a cura di: Prof.Mariano Indelicato, Psicologo Psicoterapeuta, Presidente Pronto Soccorso Psicologico Italia
“L’uomo vive, vivendo-come-corpo e così è ammesso nell’aperto dello spazio e grazie a questo essere-ammesso, soggiorna già in anticipo in una relazione con il prossimo e con le cose”. (Herder )
Un corpo, quello disabile, che per tanto tempo è stato considerato manchevole, difettoso, imperfetto che, sul piano della rappresentazione sociale, “è in grado di accedere solo a forme (contenute) di relazione”,soprattutto, “fondate sull’affettività” L’emotività, i sentimenti, l’anima del disabile per tanto tempo è stata imprigionata dentro un corpo non riconosciuto e\o, addirittura, dentro un “non corpo”.
Questo articolo intende occuparsi di un argomento, spesso non trattato e analizzato, la sessualità in soggetti con disabilità fisica e/o intellettiva. Il silenzio che accompagna questo tema è già un indicatore della considerazione di cui godono i soggetti disabili in questo campo.
Per poter meglio addentarci, occorre all’inizio interrogarsi sulla natura e sul significato della stessa sessualità. L‘Organizzazione Mondiale della Sanità la definisce come “modalità globale di essere della personalità nell’intreccio delle sue relazioni con gli altri e con il mondo. Inizia con la vita stessa della persona e si modella ed evolve lungo il corso di sviluppo della medesima”. Nel contempo, però, essa favorisce una riflessione sul senso del piacere e, all’opposto sul confronto con il dolore; sulla costruzione della identità e inevitabilmente sugli ostacoli che questo processo può incontrare; sulla vitalità o la patologia delle relazioni; sul senso dello sviluppo e la prospettiva di un futuro possibile o viceversa sull’impossibilità di proiettarsi nel tempo, immaginando una realtà che valga la pena di essere vissuta, nonostante la patologia (A. Lascioli). Come ci informa, altresì, M. C. Pesci (sessuologa e psicoterapeuta) “la sessualità è piacere di comunicazione rispetto alle proprie sensazioni, piacere di ricevere sensazioni dagli altri con i gesti, con la voce, con lo stare insieme, con il corpo………….” essendo “espressione diretta della soggettività d’ogni singola persona. Un processo che parte dal piacere della sensorialità e motricità, dalla cura di sé, dal senso stesso dell’esistere, della propria identità e unicità”.
Come è possibile notare, nelle suddette definizioni l’espressione della sessualità comporta una condizione di autonomia che spesso alle persone disabili non viene riconosciuta poiché il sistema sociale assume un potere controllante nei loro confronti. R. Murphy mette in rilievo che la dipendenza delle persone disabili non è semplicemente da riferire alle loro condizioni psicofisiche ma, soprattutto, alle barriere, messi in atto dal sistema sociale, nell’ostacolare la loro autonomia. In forza di questa dipendenza tutte le ricerche svolte negli ultimi 20 anni sono concordi nell’affermare che la sessualità, l’espressione della sessualità, sebbene da riferire alla biologia e alla fisiologia, a determinate categorie di persone viene negata: “L’impossibilità di vedere realizzato questo bisogno (questo diritto umano) non solo è dettata dall’impedimento fisico ma anche da quello sociale, dalla negazione del riconoscimento stesso di questo bisogno/diritto “ (F. Bocci). L’ AAIDD (American Association on Intellectual and Developmental Disabilities) afferma che i soggetti con disabilità intellettiva sono spesso considerati come asessuali, come se non avessero bisogno di relazioni amorevoli o appaganti con la logica conseguenza che gli viene negato il loro diritto individuale alla sessualità. Le ricerche sono concordi nell’affermare che, a seguito della suddetta percezione , i diritti dei disabili ad avere una piena e soddisfacente salute sessuale (ad es, appuntamenti, entrare in una relazione, rapporti sessuali o procreazione) vengono continuamente disattesi.
L’astinenza può essere autoimposta o imposta dagli altri. La differenza tra i normodotati e i soggetti con disabilità intellettiva è che i primi possono scegliere di astenersi per una serie di motivazioni morali, religiosi, il desiderio di aspettare la persona giusta, la guarigione di una malattia, etc. I secondi, al contrario, sono costretti ad astenersi per le paure che gli sono state inculcate sul piano educativo e\o perché gli viene imposto con vari mezzi di astenersi. Spesso la sessualità, per le persone disabili è stata un’area di angoscia, esclusione e dubbi su se stessi per così tanto tempo che a volte è più facile non considerarla. Da parecchie ricerche riguardanti la percezione che le donne con disabilità avevano della loro sessualità emerge che la maggior parte di esse si asteneva dall’ avere rapporti sessuali e si imponeva l’auto astinenza poiché aveva un’idea negativa del sesso che attribuiva alla paura del primo atto, alla paura di subire conseguenze negative, preoccupazioni fisiologiche riguardo all’atto, e alla percepita o effettiva mancanza di piacere. Alcune di esse ha riportato che provava disgusto per l’attività sessuale, mentre altre avevano paura di una eventuale gravidanza, in particolare delle eventuali conseguenze, poiché i genitori gli ricordavano spesso che non sarebbero stati in grado, dato il loro grado di disabilità, di occuparsi di un figlio o che, addirittura, avrebbero messo al mondo un figlio “handicappato”. In generale queste ricerche mettono in risalto che l’auto astinenza è legata a problemi con lo sviluppo dell’identità di genere poiché non potevano concettualizzarsi come esseri sessuali e tendevano a considerare il sesso come un’attività sporca e inappropriata. Generalmente credevano che le altre persone proibissero loro di impegnarsi in attività sessuali. Le donne spesso si consideravano di poco valore e la maggioranza di loro non aveva un chiaro senso di identità.
I maschi con disabilità tendono ad esaltare e idealizzare il genere maschile, il ruolo e i compiti che i capifamiglia e i padri devono assumersi. Infatti, i partecipanti alle varie ricerche lamentano la loro dipendenza economica e finanziaria dalla famiglia di origine che non gli permette di poter programmare un’eventuale matrimonio o vita di coppia; figuriamoci l’avere un figlio.
L’astinenza imposta dagli altri riguarda tutte le imposizioni che vengono attuate dai genitori, dagli educatori e dalle associazioni che si occupano dei soggetti con disabilità. Le ricerche che hanno avuto come obiettivo di valutare le prospettive delle persone con disabilità intellettive su argomenti legati alla sessualità, riportano che parecchi genitori hanno impedito ai figli di vedere scene di sesso in televisione (cambiando programma), al cinema o sui social media costringendoli a chiudere gli occhi. Il controllo e le imposizioni generalmente vengono giustificate dall’evitare eventuali e non meglio specificati danni. Oltre ai genitori, come riportato in vari studi e ricerche anche gli educatori o le associazioni che li ospitano mettono in atto una serie di regole che di fatto limitano la privacy e gli impediscono di poter avere una loro intimità.
Le barriere o autoimposte o imposte dagli altri sono il frutto della negazione della sessualità dei soggetti disabili in quanto vengono percepiti come infantili, asessuati, vulnerabili agli abusi sessuali e sessualmente devianti e in forza di queste caratteristiche devono essere controllati e disciplinati. Al contrario, le ricerche dimostrano che proprio questi atteggiamenti espongono i disabili ad essere abusati, per la maggior parte, o diventare abusatori. Ciò che manca, invece, è un vero programma per l’educazione sessuale malgrado l’Individuals with Disabilities Education Act sancisce che essi godano di liberi e appropriati programmi educativi.
La messa in atto di interventi educativi sui soggetti disabili e sui loro care giver risolve sicuramente il problema. Il Pronto Soccorso Psicologico a tal uopo mette a disposizione le sue strutture e i suoi professionisti al fine di poter esaudire i legittimi, biologici e fisologici, desideri dei soggetti con disabilità.
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