A cura del Prof. Mariano Indelicato, Presidente Pronto Soccorso Psicologico-Italia
“Apprendere che nella battaglia della vita si può facilmente vincere l’odio con l’amore, la menzogna con la verità, la violenza con l’abnegazione dovrebbe essere un elemento fondamentale nell’educazione di un bambino” (Ghandi)
Luigi Cancrini, eminente figura della psicologia e della psicoterapia a livello internazionale, attraverso un articolo postato su facebook, lancia un serio allarme riguardo ad un fenomeno che negli ultimi mesi sta prendendo sempre più piede: le condotte violente messe in atto da giovani e giovanissimi. Lo fa prendendo spunto da un articolo apparso il 13 luglio 2022 su Repubblica in cui una ragazzina sui 12 anni sfreccia con il suo scooter per andare a comunicare al fidanzatino di 16 anni che vuole lasciarlo. Quest’ultimo, per tutta risposta, non accettando di rompere la relazione con la ragazzina, la accoltella. Non si tratta di una storia legata ad ambienti della criminalità, poiché ambedue i ragazzi provengono da famiglie perbene senza nessun precedente penale. Cancrini nel suo post si interroga e interroga la coscienza di tutti noi con le seguenti parole: “La famiglia semplicemente non c’e’, penso io, se ad 11 anni ci si puo’ “ fidanzare “ e a 12 si puo’ “ sfrecciare su uno scooter “. E non ci sono scuole ne’ consultori in grado di aiutare i bambini di cui nessuno si occupa e le famiglie che non sono in grado di educarli. Capiremo un giorno che esistono luoghi, periferie, soprattutto nelle grandi citta’ in cui questo tipo di situazioni e’ terribilmente comune? Capiremo un giorno che per salvare questi bambini e le loro famiglie servono piccoli eserciti di psicologi in grado di fare psicoterapia e di assistenti sociali capaci di muoversi nelle comunitá, di educatori e di volontari in grado di proporre delle alternative a chi non trova spazi ne’ occasioni per vivere la sua infanzia e la sua preadolescenza in un modo normale?”.
Con questi interrogativi Cancrini riprende una frase di un suo libro del 2013 “la Cura delle Infanzie Infelici” in cui, rifacendosi alle sue innumerevoli esperienze terapeutiche, scrive: “perché quelli che curiamo anche quando curiamo pazienti adulti sono, alla fine, i bambini feriti che ancora piangono dentro di loro”. Infatti, si tratta spesso di bambini e ragazzi che rimangono imprigionati, con il loro dolore e la loro confusione, nel corpo e nell’anima dei pazienti con gravi disturbi di personalità. Storie di bambini non ascoltati e non curati, capaci di condizionare drammaticamente, dall’interno, i giovani e meno giovani nei quali continuano a vivere, finché il lavoro terapeutico non riesce a raggiungerli.
Quando si parla di infanzie infelici spesso si fa riferimento ad episodi di maltrattamento che assumono una loro specificità e, comunque, non spiegano il fenomeno nella sua totalità.
In effetti un bambino è mal-trattato, cosi come messo il luce dal Garante per l’Infanzia nell’indagine nazionale sul maltrattamento dell’infanzia e dell’adolescenza, quando: •vengono trascurate le sue esigenze di accudimento primario (pulizia, nutrimento, vestiario adeguato) o i suoi bisogni psicologici di base (lo si lascia da solo troppo tempo, non ci si preoccupa dei suoi bisogni emotivi) (trascuratezza, incuria); •viene regolarmente esposto a scene di violenza, fisica o verbale, tra gli adulti che si prendono cura di lui (violenza assistita); •viene costantemente deriso, denigrato, rifiutato, minacciato, punito, sottoposto a un eccesso di pretese, di richieste sproporzionate all’età e alle sue caratteristiche (maltrattamento psicologico); •viene sottoposto ad un eccesso patologico di cure (ipercura); •le cure vengono fornite in modo inadeguato, non in sintonia col momento evolutivo del bambino (discuria); •viene percosso (es. calci, pugni, schiaffi) con le mani o con oggetti (cinghie, fruste…), tagliato, bruciato (es. con sigarette) (maltrattamento fisico); •viene toccato in modo sessualizzato da un adulto, viene utilizzato come partner in un rapporto sessuale con un adulto, viene esposto alla visione di rapporti sessuali tra adulti, o di materiale pornografico o la sua immagine è utilizzata a scopi sessuali (abuso sessuale).
Nella stessa indagine emerge che il fattore maggiormente presente nel mal-trattamento è l’incuria, la trascuratezza che incide per il 52% e porta con sè, come dimostrato da numerosi studi, il non soddisfacimento dei bisogni essenziali che causano un profondo vissuto di svalutazione di sé, che mina alla base la possibilità di esplorare ed espandere il potenziale cognitivo ed emotivo. I ragazzini manifestano fin da piccoli con i comportamenti la loro sofferenza, vivendo in uno stato di iper-attivazione, urlando e agitandosi, nel disperato tentativo di ottenere l’attenzione di cui hanno bisogno.
La violenza, appresa anche attraverso l’utilizzo dei Social, che spesso diventano i sostituti dei genitori, come mette in risalto il Prof. Francesco Pira nel suo libro “Figli delle App”, può essere uno dei tanti tentativi per ottenere il riconoscimento da parte delle persone significative per loro.
Alla base dell’incuria e della trascuratezza vi è la povertà educativa che, come emerge dalla relazione in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario da parte del Presidente della Corte di Appello di Catania, procura “un crescente stato di malessere esistenziale delle persone minorenni, […] molto spesso determinato da condizioni di trascuratezza estrema e, nella fase dell’infanzia, da inaccettabili situazioni di abbandono”.
Sull’abbandono e la trascuratezza incide anche il disfacimento e il dissolvimento della famiglia tradizionale e la conseguente rottura del patto generazionale tra giovani e anziani. La storia generazionale non solo protegge dalle intemperie della vita, ma allo stesso tempo, costituisce, in senso lacaniano, il luogo “altro” nel quale possiamo riconoscerci. L’assenza di modelli con cui identificarsi espone i ragazzi al non appartenere, al non riconoscere il valore della “legge”, ovvero degli obblighi morali a cui è sottoposto il “desiderio”. La mancanza di modelli identificativi espone i ragazzi ad una mancata rielaborazione delle proprie origini, portandoli alla riproposizione tante volte di modelli familiari violenti.
Infatti, anche se difficile e complicata la ricerca di fattori unici poiché, come scriveva Tolstoj“tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo”, dalla ricerca e, soprattutto nelle stanze di terapia, emerge che “il senso dei comportamenti inadeguati del presente va ricercato innanzi tutto nel passato, nelle storie traumatiche che si ripetono di generazione in generazione senza trovare possibilità di riparazione alle ferite subite, ripetendosi all’infinito”.
Bowlby, in un suo articolo, descrive molto bene questo meccanismo di trasmissione intergenerazionale: adulti che sono stati bambini infelici, escono dalla propria famiglia d’origine con dei bisogni irrisolti molto forti, e spesso mettono al mondo dei figli illudendosi che finalmente siano proprio i figli a soddisfarli, e quindi dando loro un compito che ovviamente un bambino non può assolvere. Già alla nascita infatti, il neonato ha lui stesso dei bisogni molto forti ed in nessun modo può soddisfare quelli dei suoi genitori, se non in senso lato. Accade così che il genitore che si aspetta “accudimento” dal proprio figlio sia destinato ad essere deluso, e a ripetere l’esperienza di abbandono e rifiuto della propria infanzia, rivivendo un’intensa emozione di rabbia.
Anche Cancrini, nel libro citato sopra, descrive come “i bambini feriti con le loro infanzie infelici, se non sono visti, ascoltati, accolti, diventino persone sofferenti e sviluppino sintomi e patologie che si ritrovano poi nei pazienti adulti”.
Nel farlo si rifà alla Benjamin sui “processi di copia” che agiscono per l’individuo come schemi di interazione con il mondo. Secondo questa Autrice, le persone agiscono in base ai modelli acquisiti nelle relazioni precoci con le figure di attaccamento della loro vita, più che in base alle relazioni con il loro mondo attuale. Le relazioni attuali si modellerebbero su quelle passate secondo tre “processi di copia”:
1) Devi essere come lui/lei
2)Agisci come se lui/lei fosse ancora qui e avesse il controllo
3)Tratta te stesso come faceva lui/lei.
Tali processi costituirebbero un “dono d’amore” per la persona significativa e avrebbero la funzione di mantenerla vicina emotivamente. Scopo della terapia e dell’intervento su queste persone è che il paziente “elabori il lutto nei confronti delle figure di attaccamento ed abbandoni queste modalità di funzionamento per acquisirne altre più adeguate alle proprie necessità attuali”.
Anche l’idea del Pronto Soccorso Psicologico Italia è che le Infanzie infelici producano relazioni ed individui sofferenti, a cui è possibile e doveroso dare la possibilità di ri-scrivere un copione diverso, per sé e per i propri figli, sempre ricordando che il genitore che ci si ritrova di fronte è allo stesso tempo “padre di… e figlio di…”, e che è il nodo che lega questi due ruoli che bisogna sciogliere per interrompere la trasmissione intergenerazionale di modelli disfunzionali di genitorialità.
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