A cura della Dott.ssa Vera Cantavenera, Psicologa Clinica, Coordinatrice PSP-Italia, Agrigento, e della Dott.ssa Pamela Cantarella, Psicologa Clinica, Responsabile Settore Comunicazione
“Dentro ogni persona anziana
c’è una persona più giovane
che si sta chiedendo
cosa diavolo sia successo”
(TERRY PRATCHETT)
“Faccio fatica a concentrarmi, ho spesso dimenticanze, non riesco a stare attento per lungo tempo, non riesco a comprendere subito e bene ciò che mi viene detto… cosa mi sta succedendo?“
Le difficoltá di attenzione, concentrazione e comprensione, il non riuscire a ricordare nomi, date, cose da fare, rientrano nel normale processo di invecchiamento cerebrale o sono invece un campanello di allarme, sintomo di una patologia?
Per cercare di rispondere a questo quesito appare opportuno partire dal fatto che l’invecchiamento è un processo biologico del tutto naturale, che inizia subito dopo il picco di crescita durante l’età adulta.
Come tutte le parti dell’organismo, anche il cervello è soggetto ad invecchiamento: -sia da un punto di vista strutturale, con una degenerazione progressiva dei suoi neuroni (apoptosi), una diminuzione delle sinapsi e la comparsa di alterazioni nella sua struttura (placche senili); -che da un punto di vista funzionale, attraverso il declino di tutta una serie di funzioni cerebrali chiamate funzioni cognitive (memoria, concentrazione, attenzione, velocità di elaborazione delle informazioni, orientamento spazio-temporale…).
Tutto ciò riguarda un processo di invecchiamento fisiologico che consiste nei classici disturbi dell’etá senile, che possono cominciare tra i 50 e i 60 anni; l’invecchiamento di per sé non è dunque sinonimo di malattia ed, in assenza di particolari stati patologici, grazie ai progressi della scienza, si può arrivare a superare i 100 anni!
C’è da dire che non tutti invecchiano allo stesso modo: si tratta infatti di un fenomeno multidimensionale e multidirezionale in quanto esiste, da soggetto a soggetto, una grande eterogeneità del processo di invecchiamento sia a livello dell’esordio dello stesso (precoce o tardivo), che dell’entitá della compromissione delle varie funzioni.
Se da un lato però i processi d’invecchiamento si configurano come un normale percorso evolutivo dell’essere umano, dall’altro possono essere accelerati e condizionati da una serie di fattori detti “di rischio” che possono portare, purtroppo, al raggiungimento di forme patologiche di demenza senile. Tra di essi si ritrovano la predisposizione genetica alla comparsa di deterioramento cognitivo, la familiarità per lo stesso, il rischio vascolare (demenze vascolari), lo stile di vita negativo (stress prolungato, sedentarietà, fumo e alcol, isolamento sociale…).
I fattori di rischio si vanno a confrontare con tutta una serie di fattori detti “di protezione” che possono invece rallentare il decadimento e, addirittura, potenziare il cervello. Questi sono: uno stile di vita positivo (esercizio fisico, passioni intellettuali, scambi ed interazioni sociali, hobbies, alimentazione sana…), un buon livello di scolarità, il mantenimento dell’attività lavorativa più a lungo possibile, la messa in atto di tecniche di stimolazione cognitiva.
“L’invecchiamento cerebrale è dunque da intendersi come il risultato di un delicato equilibrio tra fattori di rischio e fattori di protezione”
L’invecchiamento normale deriva da una favorevole interazione tra questi fattori; si parla invece di invecchiamento patologico quando evidentemente i fattori di rischio sono maggiori di quelli di protezione, e quando le compromissioni che riguardano il soggetto determinano dei sintomi a livello cognitivo, comportamentale o della personalità tali da determinare un’alterazione del suo stato funzionale, con gravi ripercussioni sull’autonomia e sullo svolgimento delle normali attività di vita quotidiana.
Ecco che a questo punto appare fondamentale andare a ricercare eventuali campanelli d’allarme o segni premonitori che indichino degli “stati prodromici”, delle fasi iniziali di deterioramento non dovuto esclusivamente al progressivo avanzare dell’etá, su cui poter intervenire per rallentarne il decorso.
É questa la sfida delle moderne Neuroscienze, rappresentata proprio dall’individuazione precoce di condizioni che, pur non manifestando i segni clinici specifici di una patologia conclamata, indicano la presenza di “processi patogenetici” che possono condurre al suo sviluppo.
Ed è in questa prospettiva che si inserisce il concetto di Mild Cognitive Impairment (MCI), che rappresenta una “condizione borderline” di declino cognitivo definito “lieve”, tra l’invecchiamento normale e la demenza;
a differenza di quest’ultima, non è presente quella grossolana compromissione delle attività della vita quotidiana di cui sopra, ma si tratta di una condizione pre-clinica di elevato rischio per lo sviluppo di patologie caratterizzate da demenza, in quanto indicatrice di un processoneuropatologico sottostante, difficile da rilevare data l’assenza di segni clinici evidenti.
Ecco perché l’individuazione precoce di queste condizioni riveste un ruolo cruciale ai fini della ricerca e dell’intervento terapeutico stesso.
È qui che l’equipe del Pronto Soccorso Psicologico-Italia può intervenire con la somministrazione di appositi testneuropsicologicistandardizzati e validati, in modo da effettuare uno screening a prevenzione di un’ulteriore compromissione cognitiva, mostrandosi come un valido aiuto giá dal momento in cui il soggetto inizia a lamentare un cambiamento del proprio funzionamento cognitivo in termini difettuali, soprattutto nelle capacità di memoria, attenzione, concentrazione, velocità di elaborazione delle informazioni… in modo da poter intraprendere appositi percorsi di training, che sfruttino il livello di riserva cognitiva e mirino al mantenimento delle abilità residue.
I risultati dei test rappresentano un “report oggettivo”, che va ad integrare ciò che il soggetto stesso riferisce in prima persona, ed il resoconto dei suoi familiari (report soggettivi).
L’obiettivo è dunque quello di partire da una completa, e quanto più attendibile possibile, valutazione dello stato di funzionamento cognitivo della persona, per programmare poi il trattamento più adeguato.
Un valido supporto viene fornito anche ai familiari, che vengono portati a conoscenza delle strategie e degli strumenti più idonei ed utili per gli interventi domiciliari.
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