A cura del Prof. Mariano Indelicato, Presidente Pronto Soccorso Psicologico-Italia, e della Dott.ssa Pamela Cantarella, Psicologa Clinica, Responsabile Settore Comunicazione Pronto Soccorso Psicologico-Italia.
“Lo sviluppo dell’individuo, che dura tutta la vita, prevede un grande lavoro, passando attraverso le varie “fasi del ciclo vitale”: ogni fase fa entrare in un nuovo mondo, dal quale si esce con un nuovo Sé”.
Uno dei capisaldi che ha guidato la Psicologia sin dai suoi albori nello studio dell’Infanzia è che essa sia il contenitore delle determinati della psicopatologia nella vita adulta.
Già S. Freud, e tutte le successive teorie psicoanalitiche, nel trattamento delle patologie cercavano nello sviluppo infantile “le cause” o i punti di fissazione della libido che, se riportati alla coscienza, potevano contribuire alla guarigione del soggetto.
Erano i traumi infantili, i vissuti in particolari stadi di sviluppo i responsabili non solo delle patologie ma anche dello strutturarsi della personalità adulta. Le analisi cliniche portavano a rilevare gli elementi pregressi che influenzavano in modo fondamentale il funzionamento psichico di un individuo; pertanto determinate esperienze dell’infanzia diventavano causa delle nevrosi adulte.
Di fronte ad una diagnosi di psicosi, ad esempio, bisognava ricercare traumi o esperienze negative nella “fase orale”, ovvero nella fase dell’onnipotenza infantile, nella quale non vi è una netta distinzione tra l’individuo e il mondo esterno. La fuga, il ritiro dal mondo reale, tipiche della schizofrenia altro non erano che rivivere i momenti, la fusionalità vissuti durante la fase orale.
Allo stesso modo, come ci informa F. Dogana, l’orientamento passivo-dipendente e recettivo della personalità adulta, caratterizzato dal bisogno di essere rassicurati e accuditi, dalla paura di venire abbandonati e dalla dipendenza degli altri per il mantenimento dell’autostima, erano da riferire sempre alla “fase orale”, cosi come il ricorso all’introiezione orale tipica dell’avidità, della golosità, del fumare in maniera eccessiva, dell’abuso di alcool e/o di sostanze psicotrope come meccanismo di difesa rispetto all’ansia.
Alla “fase anale” erano da riferire, oltre alla personalità paranoide, l’avarizia, il perfezionismo e l’ostinazione. L’avarizia deriva dalla ritenzione anale connessa all’idea che il contenuto intestinale sia un bene prezioso che non si vuole cedere. Il perfezionismo indica sia la sottomissione alle figure parentali, sia una difesa contro le pulsioni: il disordine della sensualità viene sublimato attraverso l’ordinare, il precedere, il sistemare. La testardaggine sarebbe dovuta alla fissazione rispetto alla ribellione verso i genitori per le loro esigenze di regolazione delle funzioni escretorie.
Dalla “fase fallica” dipenderebbero le nevrosi, i disturbi d’ansia e le sociopatie.
Secondo questo orientamento “l’identità del soggetto, superata la fase di latenza e la fase genitale, sarebbe già formata e costituirebbe l’abitus del soggetto per il resto della sua vita”.
Successivamente J. Bowlby, seguendo la scia delle teorie psiconalitiche, attraverso la “teoria dell’attaccamento” ricerca le caratteristiche personologiche e psicopatologiche dei soggetti nei primi anni di sviluppo infantile, cosi come D. Winnicott, D. Stern ed altri.
Dai primi studi di Psicologia emerge, quindi, che “lo sviluppo dell’individuo si fermi una volta raggiunta l’età adulta, e l’infanzia nel bene e nel male sia il serbatoio da cui attingere per il resto della vita”.
Il problema è rispondere a che cosa rimane costante e che cosa cambia in ogni persona con il trascorrere del tempo. Quali sono gli elementi essenziali che concorrono a definire la sua identità immutabile, e quali invece evidenziano il suo rinnovamento nel tempo?
Se partiamo dal presupposto che il comportamento umano, le azioni dell’individuo sono a rivolte ad un continuo adattamento all’ambiente esterno e al farsi riconoscere come individuo unico nel palcoscenico della vita, non possiamo che arrivare alla conclusione che, “per spiegare i fenomeni psichici, l’identità soggettiva è soggetta a continui aggiustamenti e cambiamenti durante tutto l’arco di vita”.
Il concetto di “ciclo di vita” è ritenuto centrale nei recenti dibattiti sullo sviluppo dell’individuo: l’ontogenesi viene estesa a tutta la vita, e non più relegata agli anni dell’infanzia, ritenuti tradizionalmente cruciali e determinanti per lo sviluppo di future psicopatologie.
Secondo quest’ottica si ha una visione dell’uomo “in costante trasformazione”, sia nell’età cosídetta evolutiva, che nelle età successive: la psicologia dell’età evolutiva si ritrova dunque ad estendere il proprio interesse all’“intero arco di vita”.
Ciascuna fase del ciclo vitale è caratterizzata da momenti di crescita e di declino, intesi come processi congiunti, e lo sviluppo psicologico è co-determinato da fattori interni, familiari, ambientali, e assume forme diverse in funzione delle varie condizioni di vita storiche, sociali, culturali.
Le fasi del ciclo di vita sono definite a partire da eventi critici prevedibili ed imprevedibili, e innescano le transizioni da una fase a quella successiva: “la natura dello sviluppo risulta quindi peculiare, in quanto procede per successivi superamenti di crisi, attraverso un costante processo di riaggiustamento, riorganizzazione, momenti di morfostasi e di morfogenesi” (E. Scabini).
O come sostiene ancora P. B. Baltes, “lo svolgersi della vita umana richiede una serie di successivi adattamenti ai numerosi cambiamenti che ciascuno incontra nel corso dell’intera esistenza”; nel carattere migliorativo o peggiorativo dei cambiamenti gioca un ruolo cruciale il tipo e la quantità delle risorse che il soggetto ha a disposizione in quel determinato momento.
In ciascun individuo vengono individuati diversi momenti di passaggio (crisi di crescita) in virtù dei quali egli deve continuamente “riorganizzarsi” per rafforzare le modalità del suo funzionamento, quando risultano inadeguate rispetto alla nuova situazione, favorendo il proprio cambiamento e mettendo in atto modalità comportamentali più mature ed adeguate alle specifiche situazioni.
“Come un piccolo terremoto l’entrata in campo di una nuova fase di vita comporta nuovi compiti, nuove sfide, ma anche una nuova percezione di sé, degli altri, dei rapporti che possiamo e non possiamo (più) intrattenere con loro, e del nostro ruolo col mondo, con la società, con le leggi e le regole che lo costituiscono. Tutto ciò ha forti influenze sul nostro vissuto, sul modo in cui ci viviamo e in cui ci percepiamo” (Jay Haley).
Una crisi è positiva se consente la crescita psicologica e sociale dell’individuo; negativa se lo stesso non riesce ad organizzarsi di fronte ad essa, e si ritrova a vivere momenti di difficoltà legati alle problematiche specifiche della fase che attraversa, che risultano accompagnati da stati d’animo e sensazioni spiacevoli (come ansia, confusione, sofferenza o paura) a cui spesso non si riesce a dare significato e che, da soli e senza alcun aiuto, non si riescono ad affrontare nel modo più giusto.
Nell’ottica di prevenire e risolvere queste forme di disagio che potrebbero rivelarsi temporanee, ma che potrebbero anche dare origine a vere e proprie condizioni psicopatologiche, una figura professionale specializzata sarebbe sicuramente di aiuto per cercare di superare tali ostacoli, e provare a fare recuperare ai soggetti interessati da tali problematiche il proprio benessere.
Accanto a ciò vi è anche il fatto che un individuo, nel corso della propria esistenza, miri continuamente a farsi riconoscere come “individuo unico”, ed in virtù di ciò tende a differenziarsi dagli altri già dall’atto del concepimento. Infatti, durante la meiosi la nuova cellula, anche se contiene le informazioni genetiche delle precedenti, non ne è la loro somma. La nuova cellula è il primordio di un nuovo individuo: ecco già l’inizio del “processo di differenziazione”, cosi come con il parto quando il neonato, finita la fase simbiotica con la madre, inizia a contraddistinguersi da quest’ultima.
E’ in questo momento che inizia la “battaglia della vita” in cui il nuovo individuo deve confrontarsi con un mondo ostile, e quindi cerca continuamente protezione e rassicurazioni. E’ evidente che il neonato, l’infante, il bambino, avendo a disposizione risorse limitate sia sul piano fisico che psichico, è esposto a molti rischi ai quali risponde in maniera parziale e limitata, avendo sempre bisogno dell’Altro (rappresentato dai genitori e da qualsiasi altra figura disponibile a fornire accudimento); un bisogno dell’Altro che non si esaurisce con l’infanzia e\o con l’adolescenza, ma che dura tutta la vita.
Il lavoro psichico necessario all’adattamento ambientale serve a trasformarsi da “essere biologico” in “essere culturale”, ovvero a mettersi in contatto con gli altri e con il mondo esterno.
S. Freud, in Al di là del principio di piacere, attraverso il concetto di “coazione a ripetere” affermava che gli adulti ricreano nei rapporti interpersonali della propria vita le esperienze di relazioni della prima infanzia. Ciò implica che l’individuo sia un “sistema chiuso” incapace di produrre e auto-produrre cambiamenti.
Al contrario, ogni essere vivente è un “sistema aperto”, capace di adattarsi alle continue e mutevoli condizioni ambientali. A questa affermazione non fa eccezione l’uomo. “L’identità individuale, in un quadro di apparente stabilità, è in continua evoluzione e cambiamenti”.
L. von Bertalanffy, introducendo la “teoria generale dei sistemi”, scoprì che un organismo cellulare inserito all’interno di uno stagno cambiava colore in funzione dell’acqua che, a sua volta, si colorava in relazione al primo: “è il rapporto, il legame che si costruisce tra individuo e contesto di vita che produce i cambiamenti a cui non sfuggono neanche le patologie”.
Per spiegare la schizofrenia o altre forme psicotiche, sebbene le esperienze infantili siano importanti quanto tutte le altre, non è necessario risalire fino all’infanzia: “i traumi o gli accidenti che cambiano il corso della storia sono sempre possibili”.
Ad esempio, è stato ampiamente dimostrato che se si viene sottoposti a deprivazione sensoriale si possono avere, anche da adulti, reazioni di tipo psicotico. Attraverso degli esperimenti a tal proposito si è scoperto che la saturazione percettiva produce allucinazioni in quanto il soggetto tende a sfuggire ad una realtà per lui inaccettabile. Questi fenomeni avvengono indipendentemente e al di là delle esperienze infantili.
Il disturbo post-traumatico da stress si instaura a seguito di una esperienza negativa, dolorosa e angosciante vissuta dal soggetto senza nessun riferimento, anch’esso, alle esperienze infantili.
Si potrebbe continuare con altre forme patologiche come le fobie o gli attacchi di panico, ma ciò che interessa è che “l’infanzia è una fase della vita in cui si possono insinuare semi di future patologie, cosi come ció può avvenire in qualsiasi altre fase dell’intera esistenza”.
I cambiamenti sono sempre possibili sia in senso positivo che negativo. Il problema, semmai, sta nell’elaborare e nel rielaborare la propria storia in funzione dell’ambiente in cui si è inseriti. Non è detto che gli strumenti che vengono forniti dai caregivers durante l’infanzia, o che vengono tramandati dalle generazioni precedenti, siano sufficienti al potersi adattare agli innumerevoli contesti con cui si entra in contatto durante il corso della vita. Sta al soggetto trovare le risorse disponibili per poterli affrontare.
“Lo sviluppo, che dura tutta la vita, prevede un grande lavoro, passando attraverso le varie fasi del ciclo vitale: ogni fase fa entrare in un mondo nuovo dal quale si esce con un nuovo Sé”.
La vita è un viaggio più o meno lungo che assomiglia a quello dell’eroe, tante volte descritto dai film della Walt Disney. L“eroe”, che è colui che muove la storia ed ha un punto debole in cui può essere colpito, generalmente è accompagnato da un “mentore” che è colui che lo guida, lo allena e lo supporta per incoraggiarlo a continuare il viaggio.
Se l’eroe è l‘Io della storia, il mentore è il suo Sé, e rappresenta i genitori e il sistema generazionale. Questi ultimi dovrebbero supportare e allenare il proprio figlio ad affrontare le prove, ben sapendo che deve svolgere il viaggio da solo. Essere guida non vuol dire pianificare il futuro dei figli, ma semplicemente donargli gli strumenti necessari per poter affrontare le prove: “sta nel donare le qualità simboliche della speranza e della fiducia nel legame, e della giustizia nello scambio con l’altro la chiave di volta per poter affrontare i continui cambiamenti che la vita pone davanti, per evitare di cadere nella patologia”.
D’altronde la mamma aquila, nel momento in cui si rende conto che il suo piccolo è pronto a volare, lo artiglia, lo porta in alto cielo e lo lascia andare.
In sostanza tocca alle generazioni precedenti garantire uno spazio fluido e di rinnovamento delle origini a quelle successive. L’infanzia è una tappa di questo viaggio più o meno importante come tutte le altre, ma non è necessariamente la fonte di tutte le patologie.
E’ sicuramente una tappa complicata e difficile poiché, come detto sopra, il bambino non possiede ancora tutti gli strumenti per poter fronteggiare l’ambiente esterno, ma contribuisce allo sviluppo di eventuali patologie più o meno come tutte le altre.
Al contrario, è ormai patrimonio della Psicologia che i sintomi si incastrano nelle varie “fasi di passaggio del ciclo vitale” nell’infanzia come in tutte le altre.
Dopo i primi anni di vita non esiste dunque staticità o definizione certa, ma “è sempre possibile un cambiamento, una trasformazione”, essendo l’esistenza umana un processo in continua evoluzione.
In ogni fase di vita l’individuo, così come può andare incontro a determinate difficoltà, tipiche di quella determinata fase (che possono amplificarsi se collegate ad un mancato superamento di fasi e compiti precedenti), può anche assolvere in maniera adeguata ai vari compiti di sviluppo, ed affrontare le eventuali criticità mettendo in campo risorse specifiche, grazie anche, se ritenuto necessario, al supporto di figure specialistiche che possano offrire un ausilio nell’accogliere i bisogni presenti in ognuna delle fasi specifiche, con l’obiettivo di superare eventuali impasse e procedere nel processo di sviluppo rinforzando consapevolezze, risorse e competenze.
Gli specialisti del Pronto Soccorso Psicologico-Italia risultano essere formati ad hoc e si mostrano molto sensibili nel prestare particolare attenzione allo sviluppo individuale nel corso dei “periodi di transizione” contraddistinti da specifici compiti evolutivi.
Inoltre, il Pronto Soccorso Psicologico, per tutte le considerazioni esposte nel presente articolo, propone un metodo di intervento innovativo e breve poiché lavora sul “significato nel qui ed ora del sintomo”, senza andare alla ricerca di determinanti nella storia infantile del soggetto che, tra l’altro, spesso risultano non rintracciabili o di difficile lettura.
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