Legami di coppia e storia familiare

a cura di: Prof. Mariano Indelicato, Presidente Pronto Soccorso Psicologico Italia

La storia e le norme della famiglia d’origine influenzano le relazioni sentimentali come evidente in alcuni romanzi, ma questo accade anche nella vita reale. La storia familiare si svolge su una trama che ognuno dei partecipanti si impegna a narrare, alla quale ogni membro tende ad uniformarsi o a trasgredire ed è anche su questo che si basa lo sviluppo delle relazioni sentimentali.

Tradire la propria stirpe, scappare dalle proprie origini non porta al rinnovamento ma alla distruzione. Se agli alberi tagliassimo tutte le radici, morirebbero perché impossibilitati ad estrarre gli elementi nutritivi vitali dalla terra. Eliminare le radici ci espone al rischio di far seccare gli alberi o non farne nascere affatto. Cigoli (2008) individua nella vite e nella palma l’albero della conoscenza; nel melo secco e nel fico l’albero infruttifero; nell’ulivo l’albero della discendenza. ‘Ma non è forse l’ulivo l’albero contorto per eccellenza?’ si chiede Cigoli e risponde affermando che ‘il suo essere contorto comporta la presenza sia del secco, sia del frutto’. Ciò significa che affinché l’albero non muoia bisogna contrastare lo scisma ovvero la rottura del legame generazionale. T. Marchetti (2000) sostiene che: “una conoscenza parziale delle proprie origini e quindi di se stessi, si definisce in una mancanza di appartenenza ad un sistema affettivo e relazionale più ampio quale quello familiare, dove il vago lascia spazio a molte supposizioni, domande e al bisogno quindi di trovare risposte certe che pagano fino alla sofferenza generata”.

In Il rosso e il nero di Stendhal anche il rigetto delle proprie origini, il voler appartenere ad un’altra stirpe comporta un senso di vuoto affettivo e relazionale che Julien tenta di riempire attraverso varie storie e relazioni amorose. Al contrario, Mathilde de la Mole, ottenendo dal padre di dare un titolo e una rendita a Julien, tenta di portare l’amato all’interno della propria stirpe. Ella è fortemente ancorata alla propria storia generazionale tant’è che, prima di accettare l’amore di Julien tergiversa molto al fine di poter trovare il modo per risolvere il contrasto tra le ragioni del cuore e le prescrizioni provenienti dalle generazioni precedenti. L’ancoraggio alla storia generazionale della propria famiglia viene descritta abilmente da Stendhal nel momento in cui Mathilde si fa consegnare la testa mozzata del fidanzato, dopo l’esecuzione della sentenza di morte, portandola sulle sue gambe al corteo funebre. Ella la bacia più volte emulando la storia di un suo antenato, Boniface de la Mole, anch’esso impiccato nel 1574, del quale la sua amante, Margherita de Valois, si fece consegnare la testa baciandola pubblicamente come suggello del loro amore. Stendhal ci informa che la storia di Boniface aveva sempre attratto Mathilde la quale lo considerava un eroe.

Sempre T. Marchetti nota che la metafora storica colloca il divenire della storia in una dimensione ciclica, ovvero in una sorta di continuo ritorno che non ha la forma di una linea, ma di una spirale. In questa dimensione circolare che scandisce attraverso le fasi evolutive lo sviluppo dell’esistenza, ogni essere umano, attribuisce un senso epico alla propria vita, dando una forma narrativa e romanzesca all’intreccio complessivo delle singole vicende, caricandole di significati simbolici, affettivi e relazionali, che secondo l’angolazione teorica sistemico-relazionale, prendono il nome di mito.

La storia familiare si svolge su una trama che ognuno dei partecipanti si impegna a narrare, alla quale ogni membro tende ad uniformarsi o a trasgredire. Come in ogni romanzo convivono realtà e fantasia. Il mito, nell’accezione di M. Andolfi e C. Angelo (1987), tende a mischiare gli elementi di cronaca con elementi fantastici per soddisfare i bisogni emotivi dell’intero sistema familiare in funzione del mantenimento del legame generazionale. Esso serve ad attenuare le responsabilità individuali nella costruzione della storia in quanto rimanda ad eventi, spesso sovranaturali, che sfuggono al controllo e alle intenzionalità dei singoli. Se un determinato evento è scritto nella storia mitologica i comportamenti individuali che potrebbero diventare inaccettabili o pericolosi alla storia generazionale trovano una giustificazione sovrastrutturale. Per Andolfi ed Angelo, il terreno di sviluppo dei miti familiari si colloca nei problemi non risolti di perdita, separazione, abbandono, individuazione, nutrimento e deprivazione. In sostanza i miti sono da scrivere nel ‘libro dei debiti e dei crediti’ intra- e intergenerazionale e sembrano stabilire i ruoli che ogni membro deve coprire nella storia familiare. Mathilde, dopo una lunga riflessione, decide di trasgredire le norme familiari accettando l’amore di Julien. Qui inizia il suo dramma che però trova ampia giustificazione nei miti familiari: il trasgredire, il tradire le norme generazionali, il darsi ai sentimenti comporta la tragedia. L’antenato Boniface muore ghigliottinato anche se per motivi politici, allo stesso modo muore l’amato Julien. Boniface si era dato ai sentimenti amando al di fuori del matrimonio Margherita del Valois, Mathilde, contro il parere del padre, si innamora di Julien. Attraverso il gesto di portare la testa mozzata dell’amato sulle sue gambe e di baciarla pubblicamente, tende a riportare i suoi comportamenti trasgressivi ai miti familiari. Il mito, infatti, costituisce un modello di valore ed ha una funzione prescrittiva poiché è attraverso di esso che si avviano i meccanismi di lettura, di classificazione, di interpretazione della realtà. In questo modo esso diventa una matrice di conoscenza e rappresenta un elemento di unione e un fattore di coesione per quanti credono nella sua verità (Andolfi & Angelo, 1987).

Il dramma di Madame de Renal, invece, è quello di scappare, attraverso la relazione con il brillante precettore dei figli, da una monotona realtà matrimoniale: ‘Io donna sposata sarei innamorata! No. Questa follia sarà passeggera….. Però a mio marito, non gli tolgo nulla. Pensa solo ai suoi affari lui’. Ritorna ancora una volta la lotta tra l’ethos e il pathos. Da un lato, i principi etici che vengono salvaguardati, non accettando che una donna sposata possa innamorarsi. In effetti, Louise de Renal ha una certa empatia per il giovane precettore, ma avendo a lungo frequentato i salotti francesi non pensava che potesse essere amore poiché ella considerava quest’ultimo come una disgustosa libidine. Solo nel momento in cui la cameriera Elisa gli confida di essere stata rifiutata da Julien riconosce i suoi sentimenti. Dall’altro il pathos ovvero ciò che Cigoli definisce accessibilità ai sentimenti. Durante il processo e subito dopo la morte di Julien, questi emergono in tutta la loro intensità. Muore dopo tre giorni dall’esecuzione del suo amante.

La lotta tra i principi etici e il pathos rimanda alla scelta dell’altro/a. Bowen introduce il concetto di ‘contratto fraudolento’ in cui ognuno dei partner coglie l’immagine dei bisogni profondi dell’altro e agisce come se proprio lui li soddisferà, pur essendo questa una cosa impossibile per entrambi. E’ il primo momento dell’incontro, dell’illusione, dell’innamoramento.  Malagoli Togliatti e Lubrano Lavadera (2002) affermano che la fase dell’innamoramento è fondamentale nella costruzione dell’identità di coppia in cui avviene l’idealizzazione reciproca in base alla quale ogni membro della coppia propone inconsapevolmente all’altro e a se stesso, un’immagine ideale di Sé, che attrae l’altro in base a quanto questa corrisponde alla soluzione di antichi bisogni profondi.

Cancrini ed Harrison (1991) sostengono che: ‘ci innamoriamo sempre dell’immagine che l’altro ci rimanda di noi, e dell’immagine che a lui rimandiamo. Da questo incrocio e scambio reciproco di immagini scaturisce quella che chiamiamo relazione’.  Norsa e Zavattini (1997) fanno notare che ‘l’innamoramento ha a che fare con uno stato del Sé alla ricerca di qualcosa fuori da Sé‘. E’ la fase in cui i principi etici si sottomettono totalmente al pathos. Dopo la fase dell’illusione tipica dell’innamoramento inizia quella dell’individuazione in cui si dovrebbe accettare l’altro per quello che è piuttosto per come si vorrebbe o ci si è illusi che esso fosse.  Zavattini e Santona (2007) a tal proposito fanno rilevare che ‘se le persone sono giunte con esito positivo al proprio sviluppo individuale, sono in grado di passare da una relazione basata sulla soddisfazione dei propri bisogni narcisistici ad un rapporto fondato sulla condivisione e l’empatia, sulla cooperazione e sulla comprensione, nonché sulla libera espressione della propria personalità’.

E’ la fase del matrimonio in cui si ricongiungono i principi etici con quelli del pathos, dove le promesse esplicite diventano cornice dell’incontro profondo. L’ethos, come abbiamo visto in precedenza, si basa sulla giustizia e la lealtà. Se la giustizia viene meno come all’interno di un matrimonio imposto, può anche venire meno la lealtà così come accade a Louise del Renal. Per l’esplicarsi del pathos sono necessarie scelte libere, non imposte dalle famiglie. F. Botturi sostiene che:  “se nella scelta c’è una risposta, e se nella risposta c’è una scelta, allora la libertà sorge e cresce con l’altra libertà. La compagnia quotidiana delle libertà rimanda per un verso… alla non assolutezza della libertà, ma per un altro verso impone anche di riflettere sul fatto che il contesto di libertà facilita la libertà stessa, così come un contesto d’imposizione impedisce e blocca la libertà”.

 In Sicilia per sfuggire alle imposizioni delle famiglie di origine, per conquistare l’accesso al mondo dei sentimenti al di là delle appartenenze di casta, per poter scegliere ed essere scelti si è sviluppato un fenomeno chiamato ‘fuitina’. Attraverso l’atto del fuggire i giovani amanti mettevano le famiglie di origine, che si opponevano alla loro unione, di fronte al ‘fatto compiuto’. Quest’ultimo consisteva nell’aver avuto un rapporto sessuale e la perdita della verginità da parte della ragazza. A quel punto le rispettive famiglie di origine erano costrette ad accettare la loro unione. Il matrimonio riparatore veniva celebrato subito dopo la fuga senza lo sfarzo tipico delle nozze regolari. Addirittura il matrimonio veniva celebrato all’alba alla sola presenza dei familiari e dei testimoni. Alla sposa era assolutamente vietato indossare l’abito bianco poiché quest’ultimo è simbolo di purezza e verginità che la ragazza fuggita aveva perso. Significativi i riti che seguivano la scoperta della ‘fuitina’. La famiglia, soprattutto quella della ragazza, riceveva parenti ed amici i quali portavano vivande (pasta, carne o altro) per un pasto consolatorio. I genitori nei giorni a seguire non venivano mai lasciati da soli. Singolare che questo rito è identico a quello che segue la morte di una persona cara in cui ai parenti viene portato dagli amici intimi ‘u cunsulo’ (pasto consolatorio). Veniva celebrata la morte del vecchio legame familiare. Seguiva il rito della ‘paciata’ in cui i genitori delle due famiglie si incontravano per organizzare il matrimonio riparatore e dare la dote necessaria ai futuri sposi. Ricordo che l’organizzazione del matrimonio prevedeva la dotazione della dote ai futuri sposi. Una volta che il giovane chiedeva la mano della figlia al padre della ragazza, prima che quest’ultimo acconsentisse al fidanzamento, si incontravano le due famiglie e si mettevano d’accordo sulla dote. Ognuna delle famiglie di origine dichiarava che cosa era disposta a dare ai futuri sposi. Si trattava come di un vero e proprio affare con tanto d’intermediari che cercavano di mettere d’accordo i contendenti. A volte si arrivava a sottoscrivere un atto davanti al notaio: i capitoli matrimoniali. Una volta trovato l’accordo poteva essere annunciato il fidanzamento ufficiale.

Particolare attenzione in questo accordo veniva posta al corredo della ragazza. Era tradizione che le mamme si occupassero fin da quando le figlie erano piccole di fare il corredo. Il ricamo era un’arte in cui erano impegnate tutte le donne della famiglia indipendentemente dalla loro estrazione sociale. Il corredo minimo era costituito con multipli di dodici: poteva essere da 12, 24, 36 secondo le possibilità economiche. Un corredo da 24 era costituito da: 24 lenzuoli doppi di puro lino ricamati a mano, 24 semplici, 36 coppie di federe, 12 asciugamani di tela d’Olanda più 6 per gli ospiti, 12 tovaglie d’organza più 6 per tutti i giorni e così via. Alla mamma dello sposo veniva dato il compito di controllare, prima della celebrazione del matrimonio, che quanto dichiarato corrispondesse al vero. A volte svolgeva il compito direttamente presentandosi a casa della sposa il giorno del matrimonio ed aprendo la cassapanca che conteneva il corredo, a volte demandava questo compito ad una persona di sua fiducia. Nelle ricerche della banca della memoria, a cui accennavo in precedenza, abbiamo trovato un caso singolare in cui gli invitati aspettavano in chiesa il via libera alla celebrazione del matrimonio perché nella conta del corredo mancavano due paia di lenzuoli. La signora a cui era stato demandato il compito di controllare dalla mamma dello sposo, di fronte alla fermezza di quest’ultima a non acconsentire alla celebrazione del matrimonio, per risolvere la contesa andrò a casa sua ed integrò il corredo.

La ‘fuitina’ serviva a trasgredire, in nome del pathos, a superare tutte quelle prescrizioni che avvolgevano lo scegliersi e il conseguente matrimonio. Attraverso di essa si proclamava la libertà della scelta d’amore da parte dei futuri sposi. Era però una trasgressione che andava punita. Vista da parte dei genitori e della comunità era una sconfitta delle convenzioni sociali. Proprio per questo motivo rivivevano l’esperienza del lutto e praticavano i relativi riti.

P. Donati (1986) sostiene che “nel matrimonio l’individuo trova occasione d’incontro e di scontro, di espressione e di alienazione nella società. Capire perché ci si debba sposare, e riuscire a sposarsi in modo soddisfacente, tanto per i subendi che per la comunità sociale che sta loro attorno, sono sempre state faccende molto serie, delle vie seriuse, oltrecché di calcoli, di scambi e di giochi di interesse”.

 Nel matrimonio viene coinvolta l’intera comunità essendo una istituzione sociale e religiosa. “Il matrimonio è una solida istituzione sociale, generalmente consacrata dalla religione, che si impone ai singoli in modo indiscusso. La coscienza collettiva non ammette che la soggettività individuale … entri a relativizzare una regola su cui è costruita tutta l’integrazione sociale, cioè l’identità e l’ordine di una intera comunità” (Donati, 1986).

Bibliografia

Marchetti, T., (2000), Diversi colori del ruolo genitoriale, Roma: Edizioni Kappa
▪Andolfi, M., (1977), La terapia con la famiglia. Roma: Astrolabio.
▪Andolfi, M., (1988), La famiglia trigenerazionale, Roma: Bulzoni.
▪Andolfi, M., Angelo C.,( 1987), Tempo e mito nella psicoterapia familiare, Torino: Bollati Boringhieri.
▪Stendhal, Il Rosso e il Nero, Milano: Garzanti, 2008▪

Bowen M. (1979). Dalla famiglia all’individo, Roma: Astrolabio-Ubaldini
▪Norsa D., Zavattini G.C., 1998. Intimità e collusione. Teoria e tecnica della
psicoterapia psicoanalitica di coppia, Milano: Raffaello Cortina Editore
▪Malagoli Togliatti, M., Lavadera Lubrano, A. , (2002), Dinamiche relazionali e ciclo di vita delle famiglie, Bologna: Il Mulino
▪Cesare Zavattini, G., Santona, A., (2007), La relazione di coppia. Strumenti di valutazione, Roma: Borla
▪Botturi, F., (2003), Soggetto e libertà nella condizione postmoderna, Milano: Vita e Pensiero
▪Donati, P., (1986), La famiglia nella società relazionale. Nuove reti e nuove regole, Milano: Franco Angel

Prof. Mariano Indelicato, Presidente Pronto Soccorso Psicologico Italia