Riflessioni sul tema della morte e sull’esperienza del lutto

A cura della Dott.ssa Francesca Peritore, Psicologa Clinica, Operatrice Pronto Soccorso Psicologico-Italia, sede di Agrigento, e della Dott.ssa Pamela Cantarella, Psicologa Clinica, Responsabile Settore Comunicazione

Il tema della morte e l’esperienza del lutto

”…Ti devi preparare a tutto: come ti prepari alla vita quando sei giovane, devi prepararti alla fine della vita quando sei vecchio”.
(Andrea Camilleri)

La morte è una realtà fondamentale dell’esperienza umana, ma è anche un tabù; si preferisce non parlarne o al limite mascherarla per salvaguardare la propria sensibilità. Sembra quasi che esista solo a livello astratto, e che parlarne debba essere competenza degli ambienti scientifici. Storicamente infatti i temi legati alla morte e alla sofferenza sono stati prevalentemente d’interesse della religione e dell’antropologia.

Oggi la morte viene relegata ad “accadimento biologico, di cui non ha senso parlarne più del necessario”, ed il lutto viene vissuto come “esperienza soprattutto interiore, senza particolari forme di espressione esteriore e sociale”.

Ma la morte è un pensiero che riguarda i vivi! I morti non hanno problemi.

Tra gli esseri che muoiono, gli uomini sono le uniche creature per le quali la morte costituisce una preoccupazione: sanno di dover morire. Solo essi, a differenza degli animali, possono prevedere la loro fine ed essere consapevoli che può sopraggiungere in ogni momento. Ed è proprio questa coscienza della morte a costituire una “questione “per gli uomini.

Molti autori si sono accostati a questa tematica, in particolare Parkers e Bowlby, tracciando una continuità tra legame di attaccamento e perdita. La perdita di una persona amata è una delle esperienze più dolorose che un essere umano debba affrontare.

Storicamente l’uomo era protagonista attivo della propria morte, un decesso improvviso era raro e temuto.
Inoltre, sempre in tempi passati, la morte era un evento pubblico (come la nascita): quando qualcuno si ammalava, la sua camera si affollava di persone, e se si incontrava per strada il prete con il viatico, era usanza seguirlo nella stanza del moribondo.

Alla fine del Medioevo e del Rinascimento, l’uomo teneva a partecipare alla propria morte perché la considerava come un momento eccezionale. Era padrone della propria vita nella misura in cui lo era della propria morte.

Intorno al XX secolo si assiste ad un cambio di prospettiva: si tende a nascondere la malattia, si muore di nascosto. La società priva l’uomo della sua morte e gliela restituisce solo se non se serve per turbare i vivi. Allo stesso modo si chiede ai vivi un certo contegno da tenere nei confronti dei loro morti.

Anche la manifestazione del dolore legato al lutto ha subito, nel corso del tempo, delle modifiche: prima vi era una grande spontaneità nella sua esternazione, poi si è passati ad un tempo in cui si cercavano addirittura le “comparse“ per i cortei funebri.

Nel ‘900 le nuove convenzioni cominciarono ad esigere che si nascondesse ciò che prima bisognava ostentare e a volte simulare.
Oggi si chiede quasi un “auto-controllo del dolore”: la morte è divenuta innominabile e nessuno ha il diritto di imbarazzare gli altri parlandone o esprimendo in maniera ritenuta non consona il dolore legato ad essa.

La difficoltà maggiore conseguente alla morte è relativa alla “ridefinizione del proprio ruolo”, verso la società e verso sé stessi: ruoli ed aspettative un tempo ben definiti, ora non hanno più il loro fine e deve essere tutto ridisegnato. “Il lutto non ha mai termine; soltanto, con l’andar del tempo, viene fuori meno di frequente”.

Altra parte molto importante è rappresentata dai riti che accompagnano la sepoltura. Essi permettono di “elaborare la separazione in modo cosciente”. La celebrazione facilita il processo di lutto, contribuisce ad affrontare la realtà della morte senza negarla. Il rito funebre dunque, funge da dichiarazione della morte, fornisce ai sopravvissuti un ruolo nel gioco della separazione, che concede loro di assumere le vesti di un bambino che può piangere le sue lacrime.

Durante il corso della vita è inevitabile incontrare l’”esperienza del dolore”, non si può vivere senza sperimentarla in mille modi diversi. Il dolore per una perdita è una parte naturale dell’esperienza umana; è la reazione universale al fatto che una persona cara non ci sia più, ed il mezzo con il quale farci i conti.

L’assenza fisica crea un’intensa sensazione di mancanza e un’acuta sofferenza sia psicologica che fisica. L’“esperienza del lutto” comprende dunque tutti quei sentimenti che si hanno di fronte a ciò, e viene vissuta in una combinazione di reazioni mentali ed emotive, fisiche e sociali, di diversa entità ed intensità.

Da sempre di fronte alla morte gli uomini si sono confrontati con “qualcosa di molto più grande di loro”, sul quale non hanno mai avuto nessun potere nè alcuna possibilità di agire.

…Se non sulla condizione, soprattutto psicologica, che tutto ciò determina in “chi resta”: solo su di essa si può intervenire, facendo anche ricorso all’ausilio di persone care o di figure specialistiche, laddove ci si ritenga non in grado di affrontare e superare il dolore.

La via maestra che porta ad una sana elaborazione del lutto è la possibilità di esprimere i sentimenti, che deve essere incoraggiata e non repressa. Avere consapevolezza di ciò che si sente, può aiutare la persona in lutto ad avere una valutazione più realistica di ciò che sta succedendo.

Poter esprimere le proprie paure dopo un accadimento così tragico può fare la differenza in un percorso di fronteggiamento dell’evento stesso: può rendere più forti e liberare dalle inquietudini e dalle ansie che potrebbero rischiare di danneggiare le altre relazioni, o compromettere la possibilità di instaurarne di nuove.

Il Pronto Soccorso Psicologico-Italia e la sua equipe sono pronti a fornire un valido aiuto e supporto per affrontare e superare le difficoltà che si vivono dopo la morte di un proprio caro, ed avviare il processo di elaborazione del lutto analizzando insieme al paziente tutto ciò che è accaduto e come lo si sta vivendo.

Tutto ciò con l’obiettivo di trovare insieme la strada più corretta e modi meno dolorosi di pensare alla persona che non c’è più per poterne mantenere il legame in un modo “altro”, tutto interiore:

“la presenza è al di lá dell’assenza fisica”, se solo si riesce a liberare i propri cuori da tutti gli effetti negativi del dolore, così da renderli “ospitali” per un “sano ricordo”.

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