A cura della Dott.ssa Pamela Cantarella, Psicologa Clinica, Responsabile Settore Comunicazione PSP-Italia
“La Fiaba è per eccellenza lo spazio che “conosce” l’infanzia ed in cui l’infanzia si riconosce” (E. Cook)
Da sempre le fiabe accompagnano la crescita e lo sviluppo infantile: i bambini ascoltano storie, ne vengono consolati e spaventati molto prima di essere in grado di gestire le più fondamentali proposizioni logiche di Piaget che possono essere poste in forma linguistica (J. Bruner).
Alcune fiabe famosissime possono essere considerate vere e proprie compagne d’infanzia di ogni soggetto, e rappresentano una “presenza costante” nella crescita psicologica di intere generazioni. Questo per la profonda “consonanza” che sembra esserci tra il bambino e questa forma di narrazione, che “si adatta” perfettamente alla capacità del piccolo utente, poichè “quale che sia l’etá di un soggetto, soltanto una storia che si conformi ai principi alla base dei suoi processi di pensiero risulta convincente”(B. Bettelheim).
La fiaba “aderisce” al bambino perché veicolata da un linguaggio che non richiede sforzi attentivi particolari ed è tipico dell'”acerba” organizzazione mentale infantile. La sua semplicità è il frutto della presenza di una serie di caratteristiche generali (oltre la linearità delle trame e le caratteristiche dicotomiche dei personaggi buono/cattivo), tra le quali è possibile identificare ad esempio le metafore, le onomatopee, i nomi inventati e quelli aggettivati, la ritmicità e la musicalitá di certe espressioni (“lontano lontano”…, “cammina cammina”…); tutti elementi che, sul piano psicologico, possono essere considerati una fonte di sicurezza poiché “sono qualcosa che dice che quella storia proseguirà secondo degli schemi, non ancora del tutto conosciuti ed in evoluzione, ma che sono propri di una particolare forma di racconto che è appunto la fiaba, e che dunque la identificano e la contraddistinguono (Pajno Ferrara).
Inoltre il rischio di perdersi nella dimensione magica e fantastica delle fiabe e di non ritrovare più la strada di ritorno alla realtà è controllato dai cosiddetti “segnali di chiamata”, tra cui i più tradizionali “C’era una volta…” e “…vissero per sempre felici e contenti”, che sono da considerarsi dei veri e propri “landmark” aventi la funzione di separare la realtà dalla fantasia, e di permettere la configurazione mentale, al di là dei contenuti specifici del particolare racconto, di un luogo che risulta a tutti “comune”, ma dal quale bisognerà fare ritorno alla fine della narrazione.
Al “pensare fiabesco” l’umanità deve molto in quanto é da considerarsi un importante modello di “costruzione del reale” in cui la parola e l’immagine ad essa collegata si fondono nella formazione dei “simboli” da cui prende le mosse lo sviluppo stesso del bambino. Al di là del ruolo di intrattenimento che le fiabe rivestono, esse evocano situazioni che consentono al bambino, identificandosi con i personaggi e partecipando emotivamente alla storia, di affrontare ed elaborare le reali difficoltà della propria esistenza, stimolando allo stesso tempo un esercizio mentale di costruzione di una rappresentazione della realtà e dei rapporti nella stessa contenuti. “La fiaba, mentre intrattiene il bambino, gli permette di conoscersi, e favorisce lo sviluppo della sua personalità. Essa offre significato a diversi livelli, ed arricchisce l’esistenza del bambino in tanti modi differenti” (B. Bettelheim)
Questa forma narrativa è da considerarsi un importantissimo strumento che permette al bambino di desumere “per via analogica” tutta una serie di indicazioni circa la comprensione della realtà. In essa sono infatti contenute le rappresentazioni di strutture relazionali, di rapporti sociali, di modalità di soluzione ai problemi, che consentono ai bambini di imparare importanti lezioni di vita, vivendole “per procura” attraverso il “filtro” di personaggi e delle situazioni irreali. La preparazione alla vita offerta delle fiabe può essere considerata come “più forte” rispetto a quella formalmente indicata nelle pratiche educative, poiché si realizza una dimensione fondamentale per l’apprendimento: “data la presenza di una vivace immaginazione, non importa se i problemi si conformano all’esperienza di vita, ma è importante che impegnino l’immaginazione e che diventino veramente problematici” (J. Lave). […]Le fiabe, concepite come strutture narrative che danno forma, senso e significato a una realtà condivisa, possono essere considerate dunque come veri e propri “ambienti di apprendimento”, aventi (in questo caso) delle caratteristiche particolari “a misura” del bambino (I. Lagreca).
Le fiabe costituiscono inoltre uno strumento educativo molto efficace col quale l’adulto indirizza il comportamento infantile relativamente a ciò che accettabile e ció che non lo è, consentendo la costruzione delle nozioni di bene e male, giusto e sbagliato. “La narrazione fiabesca senza dubbio alcuno rappresenta la più convincente e autorevole sedimentazione del pensare e del sentire dell’uomo nel suo contesto di appartenenza, che viene appunto trasmesso attraverso di essa” (E. De Caroli). Dunque le fiabe anche per instaurare nei più giovani l’etica della responsabilità nella lotta di ciò che é giusto contro ciò che è sbagliato; da ognuna di esse il bambino può cogliere una morale ed un insegnamento utile per risolvere problemi o affrontare conflitti interiori tipici della sua età. D’altronde dei modelli di realtà che rappresentano una costante un pò in tutte le fiabe sono la “modalità dicotomica” bene/male di inquadrare il mondo, ed una divaricazione fondamentale dei personaggi in buono/cattivo. Quest’ultima polarizzazione costituisce ad esempio un’importante base “…per comprendere che esistono grandi differenze tra i soggetti, e che quindi bisogna operare delle scelte circa il tipo di persona che si vuole essere; questa fondamentale decisione su cui in seguito si fonderà ogni sviluppo futuro della personalità é facilitata dalle polarizzazioni della fiaba” (B. Bettelheim). Mentre ascolta la fiaba il bambino acquisisce delle idee sul modo in cui dare un ordine al “caos” originario sia del proprio mondo interiore che dell’ambiente esterno, arrivando a comprendere certi “universali” che fanno parte della vita e ad accettarne i principi di fondo, stabilendone priorità e categorie.
Le fiabe dunque quale strumento fondamentale per lo sviluppo emotivo, psicologico e cognitivo del bambino, che lo accompagna nelle sue prime fasi di vita, fornendo importanti insegnamenti che rimarranno impressi nella mente per molto tempo. Esse veicolano “delicatamente” emozioni, modalità di lettura della realtà, e tanto altro ancora; tutto ciò mentre il bambino, emozionalmente rapito, è maggiormente esposto alla significazione della realtà e dei rapporti umani che la fiaba gli offre e che la partecipata presenza dell’adulto gli conferma. Potranno cambiare i tempi (“C’era una volta…”) ed i luoghi (“.. in un lontano reame”), ma rimangono sempre i buoni che si oppongono i cattivi e che fanno trionfare il bene e la giustizia, ma soprattutto rimane lo sguardo attento di un bambino che, mentre segue le vicende, cerca trepidante la mano dell’adulto perché lo aiuti a compiere l’estrema prodezza, in quanto “identificatosi” con l’eroe o l’eroina. Il bambino tende infatti a riconoscersi nel protagonista del racconto e ciò (dato il frequentissimo lieto fine) gli permette di sperimentare una condizione di “fiducia e speranza”: come accade a lui, anche il personaggio della storia narrata vive difficoltà spesso analoghe, per le quali, nonostante gli ostacoli e le peripezie incontrate nel suo cammino, sarà in grado di trovare una soluzione. “Le favole non dicono ai bambini che i draghi esistono, perché i bambini lo sanno già. Le favole dicono ai bambini che i draghi possono essere sconfitti” (G. K. Chesterton). Seppure la soluzione individuata dal personaggio non sarà la stessa che troverà il bambino, egli sperimenterà l’importante assunto per cui è possibile trovare soluzioni ai problemi: “la vita presenta ostacoli e prove da superare, e solo chi sa affrontare le avversità in modo coraggioso ne potrà uscire vittorioso!”. Attraverso le esperienze delle fiabe, il piccolo utente, vivendo in prima persona le avventure dei protagonisti, avrá così la possibilità di esorcizzare le sue esperienze negative e di far tesoro di quelle positive, acquisendo maggior fiducia nelle proprie possibilità.
Date tutte queste importantissime “funzioni” della fiaba è importante e fondamentale che l’incontro con questo fantastico mondo sia “attento e qualificato”, sia un incontro alla presenza psicologicamente attiva e competente dell’adulto che aiuti il bambino a portare al livello di riflessione quanto la fiaba racconta spesso senza denotare, e quanto veicola senza semantizzare (E. De Caroli).
Il Pronto Soccorso Psicologico-Italia conduce questa riflessione sulla fiaba a partire dai suoi utenti, il bambino e l’adulto che, nel momento dell’esposizione alla stessa, si scoprono insieme in un “luogo transizionale” in cui realtà e fantasia, emozione e pensiero, regole e libertà, parole e silenzi si incontrano e si attraversano, per ritornare alla fine ciascuno al loro posto.
D’altronde le fiabe sono una metafora della vita dai forti contenuti simbolici: “[…] in quanto luogo di tutte le ipotesi, esse forniscono delle chiavi per entrare nella realtà per strade nuove, aiutando il bambino a conoscere il mondo” (G. Rodari). Ma affinché ciò possa avvenire in modo efficace é necessario e fondamentale che vi sia, in questo fantastico ed avvincente percorso, un “accompagnatore competente” che sappia sfruttare al meglio tutte le potenzialità di questo potente strumento educativo, e che soprattutto non abbia perso la capacità di sognare: “Chi non è più in grado di provare nè stupore nè sorpresa è per così dire morto: i suoi occhi sono spenti” (A. Einstein).
Gli operatori del Pronto Soccorso Psicologico-Italia fortemente a sostegno e supporto di tutte le possibilità che possano restituire al bambino (ma anche all’adulto) delle occasioni di “creatività autentica”, non già preconfezionata come nei sempre più accattivanti formati multimediali e telematici della nostra epoca ipertecnologica che rischiano, oggi piú che mai, di diventare un sostituto anche alla lettura delle fiabe, condannando gli utenti ad essere dei semplici ricettori di stimoli, dei fruitori “passivi”. Uno schermo blocca lo sviluppo dell’“immaginazione”, da cui deriva invece la straordinaria possibilità di poter dare una propria interpretazione alle varie situazioni, grazie anche allo sviluppo della capacità di elaborare ipotesi e risolvere i problemi, favorendo altresì l’attuarsi del processo di acquisizione etico-valoriale.
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