

Come precisa G. Jervis le fobie sono “un tentativo di costruire una difesa contro la propria ansia allontanandone ostinatamente l’occasione di manifestarsi, con uno scongiurante e precipitoso atteggiamento di rifiuto che non fa che evocarne continuamente il fantasma”.

Questi timori, a volte anche molto intensi e persistenti, spingono il bambino ad attuare strategie di evitamento dell’oggetto e/o della situazione fobica, con una conseguente limitazione della propria sfera di azione e libertà, e della propria capacità di rispondere adeguatamente ai compiti evolutivi e alle richieste della quotidianità.

La non risoluzione del disturbo fobico può avere delle ripercussioni sul normale funzionamento del bambino e sul suo sviluppo futuro;
perché se è vero che vi sono delle paure che è possibile definire “sane” in quanto tipiche dell’età del soggetto, passeggere, mutevoli e facilmente gestibili, diversamente alcune paure definibili “patologiche” hanno la caratteristica di essere permanenti e possono creare dei veri e propri blocchi emotivi.
Tra i campanelli di allarme sicuramente la presenza di paure specifiche in età non consona, la cui intensità raggiunge livelli tali da rappresentare un limite nel normale svolgimento delle attività quotidiane del bambino o nella costruzione delle sue relazioni.

Dal punto di vista sintomatologico i vissuti di paura ed ansia legati all’oggetto e/o situazione fobica si manifestano, sul “piano fisico”, con un’iperattivazione neurovegetativa, pianto, tachicardia, fenomeni epigastrici, possibile perdita del controllo sfinterico… in maniera tanto più forte ed invasiva quanto più il bambino si trova vicino all’oggetto delle sue paure, e quanto meno sente di potersene allontanare in modo sicuro.

Anche sul “piano comportamentale” si verificano delle risposte tipiche, che di solito conducono a comportamenti di “evitamento e fuga”: in questo modo il bambino cerca, con modalità diverse in base al livello evolutivo raggiunto, di sottrarsi al suo oggetto fobico, nonostante eventuali rassicurazioni che, anche quando arrivano dalle figure di riferimento significative come i genitori, sembrano non avere alcun effetto.
In altri casi la risposta comportamentale può essere di tipo opposto: una risposta di congelamento (freezing) che rende il bambino incapace di muoversi, bloccato immobile nel terrore di fronte al suo oggetto fobico.

In questo disturbo anche l’“ansia anticipatoria” rappresenta un aspetto quasi sempre presente e altrettanto compromettente della paura che si manifesta di fronte agli oggetti o alle situazioni temute;
essa fa sperimentare al bambino un forte timore in previsione del presentarsi/ripresentarsi dell’oggetto fobico, determinando uno stato di allerta costante ed un’ipervigilanza che può interferire con la possibilità di sperimentarsi nella quotidianità e di compiere i normali atti di esplorazione tipici dell’età evolutiva. Compaiono così manifestazioni ansiose e un crescente impiego di strategie di evitamento che favoriscono possibili vissuti di impotenza, incapacità, e frustrazione, e compromettono le azioni quotidiane del bambino, la sua vita ideativa ed il suo pensiero.

Tanto che anche sul “piano cognitivo” si riscontrano delle importanti limitazioni: il pensiero in un certo senso è già occupato a “gestire” le fobie, e pertanto subisce da queste delle forti interferenze che impediscono di concentrarsi sul compito e di ottenere delle prestazioni cognitive soddisfacenti, proprio perché gran parte delle risorse cognitive vengono già spese in modo disfunzionale per affrontare il disturbo fobico.

L’ansia ed i timori connessi a questo disturbo compromettono la possibilità del bambino di sperimentarsi serenamente in contesti e compiti evolutivi sempre nuovi e di crescente complessità, ed interferiscono sulla regolazione degli affetti in quanto, con la risposta difensiva adottata dal bambino in questi casi, di rischia di ritornare a modalità di regolazione degli affetti di matrice più regressiva, permanendo nella dipendenza e trovando sempre più complicato affrontare alcuni temi evolutivi importanti e tipici della crescita, quali soprattutto quelli legati allo sviluppo dell’autonomia.

Sul “piano simbolico” le fobie sono cariche di significati nel senso che le cose o le situazioni temute dal bambino rinviano, in un modo più o meno deformato, a dei “temi evolutivi” tipici del percorso di crescita. Nei bambini la condizione fobica rivela solitamente una condizione di dipendenza, e quindi il timore di intraprendere un percorso che porti verso il raggiungimento dell’ autonomia, che si manifesta nella paura di agire e quindi nell’immobilismo.

Negli adulti la dimensione sottostante è riferita invece a delle pulsioni represse, o a una punizione per degli impulsi inconsci ed inaccettati, o a una combinazione delle due (G. Jervis). Secondo l’ottica psicoanalitica la fobia è “il prodotto dei meccanismi di difesa dell’io che, con la rimozione e lo spostamento, trasferisce un complesso interiore che causa conflitti e ansia su un oggetto esterno che il soggetto fobico ritiene sia più facile evitare”. Secondo S. Freud nella “nevrosi fobica” la libido sprigionata dal materiale patogeno in virtù della rimozione viene liberata sotto forma di angoscia; ne consegue che, per non accrescerne lo stato, vengono interdette tutte le occasioni atte a provocare lo sviluppo d’angoscia, erigendo contro di esse una “barriera psichica” fatta di cautele, di inibizioni, di divieti, e sono queste “costruzioni protettive” che appaiono come fobie e che costituiscono l’essenza del disturbo. Le cose e le situazioni evitate dal soggetto sono collegate direttamente alla pulsione repressa, in modo più o meno deformato, da rimandi analogici precisi.

La fobia non è dunque mai casuale, ma strettamente intrecciata alla fonte originaria del conflitto o al timore di una punizione per l’impulso manifestato; perciò analizzando il tipo di fobia in chiave analogico-simbolica è possibile risalire alla fonte del conflitto originario.

Per quanto riguarda gli oggetti e le situazioni fobiche in età infantile, in linea generale è possibile riscontrare con maggior frequenza innanzitutto la paura del buio: la notte e l’addormentamento vengono comprensibilmente considerati dei momenti critici in cui il bambino vive il distacco dalle figure genitoriali, il timore di rimanere da solo, l’abbandono delle sicurezze della realtà esterna, e percepisce la perdita di controllo su di essa, sentendosi in pericolo. In questo momento conclusivo della giornata, la presenza e la vicinanza emotiva del genitore possono fare la differenza. Da parte del bambino sentire questa “capacità empatica del genitore” diviene una preziosa occasione per mettere in parole la propria paura e, pian piano, elaborarla mediante un processo di acquisizione della giusta dose di fiducia in sè stessi. Soprattutto il timore della separazione è qualcosa che viene sperimentato normalmente da tutti i bambini e superato in modo differente in base alla relazione con il genitore. Fornire al bambino elementi rassicuranti può favorire il distacco e quindi anche la creazione di un buon feeling con l’oscurità.

Legata alla paura del buio vi è la paura per le creature immaginarie quali mostri e fantasmi, anch’essa tipica dell’età evolutiva ed associata alla fervida fantasia dei bambini. In questo caso sono degli aspetti del mondo interno del bambino fatto di preoccupazioni e insicurezze di fronte all’ignoto, che vengono proiettati all’esterno, e la loro produzione deriva dal normale “pensiero animistico” del bambino che vede tutto, appunto, come animato. Oltre a mostri e fantasmi si può avere paura del lupo cattivo, dell’uomo nero… figure che diventano reali e che rappresentando una minaccia che può manifestarsi ogni giorno, specialmente la notte nel buio.

Un’altra fobia presente nei bambini è la zoofobia, cioè la paura di un animale specifico (ad esempio, la cinofobia, nei confronti dei cani, l’entomofobia, nei confronti degli insetti, l’aracnofobia, nei confronti dei ragni, ecc.). In questi casi le sensazioni sperimentate partono da un senso di fastidio o disgusto, fino ad arrivare a vere e proprie crisi di panico in presenza dell’animale oggetto della fobia.

L’uomo ha avuto da sempre una predisposizione genetica per il timore di alcuni animali, per lo piú feroci e selvatici, ma essa si è resa necessaria in passato per la sopravvivenza. Oggi questo tipo di paura non risulta piú giustificata da ciò, ed è rivolta anche verso animali del tutto innocui.

Quando la paura degli animali non deriva da alcuna esperienza traumatica e negativa con gli stessi, il significato è da ricercare altrove, e precisamente in alcuni meccanismi di spostamento mediante i quali il piccolo volge alcuni suoi impulsi ostili destinati a figure ben precise (a volte i genitori; è noto il caso del piccolo Hans, dove un conflitto di ambivalenza nei confronti della figura paterna non viene risolto in relazione alla persona verso la quale gli impulsi sono diretti, ma “aggirato” sostituendo a questa persona un “oggetto altro”, e nello specifico un “cavallo che morde”, S. Freud) ad altre figure sostitutive, ed in questo caso specifico ad animali. Si ipotizza anche che la zoofobia potrebbe essere frutto di un’educazione genitoriale inappropriata: infatti, di fronte a reazioni allarmistiche ripetute alla vista di alcuni animali, il bambino comincia ad associare la situazione a uno stato ansioso.

Queste fobie sono molto limitanti, poiché per quanto la civiltà moderna sia caratterizzata da una crescente urbanizzazione, gli animali possono essere presenti ovunque. Di norma esse spesso si risolvono nel corso dello sviluppo, anche grazie ad un atteggiamento di continua rassicurazione da parte delle figure di accudimento, ma in alcuni casi possono protrarsi fino all’età adulta.

Al di là di queste comuni classificazioni le varie situazioni vanno comunque sempre approfondite caso per caso, con un lavoro di ricerca dei temi evolutivi o delle pulsioni represse sottostanti alle fobie.

É ciò che cerca di fare il Pronto Soccorso Psicologico-Italia ed i suoi professionisti, cercando di trattare il disturbo attraverso un lavoro con il bambino che parta da un’approfondita indagine della paura dell’oggetto fobico. Attraverso un’attenta “analisi della tipologia delle paure” si reperiscono importanti informazioni su quali sono gli argomenti sottostanti in gioco. La diagnosi di un disturbo fobico in età evolutiva deve essere naturalmente preceduta da un’attenta valutazione di come il disturbo si sia manifestato all’interno della storia evolutiva del bambino, e posto in relazione al livello di sviluppo raggiunto e alla storia clinica dello stesso. Una fobia, come già detto, potrebbe avere un’origine traumatica, ed in questa circostanza sarebbe il caso di approfondire eventuali traumi incontrati nel corso della crescita dal bambino; ma potrebbe anche riguardare in “modo più diffuso” altri elementi del suo sviluppo: il fatto che le fobie coinvolgono spesso oggetti ritenuti non pericolosi può far pensare che questi “rappresentino in modo traslato un’altra minaccia”, che si situa su un piano diverso, ad un livello più interno. Si potrebbero così incontrare nel corso della diagnosi altri aspetti temuti, riguardanti ad esempio l’integrità del Sé, le relazioni con gli altri significativi, problemi legati alla separazione e alla crescita, cambiamenti nel contesto di vita reale… tutti elementi che hanno degli importanti riverberi sul piano psichico, tanto da dare dare origine ed alimentare un disturbo fobico. Questi fattori coinvolgono dei temi evolutivi molto importanti nella specifica fase di sviluppo attraversata dal bambino, ed è chiaramente possibile riconoscere nella fobia “un tentativo di controllare, spostandolo su un oggetto concreto, un tema evolutivo difficile da gestire”.

Il lavoro terapeutico sulla fobia deve dunque passare attraverso un lavoro sul tema evolutivo ansiogeno sotteso, sull’origine dell’ ansia originata dalla fobia, affinché consentire al bambino di affrontare gli effettivi nodi ed intoppi evolutivi, sviluppare nuove risorse, una maggiore integrazione, e nuove capacità di riprendere in modo più adattivo e sicuro il proprio percorso di crescita.

Per quanto riguarda invece il ruolo dell’adulto in tutto ciò e, nello specifico, dei genitori, poiché legittime e naturali, le paure dei bambini non vanno criticate ma “accolte e ascoltate con cura e reale attenzione”. L’adulto deve aiutare il bambino ad esprimere il proprio vissuto e a comunicarlo, così da ridurre la tensione e trasmettergli un senso di accettazione ed un valido supporto. Sentire di non essere solo nella lotta contro quanto temuto è per i piccoli molto importante, poichè sperimentano la possibilità di affrontare l’ignoto con maggiore sicurezza e senza sentirsi soli. É quindi molto importante identificare e riconoscere le paure del proprio figlio, anche grazie all’aiuto di uno specialista ed, insieme ad esso, individuare e far interiorizzare al bambino le modalità funzionali per il loro superamento.

Dott.ssa Pamela Cantarella, Psicologa Clinica, Responsabile Settore Comunicazione PSP-Italia