A cura del Prof. Mariano Indelicato, Presidente Pronto Soccorso Psicologico
La figura dello psicologo all’interno della scuola non ha mai avuta troppa fortuna tant’è che sono tanti anni che se ne parla senza arrivare a una definizione legislativa. Solo dopo l’emergenza legata alla pandemia Covid 19, si è arrivati è stato approvato un protocollo di intesa tra il CNOP (Consiglio Nazionale Ordine degli Psicologi) e il Ministero dell’Istruzione che autorizza e finanzia la presenza dello psicologo nelle istituzioni scolastiche sul territorio nazionale. Il lungo iter e confronto legislativo che ha coinvolto varie legislature e ancora non è arrivato ad una definizione definitiva era stato, nei primi anni del novecento, immaginato da uno psicologo francese Renè Zazzo al quale si deve l’eliminazione, per un periodo limitato di tempo , dal sistema scolastico francese delle classi speciali. Infatti, nel momento in cui erano state ripristinate ebbe a dire ““La distruzione e la fine della psicologia scolare che passò a occuparsi dei bambini problema anziché dei problemi dei bambini l’ho sentita come il più penoso insuccesso di tutta la mia carriera professionale”. Forse in questa frase è contenuta l’ideologia che ha evitato l’istituzione della figura dello psicologo scolastico il quale dovrebbe occuparsi dei problemi dei bambini piuttosto che dei bambini problema. Ancora oggi permane una visione di questo tipo poiché i fondi che sono stati stanziati dal 2020 ad oggi riguardano prima l’istituzione degli sportelli di ascolto psicologico durante le fasi pandemiche rivolte ai ragazzi, ai genitori e agli insegnanti e, nell’ultimo anno, quelli legati al PNNR con il progetto futura a cui i psicologi è stato riservato il ruolo di mentoring e di orientamento in riferimento alla dispersione scolastica. La difficile affermazione del ruolo dello psicologo scolastico ripercorre un po’ la storia della psicologia scolastica. Infatti, essa è stata fondata nel 1910 nel momento in cui si afferma la necessità di introdurre degli psicologi nelle scuole per condurre delle valutazioni che generalmente si limitavano a quelle psicodiagnostiche con il fine di individuare i bambini che presentavano dei problemi sul piano cognitivo e/o intellettivo. Solo nel 1948 si ha il primo riconoscimento ufficiale in quanto l’APA ( (American Psychological Association) istituisce una divisione, la 16, per occuparsi di psicologia scolastica. Nel 1969 viene fondata la NASP (National Associaton of School Psychologists) che, insieme all’APA, supporta la fondazione dell’International School Psychology Committee (ISPC), in seguito convertita in ISPA (International School Psychology Association). Il compito delle suddette associazioni e divisioni era quello di individuare gli ambiti e le competenze che lo psicologo impiegato all’interno della scuola doveva possedere. In particolare, la Nasp ha individuato gli standard che i programmi formativi dovevano promuovere che consistevano in 7 competenze:
capacità relazionali e di collaborazione
consapevolezza della diversità e formulazione di servizi sensibili
competenze nell’utilizzo e nell’applicazione delle tecnologie
responsabilità professionale, legale, etica e sociale
capacità basata sui dati di prendere decisioni
capacità di intervenire sull’intero sistema (individui, gruppi, comunità)
capacità di promuovere lo sviluppo di capacità cognitive e accademiche e di promuovere benessere, abilità sociali, salute mentale e competenze di vita
Per tanti anni, ed ancora oggi i suddetti standard sono rimasti lettera morta poiché lo psicologo scolastico è stato visto come una figura di supporto solo per eventuali casi disfunzione affettiva e cognitiva non riconoscendogli, invece, nessun tipo d’intervento di tipo preventivo, relazionale e di gruppo.
In Italia l’ Istituto Superiore Pubblica Amministrazione (ISPA) ha indicato una serie di obiettivi già dagli anni 90 a cui immediatamente il sistema universitario si è adeguato inserendo insegnamenti specifici come la psicologia generale, dello sviluppo, sociale e di comunità riconoscendo che il compito della psicologia scolastica è quello di intervenire sul sistema scuola (genitori, insegnanti, alunni) nel suo complesso. Quest’ultima, inoltre, è calata in un ampio contesto territoriale (enti locali, sistema sanitario) ed è composto tanto da singoli individui quanto da gruppi (classi, famiglie, docenti) di cui si deve tenere conto. Alcuni autori, a tal proposito, hanno formulato la definizione di psicologo scolastico di comunità il quale lavora in rete, dialogando con la scuola e il territorio, opera in sinergia con tutti gli attori del contesto per promuovere salute e benessere, prevenire e contrastare fenomeni di rischio e sistematizzare buone prassi psicologiche. In più deve svolgere attività di formazione, valutazione, diagnosi, sperimentazione e formulazione dell’intervento, attivazione di percorsi di prevenzione del disagio e di promozione del benessere e di verifica dell’efficacia, attività che possono confluire in progetti scolastici strutturati. Nello specifico le attività dello psicologo scolastico di comunità possono essere individuate nelle seguenti:
valutazione e sperimentazione educativa e pedagogica
valutazione, diagnosi e supporto delle difficoltà relative alla motivazione, all’apprendimento e alla concentrazione degli alunni
valutazione e intervento per problemi relativi alla condotta
consulenza per il personale scolastico
formazione, sensibilizzazione e supporto per gli insegnanti nella gestione della classe e nella mediazione con le famiglie
sportello di ascolto e sostegno psicologico per studenti, genitori e docenti
attivazione di percorsi di integrazione scolastica e di lotta alla marginalità sociale
prevenzione dell’abbandono e della dispersione scolastica
prevenzione, valutazione e intervento di peculiari dinamiche sociali e di conflitto (per esempio, bullismo e cyberbullismo)
attività di counseling e orientamento alle scelte scolastiche e professionali.
A tal fine si riporta un’esperienza svolta all’interno del progetto prevenzione della salute a cura dell’Assessorato Pubblica Istruzione del Comune di Catania coordinata da me. L’attività ancora in essere è stata programmata durante la fase di uscita dalla fase pandemica COVID 19. Momento in cui l’ONU ha raccomandato ai Governi (dichiarazione del 8 aprile e 13 maggio 2020) la necessità di aiutare i soggetti più giovani e, in Italia, l’Istituto Superiore di Sanità ha invitato lo stesso governo ad adottare misure di sostegno psicologico durante la pandemia (ISS 31 maggio 2020). Era la fase, inoltre, in cui alcuni studi condotti soprattutto in Cina, paese che per primo si è trovato costretto ad affrontare l’emergenza COVID 19, hanno messo in luce che:
• il 43,7 % dei giovani fino ai 18 anni ha sviluppato problemi depressivi durante la pandemia ;
• 37,4% problemi ansiosi (Zhou et al. 2020).
Questi dati, inoltre, si inserivano all’interno della pregressa situazione della classe giovanile poiché, secondo i dati del Global Mental Health, circa il 20% dei giovani sino ai 18 anni ha problemi di tipo psicologico che rappresentano la prima voce tra i problemi di salute in questa fascia d’età.
Questi dati insieme alle raccomandazioni ricevute hanno portato all’importante accordo del 6 agosto 2020 tra Ministro della Pubblica Istruzione e sindacati in cui, tra le misure da adottare per l’apertura della scuole dopo la fase pandemica, viene inserito un punto specifico per il sostegno psicologico sia agli alunni che agli insegnanti. A tal proposito il Presidente dell’Ordine degli Psicologi ha affermato: “come si può pensare il mondo della Scuola, chiamato non solo a dare contenuti da imparare ma ad essere un catalizzatore positivo per la crescita delle persone, un grande luogo di “ascolto”, sia “disarmato” e impotente dal punto di vista psicologico? E’ evidente, soprattutto di fronte alla crisi sanitaria e sociale della pandemia che è diventata crisi psicologica, che mantenere la Scuola priva di competenze psicologiche è pura follia. Un errore madornale mi viene da dire, che priva studenti e docenti di un aiuto, una consulenza, che è fondamentale per aiutare questa realtà così importante a funzionare bene e conseguire i suoi importanti obiettivi”.
Su questi presupposti è stato presentato al Comune di Catania un progetto accolto dall’Amministrazione Comunale che prevedeva:
una conferenza iniziale, anche a piccoli gruppi o in modalità on-line, in cui informare la popolazione scolastica circa le attività previste dal progetto. Tale conferenza iniziale non aveva solo uno scopo meramente informativo ma doveva avere una funzione catalizzatrice e di allentamento delle difese psichiche al fine di promuovere una domanda di sostegno circa i vissuti legati alla condizione pandemica;
L’istituzione di uno sportello di ascolto con la presenza di uno psicologo a servizio degli alunni, del personale scolastico e dei genitori secondo una agenda da concordare con il dirigente scolastico. L’accesso allo sportello avveniva in forma anonima tramite mail di prenotazione da inviare allo psicologo preposto;
L’elaborazione di gruppo dei vissuti sperimentati durante i lunghi periodi di quarantena e le ripercussioni emotive legate all’emergenza sanitaria attraverso tecniche di tipo narrativo e immaginative in collaborazione con gli insegnanti di lettere, storia ed educazione artistica i cui risultati sono stati ridiscussi con gli alunni.
Riguardo all’ultimo punto si trattava di far fare un elaborato agli alunni in cui descrivevano la loro esperienza e i loro vissuti legati all’emergenza sanitaria e le sue ripercussioni. Tale intervento affonda le sue radici nei fondamenti epistemologici della terapia narrativa. Il focus principale della terapia narrativa è sulle interpretazioni o sui significati che le persone attribuiscono agli eventi delle loro esistenze. La comprensione interpretativa che le persone hanno degli eventi può limitare o accrescere la loro possibilità di azione. I terapeuti narrativi aiutano quindi i clienti a produrre interpretazioni di se stessi e delle situazioni più aperte e maggiormente comprensive della variabilità contestuale. Aspetti di sé nascosti da interpretazioni riduttive possono, infatti, venire alla luce se considerati secondo una più aperta comprensione narrativa. Bruner informa che “vita stessa è una narrazione in quanto storia”. L’uso e la presenza costante della scrittura negli ultimi cinquemila anni di storia dell’uomo dimostra lo straordinario potere psicologico, oltre che comunicativo, di questo mezzo. Lo stesso metodo di distinzione tra storia e preistoria mette in evidenza l’importanza della scrittura nella rilettura della cultura umana: è storico tutto ciò che avviene dopo che l’uomo ha iniziato a lasciare documenti scritti. Scrivere qualcosa, come leggerlo, può facilmente cambiare il nostro umore ed avere forti implicazioni sul resto della nostra giornata. Non solo, la scrittura può cambiare i nostri stati interiori e l’organizzazione dei pensieri, anche quando scrittore e lettore siano separati da una consistente distanza spazio-temporale. I motivi per cui l’uomo scrive possono essere ricondotti prevalentemente ad un forte bisogno comunicativo insito nella mente umana, per sua natura prettamente linguistica. Alcuni autori come Maturana vedono il linguaggio come caratteristica essenziale di una mente autocosciente. Secondo questo approccio la mente è funzione del linguaggio e non viceversa.
La scrittura ha un alto potere comunicativo essendo uno dei metodi più efficaci e sicuri per scambiarsi informazioni. La scrittura, da un punto di vista psicologico, dà all’uomo l’illusione benefica di poter lasciare un segno e di far sì che i propri pensieri gli sopravvivano.
Ma le funzioni della scrittura non si limitano all’ambito di una comunicazione tra figure reali. Si può benissimo scrivere ad un altro immaginario e cogliere ugualmente i benefici di un’attività liberatoria ed organizzatrice come questa. recenti approcci biografici e narrativi mostrano come proprio la narrazione sia un elemento centrale nella vita dell’uomo. La narrazione individuale di storie genera l’organizzazione mentale di una biografia personale che, adeguatamente intrecciata con le storie di altre vite, contribuisce a donare un senso alle proprie esperienze ed alla propria esistenza. Gli psicoterapeuti individuano nell’attività del narrarsi il fulcro del processo terapeutico: l’uomo costruisce e ricostruisce i propri mondi narrandoli. La terapia narrativa ha scoperto l’importanza fondamentale che il narrare riveste nella continua ridefinizione di un’identità. La terapia viene così vista come un racconto, come un romanzo, come un’opera d’arte. J. Hilmann sostiene che “l’intera attività terapeutica è in fondo questa sorta di esercizio immaginativo che recupera la tradizione orale del narrare storie: la terapia ridà storia alla vita”. In campo clinico, Erving Polster suggerisce che la vita di ogni persona può essere vista come un romanzo: la scoperta di tale analogia sarebbe di per sé terapeutica.
Polster, come Hillman vede la psicoterapia come un processo estetico-artistico. Il terapeuta deve usare gli stessi criteri selettivi e costruttivi che usa uno scrittore nel produrre una storia, allo scopo di aiutare il cliente a “ri-scrivere” la sua biografia. È in questo modo che all’interno del setting si produce una storia di cui terapeuta e cliente costituiscono i co-narratori. Tale prassi d’intervento è sostenuta dalla “scoperta” teorica di un modo specifico di funzionare della mente: il pensiero narrativo.
Ecco perché di fronte ad un’emergenza che non trovava riscontri nella storia individuale di ognuno di noi, come l’emergenza COVID con il conseguente distanziamento personale e interpersonale che ha comportato, abbiamo proposto l’utilizzo di tale tecnica come momento “catartico” e possibilità di incorporare all’interno del proprio “IO” il cambiamento.
All’interno del progetto abbiamo, inoltre, istituito un’assistenza continuativa telefonica h24 mettendo a disposizione un numero di telefono appositamente dedicato che offriva un servizio di pronto intervento e supporto immediato. A tale servizio di assistenza si potevano rivolgere il personale della scuola, gli alunni e i genitori.
I risultati sono stati soddisfacenti e i lavori prodotti saranno oggetto di una prossima pubblicazione.
Il dato, comunque, più importante è che il Comune di Catania ha prorogato il progetto che attualmente si svolge su altri contenuti sempre tenendo fermo che l’intervento dello psicologo all’interno della scuola non è solo e semplicemente di tipo individuale ma si rivolge all’intero sistema scuola che non può essere estirpato dal suo contesto territoriale. In fondo è ormai prassi consolidata della psicologia, a cui non può sfuggire quella scolastica, che il contesto è la matrice dei significati dei comportamenti individuali e collettivi e senza un intervento complessivo e contestuale non è possibile produrre nessun tipo di cambiamento. Questo per affermare sempre con maggiore evidenza scientifica che lo psicologo all’interno della scuola non può essere una figura sporadica di supporto ma deve diventare un elemento organico del sistema in modo da programmare con tutti gli altri attori interventi pedagogici ed educativi efficaci. Si auspica che le singole esperienze possono essere pianificate finalmente all’interno di una legislazione che riconosca il valore della psicologia scolastica di comunità.
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