Le spose di Barbablú

A cura della Dott.ssa Pamela Cantarella, Psicologa Clinica, Responsabile Settore Comunicazione Pronto Soccorso Psicologico-Italia.

Le spose di Barbablú

 

La nostra realtà spesso supera per orrore persino il più terrificante scenario fiabesco. La nostra realtà è la culla dei significati capovolti, quella di un mondo al contrario dove il primo imputato -assolto- è la nostra cultura” , (M. Cremaschini)

La storia di Barbablù rappresenta la “parabola evolutiva” di una donna che riscopre l’importanza dell’istinto, e si ribella ad un uomo che la vuole tenere nell’”ignoranza” (intesa come mancato accesso ad una piena e completa consapevolezza, a causa anche e soprattutto di un’incapacità della donna di saper cogliere certi segnali indicatori e predittivi di pericolo).

Una cultura miope e maschilista continua a legittimare ancora oggi una visione della donna percepita come una “proprietà”, con un “destino prestabilito” al quale, nella maggior parte dei casi, si mostra incapace di sottrarsi. Nella donna così intesa, la capacità di decidere e di fidarsi delle proprie sensazioni risulta “deficitaria”.

Siamo di fronte all’eredità delle donne pre-femministe sottomesse all’autorità maschile (del padre prima, e del marito poi), che le costringeva a rimanere nell’ignoranza, non permettendo loro di prendere alcuna decisione, lasciandole cosí incapaci di riconoscere il marcio annidato anche in situazioni ritenute “sacre”, quali ad esempio la famiglia (di origine e/o quella di destinazione).

Siamo di fronte ad un’”ingenuitá” non data da una giovane etá, ma causata piuttosto dal mancato sviluppo di quel “sistema di allarme” che dovrebbe far tenere a distanza certe situazioni pericolose.

Cosí la psiche di certe donne risulta tanto assopita, quasi anestetizzata da non accorgersi di quel particolare evidente ed insolito: una “barba blù”.

La “donna ingenua” non è in grado di sapere, di vedere, di sentire, né di ammettere la presenza di eventuali segnali di pericolo; bensí tende a calpestare le proprie sane intuizioni perché non abituata a dar loro ascolto, in quanto un’educazione precoce alla “remissivitá” l’ha portata ad acconsentire tacitamente e senza opporre resistenza alla volontá altrui, ed anche al persistere, di conseguenza, in una condizione di “non sapere” o di “sapere parziale”.

In questi casi un eccesso di razionalità e di “buona educazione” può rivelarsi letale in quanto porta la donna a separarsi dalla propria “natura intuitiva”, ritrovandosi in una condizione di fragilitá e di totale indebolimento.

Barbablù narra le vicende di una giovane fanciulla che, seppur intimorita dall’uomo dalla barba blu, sceglie comunque di sposarlo e di andare a vivere con lui. Dal marito riceve tutte le chiavi delle stanze del castello ed un solo divieto: non entrare in un’unica stanza. Durante un suo viaggio, la ragazza disobbedisce ed entra nella stanza vietata, scoprendo una carneficina di donne, precedenti consorti dell’uomo, uccise per aver, a loro volta, disobbedito prima di lei.

Ma è solo quell’atto di disubbidienza che permette l’accesso al sapere, è quel sano atto di ribellione che fa assaporare una libertà abusiva, quella di “trasgredire per conoscere”, anche a rischio di scoprire una verità sconcertante.

È solo usando “la chiave della conoscenza” che si può sbloccare la serratura del sapere, che si può scoprire quello che “sta sotto”, che si può giungere “al di lá dell’apparente ovvio”, risvegliando ed assecondando una curiosità che si rivelerà essere “salvifica”.

Ma ciò che ancora di piú conta è la capacità di sopportare quel che si vede: “bisogna essere in grado di comunicare con voce chiara la propria verità, ed essere capaci di adoperare le proprie facoltá mentali per fare quel che è il necessario nei confronti di ciò che si vede” (C. P. Estés)

Quando le donne aprono certe porte segrete della loro esistenza per lo più scoprono di aver permesso l’assassinio dei loro sogni e desideri più cari, la morte delle loro speranze, dei loro progetti più importanti; una volta apparsa questa terribile verità, sebbene sia dolorosissimo, non possono più fare finta che non ci sia.

“Nella stanza segreta, la sposa di Barbablù ottiene la rivelazione della storia sommersa di tutte le donne del passato: la distruzione del corpo e dell’anima del femminile straziata da secoli di predatori” (E. Maderna)

Quel sangue è un sangue che non smette ancora oggi di scorrere e di inondare la stanza… in quanto non tutte le donne riescono a spezzare la catena distruttiva e a liberarsi della forza sanguinaria di Barbablù.

Non sono ci sono riuscite tutte quelle spose di Barbablù che hanno finito per rimetterci i sogni, i desideri, la spensieratezza, la libertà… e, in molti casi, persino la vita stessa. Ognuna di esse ha vissuto in un posto diverso, in una città diversa. Barbablù l’ha incontrata, l’ha presa per mano e si sono innamorati. Perché in fondo, anche nel castello di Barbablù, ogni storia inizia da un progetto d’amore.

Forse un pizzico in fondo all’anima lei ha avvertito qualche dubbio o persino quel piccolo segnale di pericolo… fin dal primo incontro. Ma se è successo, avrá subito scacciato quelle sensazioni, perché avrà pensato: “lui è il mio amore, che vado immaginando!”. Ad un certo punto però il “colore blu” è comparso improvvisamente con tutto il suo orrore… e le punizioni e certi comportamenti violenti sono cominciati ad arrivare senza neanche capire il perché.

La disobbedienza a Barbablù nella vita reale è difatti meno netta e comprensibile di una porta da non aprire, ed è sufficiente oltrepassare un limite qualsiasi: a volte è una gonna troppo corta, altre volte una parola in più o in meno, altre ancora una telefonata o un messaggio non risposti, o la scelta di prendere un caffè con un’amica.

Ma oltre a fronteggiare il “predatore esterno”, la “donna ingenua” deve ammettere innanzitutto la presenza di un “predatore naturale interno”, che mina i suoi poteri intuitivi facendola risultare incapace di registrare a livello conscio certi segnali di allarme. La parte più difficile da svelare non è tanto la vera natura dell’altro, quanto il riuscire a sopportare che si ha una grande responsabilità in ciò che sta succedendo.

Ecco che allora appare fondamentale fare riemergere da un lungo sonno tutte quelle capacità che ad ogni donna vengono date alla nascita, ma che sono state ricoperte da anni ed anni di educazione ed insegnamenti disfunzionali. Esse possono essere riportate allo stato primigenio recuperandole dalle ombre della psiche, in modo da non restare più semplici vittime delle circostanze interne o esterne.

Nella psicologia junghiana si parla di “animus”, concetto psichico di grande valore poiché investito delle qualità che tradizionalmente le donne sono tenute a dissipare: una delle più comuni è la “sana aggressività”, energia intrapsichica che aiuta la donna a compiere tutto quel che lei chiede, e che la assiste nel suo tentativo di raggiungere la consapevolezza.

“Più l’animus è forte, maggiori saranno le capacità, l’agio, lo stile con cui la donna manifesterà le sue idee e il suo lavoro creativo nel mondo esterno in modo concreto” (C. G. Jung).

“Barbablù è una delle storie istruttive più importanti per le “giovani” donne non necessariamente per età, ma in qualche parte della loro mente. È un racconto di ingenuità psichica, ma anche della successiva efficace rottura dell’ingiunzione di “non guardare”, ed ha il fine di rimettere in moto la vita interiore” (C. P. Estés).

Il sangue della stanza del castello di Barbablù chiama a spalancare continuamente la porta, a non volgere lo sguardo, e a raccontare molte e molte volte questa storia, per comprenderla e non dimenticarla.

Il Pronto Soccorso Psicologico-Italia lavora ogni giorno in questo senso: le vittime di violenza vengono accompagnate e sostenute nei loro percorsi di “recupero delle proprie capacità intuitive”, in modo tale da riconoscere eventuali futuri abusatori, sentirli avvicinare e prenderne in tempo le opportune distanze.

Oltre ad offrire alle donne maltrattate una “cura” per le molteplici ferite della loro anima. Per chi vive la violenza, la carneficina è prima di tutto “interna” in quanto ogni giorno muore la propria dignità ed il rispetto per sé stessi.

Ecco che allora bisognerá lavorare anche e soprattutto sul recupero della propria autostima e del valore di sé che l’esperienza della violenza ha fortemente intaccato, cercando al contempo di superare quella paralisi emotiva, esito dell’esperienza traumatica, che fa permanere in una condizione di “passivitá”, e rimandare per troppo tempo l’apertura della porta della stanza vietata!

Solo se si avrà il coraggio di farlo, di guardare e prendere in maniera chiara consapevolezza di cosa c’è dentro e resistere all’orrore della visione, si potrà finalmente avviare quel processo di rinascita: “decidendo di aprire quella porta, la donna sceglie la vita!”

 

Dott.ssa Pamela Cantarella, Psicologa Clinica, Responsabile Settore Comunicazione Pronto Soccorso Psicologico-Italia